Gemme ubriache
recensione di Silvia Pozzi
dal numero di febbraio 2018
Yan Lianke
IL PODESTÀ LIU E ALTRI RACCONTI
trad. dal cinese e postfazione di Marco Fumian
pp. 184, € 15
Atmosphere, Roma 2017
La letteratura contemporanea cinese, e la letteratura cinese in generale, non godono (ancora) di grande fortuna tra i lettori italiani, a differenza ad esempio dei lettori francesi, che per ragioni che non staremo qui a indagare vantano una storia più lunga e intensa di frequentazione intellettuale con “altre culture” e apertura all’arricchimento che ne consegue. Separare la scrittura cinese da quella mondiale, poi, è un’attitudine che non solo noi italiani abbiamo e che tradisce lo sguardo miope che molto del mondo occidentale persevera nel destinare a una realtà socio-politica internazionale liquida e in rapido cambiamento in cui ci ostiniamo a tracciare confini del tutto illusori. Per nostra fortuna – quando vorremo accorgercene – esistono editori coraggiosi che aprono le porte e offrono cittadinanza nella nostra lingua a opere preziose che ci trascinano in un altrove che in definitiva ci parla persino, ma non solo, di noi. Dico coraggiosi anche perché a essere qui tradotti nella resa creativa di Marco Fumian sono dei racconti, un genere spesso sottovalutato, e per di più cinesi. Eppure, come dice Raymond Carver, un racconto trasforma qualcosa di intravisto in qualcos’altro, che “illumina l’attimo fuggente e magari si insedierà in modo indelebile nella consapevolezza del lettore”. Ed è proprio quello che succede leggendo questa raccolta: indimenticabili sono i personaggi che ci compaiono davanti, insondabili e disarmanti, come ad esempio la ragazzina rimasta sola al mondo e abusata, che ascolta impietrita i denti del suo aggressore “battere, simili a ciottoli che si urtano nell’acqua”. Così come indimenticabili sono i colori che gocciano dalle righe – in particolare quelli di una primavera in cui “si sparse una bruma tiepida, i rami rinsecchiti rinverdirono, si ruppero le gemme rosee e, come se fossero ubriache, si schiusero pavoneggianti” – e le descrizioni vibranti di una Cina davvero lontana, lontana anche per molti cinesi, persa nel suo cuore, tra i monti Balou, nella provincia dello Henan, con i loro inverni gelidi, che crepano gli orci, e spaccano la terra, e fanno “stridere di freddo gli olmi, le paulonie, le sofore e gli ailanti”.
Pararealismo
Ecco, la scrittura di Yan Lianke, legatissimo al suo Henan, trasuda di elementi autobiografici, nei colori, negli odori, nei sapori, nelle facce, e nelle ambientazioni, che sovente vengono riproposte, nei romanzi come in questi racconti, che si tratti di campagne arretrate e disperanti o degli spazi claustrofobici e dai ritmi disciplinati di una caserma (l’autore ha fatto la carriera militare prima di, e per, diventare scrittore, una parabola per noi inconsueta, ma piuttosto comune nella Cina del maoismo; anche il premio Nobel Mo Yan nasce come soldato per assicurarsi la ciotola di riso e poi una formazione letteraria).
Esiste poi un rimaneggiamento del vissuto anche a un altro livello, più generale e più intimo allo stesso tempo: la fatica di vivere in un sistema talvolta opprimente e oppressivo e che Yan Lianke non di rado trasfigura in rappresentazioni e storie paradossali, a tratti carnevalesche, a tratti agghiaccianti, seppure per certi versi persino ordinarie. Si tratta di un procedimento narrativo per cui lo stesso autore ha coniato un nome, “pararealismo”, che trova delle coordinate di senso nel potere e nelle sue distorsioni, come nota Fumian nell’interessante postfazione, e nella malattia e nella deformità, quasi un’incarnazione fisica di un disagio psicologico. E concentriamoci su Yan Lianke, perché dietro questo nome per noi impronunciabile troviamo un autore di grandissima statura, premiato in patria e all’estero (nel 2014 è stato insignito del premio Kafka). Già tradotto in italiano da più mani (Patrizia Liberati e, poi, Lucia Regola) e da più editori (Einaudi e Nottetempo), in qualche modo le sue opere sono sfuggite al grande pubblico e alla stampa, che si aspettano una ribellione dai cinesi in nome dei diritti umani e non si accorgono che in Cina ci sono scrittori, proprio come Yan Lianke, che incidono profondamente il sistema con la loro penna. E che scrivono e riscrivono i loro lavori per trapassare il muro della censura e arrivare fino a noi con l’urlo di dolore di chi soffre e il sorriso beffardo di chi non si rassegna. Da leggere, quindi, questi racconti, per tutte le tracce impreviste e imprevedibili che lasceranno in noi.
silvia.pozzi@unimib.it
S Pozzi insegna lingua cinese all’Università di Milano-Bicocca