Crescere nella Campania infelix
di Franca Cavagnoli
Luca Mercadante
PRESUNZIONE
pp. 270, € 18,
minimum fax, Roma 2019
Di Presunzione, il romanzo di Luca Mercadante finalista della XXX edizione del Premio Calvino e che ha ottenuto la menzione speciale della giuria, colpisce lo sguardo disincantato sulla Campania di fine Novecento. È un libro radicato nella storia italiana dagli anni settanta fino a Mani pulite, una storia cui guarda con scetticismo e, spesso, con ironia se non aperto sarcasmo. È un romanzo di formazione e insieme un romanzo politico, intelligentemente politico: la camorra di cui ci parla Mercadante non ha niente a che vedere con l’immagine romanzata di libri, film e fiction di successo. Le sue ramificazioni, infatti, arrivano fino al liceo bene di Caserta e al padre del compagno di scuola del protagonista, e il libro mostra chiaramente come la mafia sia un fenomeno delle classi dirigenti. È uno sguardo da dentro su Castel Volturno, Villa Literno e Caserta, e al tempo stesso da una angolazione nuova, molto lontana dalle ambientazioni di Gomorra.
Bruno Guida, il protagonista e narratore del romanzo, è un liceale solitario e post-ideologico. Riassume la sua vita fino a quel momento con parole quasi ciniche: “Non frequento il mio paese, figurati se conosco il prete scout di Casal di Principe. Non vado in chiesa. Non ho amici. Sono anni che non faccio altro che dissociarmi da tutta questa merda”. Tiene a distanza i compagni, coi quali non si mescola, ma ha un occhio clinico nel valutare la realtà che lo circonda ed è questa distanza a permettergli di vedere e di prendere posizione contro la camorra ma anche contro il Pds, tant’è che non entrerà mai nei giovani diessini. Ambisce soprattutto a liberarsi dalle pastoie che lo intralciano fin dalla nascita – la famiglia e lo zio – e a uscire dalla “gabbia” del paese in cui vive, Villa Literno, come pure da un ambiente sociale opprimente. Parlando del padre, Bruno osserva: “Nella sua mente gretta fra un diploma comprato all’istituto paritario e una laurea conquistata con merito non c’era alcuna differenza. Senza rendersi conto che questo è il pensiero più camorristico che si possa avere”. E il rapporto del protagonista con la sua terra, da cui si sente attratto, ma verso la quale prova nel contempo repulsione, è descritto con autenticità. L’ambizione di Bruno è quella di andare lontano da un mondo che disprezza e mostrare a tutti la sua diversità.
Quello di Mercadante – che nella narrazione riserva per sé un cammeo a voler ribadire la distanza che lo separa dal narratore – è uno sguardo saggio e scettico. C’è una grande sottigliezza nell’esplorare la natura umana e nell’indagare le ragioni dei personaggi, mai scontati, anche quelli arrivisti come il compagno di scuola, figlio di un consigliere diessino tutto teso a diventare deputato pure con voti di dubbia provenienza, pur di riuscire nell’intento. Quando entra in scena Stefano Beniamino, infatti, il romanzo acquista una luciferina brillantezza: la sua pericolosa seduttività rappresenta per i giovani benestanti del liceo classico di Caserta un pericolo grave quanto la violenza dei giovani camorristi per chi si è fermato alla terza media.
Presunzione è un romanzo dalla voce sicura, una voce di pancia e di testa, e dalla scrittura incisiva; una lettura che appassiona, dalla quale ci si stacca con riluttanza. Fra vicende private, questioni politiche e la fatica di diventare grandi, il ritmo della narrazione è avvincente e il montaggio delle scene perfetto. Lo sguardo privo di illusioni dell’autore non tratteggia solo un mondo torvo, livido e confuso sul piano morale e politico, che ha cancellato ogni dimensione collettiva, si spinge fino a non farci provare quasi simpatia per lo stesso protagonista che, per affermarsi, fa leva su un individualismo sdegnoso. E il libro si chiude su un bel finale ambiguo, disilluso, spiazzante.
Ma di quale presunzione si parla nel romanzo di Luca Mercadante, che l’anno scorso con Luca Trapanese ha già pubblicato per Einaudi Stile Libero Nata per te. Storia di Alba raccontata fra noi? Di quella di Stefano Beniamino, certo, e forse anche di quella del protagonista, che guarda con altezzosità alla vita di provincia, anche se viene il dubbio che nel suo caso sia più che altro una posa per ritagliarsi uno spazio necessario a crescere svincolato dalle aspettative altrui e in cui coltivare il sogno di essere “destinato a ben altro”. Ma se non dimentichiamo che l’autore è un avvocato, la parola “presunzione” assume altre accezioni e porta a chiedersi se non sia da intendersi anche nel senso di un’argomentazione logica che permette di risalire da un fatto noto – la scomparsa dello zio del protagonista ma anche il racconto che della camorra abitualmente si fa – a un fatto ignorato. Cosa “si presume” in questo bel romanzo, dunque? Risalire a ciò che si ignora e rovesciare i luoghi comuni e le aspettative di chi legge non è forse uno dei compiti della letteratura?