Espiare una colpa
recensione di Chiara D’Ippolito
dal numero di novembre 2018
Maurizio Maggi
LA CODA DEL DIAVOLO
pp. 352, € 18,60
Longanesi, Milano 2018
Il mostro ha rapito e seviziato per mesi una ragazzina, e quando lei è riuscita a scappare, l’ha inseguita e l’ha uccisa come un animale, con un colpo alla nuca, a pochi passi da una pattuglia. Sante Moras lo guarda avanzare verso la cella in mezzo alle urla di “trecento uomini imbestialiti” – non c’è nessuno, guardia o detenuto, che non vorrebbe ammazzarlo – e si accorge che la sua faccia è “quella stanca e tranquilla, quasi rassegnata, di un uomo che torna a casa dopo una giornata di lavoro”. Ma, pensa Sante, le apparenze non contano nulla, perché, in carcere, è “possibile avere colpe inconfessabili e sembrare sereno”, e nessuno può saperlo meglio di lui, che indossa la stessa maschera del mostro. Perché anche Sante nasconde un segreto, anche Sante si sente un “ristretto”, e il lavoro di secondino è la punizione che ha scelto per espiare “una di quelle colpe che stagnano dentro l’anima come gas al fondo d’una miniera”.
Maurizio Maggi – finalista al XXVII Premio Calvino con L’avamposto e autore de L’enigma dei ghiacci (Longanesi, 2016) – torna in libreria con La coda del diavolo, un thriller che esplora il tema della colpa e della redenzione attraverso l’efficace ritratto di uomo in fuga dal proprio passato, ma anche dall’accusa di essere un assassino. Perché, proprio nella notte in cui Moras accetta di uccidere il mostro per evitare che venga scagionato grazie alle amicizie potenti che lo proteggono, qualcuno lo precede. E, soprattutto, gli costruisce intorno una trappola di indizi che lo inchiodano come complice del mostro e responsabile della sua morte.
E così, grazie a un buon congegno narrativo che alterna il racconto della disperata corsa di Sante verso le prove che possano scagionarlo – e verso una verità inaspettata e terribile, che, sempre più, gli sembra giusto dover scoprire – al progressivo disvelamento del segreto che lo perseguita fin da ragazzo, il romanzo di Maggi viene attraversato da una serie di domande che chiamano costantemente in causa il lettore, e lo tengono sulla pagina forse anche più del desiderio di voler conoscere la soluzione del thriller: può il peccato di un altro cancellare il nostro? Espiare una colpa vuol dire “pagare per l’errore” o “riparare al torto”? Uccidere può essere un modo per redimersi? Le risposte arrivano solo nelle ultime righe, quando la Sardegna solitaria e selvaggia in cui è ambientata quasi tutta la storia lascia posto al mare della Grecia. E la strada che sta percorrendo Sante è finalmente in discesa, mostrandogli che “pentimento e punizione non riaggiustano ciò che si è rotto. Nemmeno una buona azione ne compenserà una malvagia. Ma se hai l’opportunità di fare una cosa giusta, falla e basta, non fare calcoli”.