Non c’è nient’altro in West Virginia
consigliato da Filippo Polenchi
#LibriInTasca è lo Speciale che accompagnerà la vostra estate sul sito dell’Indice. Sarà un compagno di viaggio loquace e mai banale, e si comporrà di tanti consigli di lettura suggeriti da voci diverse e penne più o meno note: libri pensati per viaggiatori in cerca di avventure e tomi poderosi per chi poltrisce sotto l’ombrellone.
Breece D’J Pancake
TRILOBITI
pp. 191, € 16
trad. dall’inglese di Cristiana Mennella
Roma, minimum fax 2016
Il culto che circonda la figura di Breece D’J Pancake è rubricabile sotto l’etichetta del «mito della gioventù», soprattutto se spezzata o bruciata. Più Kurt Cobain che James Dean, più Phil Occhs (suicida anch’egli, amatissimo dallo scrittore) che Jeff Buckley, Pancake si uccise a ventisette anni e da allora la sua vicenda biografica – ancorché semisconosciuta in Italia fino alla pubblicazione di Trilobiti per Isbn Edizioni nel 2005 – in qualche modo ha oscurato quella letteraria. Ora Minimum fax ripubblica i suoi racconti. Storie straordinariamente emotive, con apici d’intensità pari soltanto alla finezza psicologica d’intrappolare personaggi con medie aspirazioni in trappole auto-censuranti. Sono personaggi che vivono nella speranza di poter fuggire dalla provincia depressa del West Virginia ma si legano a vincoli morali chiaramente sorpassabili. This land is your land, ma è una terra di morti. C’è un’ossessione fossile in queste pagine; un’attenzione esasperata per i propri morti, per le mummie, per il nero d’antracite che inchiostra i visi di poveri disgraziati in cerca di pochi dollari e redenzione e varie altre mense per i demoni: ad esempio il melodramma americano del Sud, alla Tennessee Williams, con legami ambigui tra familiari e storie di fratelli che dovrebbero restare sepolte. Tuttavia l’aspirazione alla rinascita è pari alla violenza degli Appalachi, luogo che fa da sfondo anche al celeberrimo Un tranquillo weekend di paura (siamo nello stesso torno di tempo).
Eppure questi racconti non significano altro che questo. Non c’è altro oltre a questa cappa di vita, insopportabile, appena rischiarata da una laica grazia, miserabile o disperatamente vitale; storie intense, di profonda vicinanza all’umano, ma «superficiali» e non certo per mancanza di acume psicologico, ma anzi, proprio «per colpa» dell’acume psicologico, che è ancora il fatale psicologismo. Pancake cerca la voce dei suoi fantasmi nelle frequenze vocali che conosce già. L’alterità, come nelle terre del West Virginia, non esiste o è rifiutata; estrema mimesi della narrazione con il luogo narrato, che è artificio retorico apprezzabilissimo, ma purtroppo limitante. Varchi, soglie, intervalli e interruzioni non esistono. Il destino fila dritto come le autostrade che appaiono in lontananza. Insomma, Trilobiti non è certo un libro fallito. Molti dei racconti presenti – L’attaccabrighe su tutti, Una stanza per sempre, Cacciatori di volpi o la title-track – sono memorabili. Ma la loro bellezza è immanente, invita a una chiusura anziché il contrario.
filippo.polenchi@gmail.com
F. Polenchi è redattore editoriale
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