Massimo Bucciantini – Un Galileo a Milano

Spettacolo e storia sociale

recensione di Raffaella Di Tizio

dal numero di febbraio 2018

Massimo Bucciantini
UN GALILEO A MILANO
pp. XX-252, € 27
Einaudi, Torino 2017

Massimo Bucciantini - Un Galileo a MilanoSembra che i sessant’anni dalla prima dell’Opera da tre soldi del Piccolo Teatro di Milano, festeggiati nel 2016, siano serviti a incoraggiare un ritorno d’interesse per le regie brechtiane di Giorgio Strehler. Un’attenzione che ha superato anche i confini a volte rigidi degli specialismi disciplinari: dopo Brecht e il Piccolo Teatro. Una questione di diritti di Alberto Benedetto (Milano, Mimesis, 2016, cfr. “L’Indice” 2017, n. 3) a occuparsi dell’argomento è stato infatti Massimo Bucciantini, storico della scienza dell’Università di Siena. Al suo attivo l’autore ha più di una pubblicazione sul grande astronomo e matematico italiano, ma questo Un Galileo a Milano riguarda un noto evento teatrale: la famosa Vita di Galileo data da Strehler nel 1963.
Come Bucciantini avverte nel Prologo, questa monografia vuole servire a “capire il valore di ciò che fin da subito diventò per tutti il Galileo”, uno spettacolo che restò nella memoria di una generazione di spettatori non solo per la sua qualità teatrale, ma anche per l’evidente peso simbolico che si trovò ad assumere. La sua realizzazione, momento fondamentale della ricezione di Brecht in Italia e culmine della battaglia culturale condotta dal teatro di Grassi e Strehler, era stata possibile solo dopo l’abolizione della censura preventiva, nel 1962. Pochi anni prima, come mostra l’autore sulla base di una precisa documentazione, la richiesta di portare in scena il testo da parte di Ivo Chiesa era stata respinta per il contenuto politico dell’opera, per la sua mancanza di fedeltà alla figura storica di Galileo Galilei, e soprattutto perché ritenuta offensiva verso la religione.

Il percorso e lo spettacolo

Pur presentando un’ampia messe di informazioni, il racconto di Bucciantini procede in modo che anche chi non abbia mai sentito parlare di Brecht o di Strehler possa seguire e comprendere: l’autore invita a ripercorrere la propria esplorazione, fornendo in apertura persino un elenco dei principali protagonisti del volume. Il primo a entrare in scena è Georgi Dimitrov, esponente del Comintern ingiustamente accusato nel 1933 dell’incendio del Reichstag, che nel processo farsa che sarebbe servito al potere nazista per la soppressione delle libertà civili ribadì la propria verità citando l’“Eppur si muove” galileano. L’interesse di Brecht per lo scienziato non fu probabilmente estraneo a questi eventi. Nella prima versione del dramma, scritta nel 1938 durante il suo esilio danese, la ritrattazione di Galileo di fronte al tribunale del Sant’Uffizio era simbolo di astuzia, un modo di resistere al potere per continuare di nascosto la propria battaglia.

Bucciantini segue Brecht nelle sue peregrinazioni fino all’approdo negli Stati Uniti: racconta dei suoi difficili rapporti con Hollywood, dell’infelice collaborazione con Fritz Lang, poi dell’entusiastica ripresa del progetto del Galileo insieme a Charles Laughton, quando attore e autore dettero vita a un personaggio meno eroico, che coltivava la scienza come si coltiva un vizio. Era il periodo dei primi esperimenti sulla scissione dell’atomo, le cui conseguenze sarebbero state presto rese evidenti dalla devastante distruzione di Hiroshima e Nagasaki: nel nuovo testo l’abiura di Galileo divenne un tradimento, punto d’origine di una scienza distaccata dalla società e sempre più fine a se stessa.

Da questa versione, preferita dal suo autore, sarà tratta la messinscena italiana: Bucciantini ricorda alcune fasi del lavoro di Strehler per un allestimento curato nei minimi dettagli, a partire dai due mesi del regista a Venezia con lo scenografo Luciano Damiani per inventare lo spazio “esatto” del suo Galileo. Descrive poi alcuni passaggi fondamentali dello spettacolo, come il quadro del Carnevale del 1632, dove insieme al popolo irrompevano sul palco suoni e colori in netto contrasto col grigio e la pacata lentezza delle altre scene, e in cui una processione dissacrante verso l’autorità religiosa non mancò di suscitare imbarazzi e accese polemiche nell’Italia democristiana degli anni sessanta. La chiesa era rappresentata come un’autorità immobile di fronte al movimento vivo e vitale della storia. Come l’autore sottolinea, pochi si fermarono allora a cercare di comprendere quale fosse il senso proprio al dramma di Brecht, il suo discorso sulle responsabilità della scienza. Nonostante l’immenso successo di pubblico, le critiche dal mondo religioso e politico arrivarono a minare alla base la stessa posizione del Piccolo. A evitare che si perdesse l’appoggio della giunta milanese fu solo l’abile mediazione di Paolo Grassi, le cui capacità organizzative avevano permesso al teatro anche di reggere lo sforzo di un allestimento grandioso per numero di attori in scena e per tempi di produzione. Ma non dovette essere un caso se altri importanti testi di Brecht sarebbero poi rimasti “dentro ai cassetti di Strehler”.

Gli equilibri in gioco

Non è la prima volta che uno studio racconta della fortunata messinscena del Galileo: qui però l’attenzione è puntata sulle tensioni che si trovò a catalizzare, e come in un romanzo corale si vedono agire, oltre che persone di teatro, prelati e ministri, associazioni giovanili e professori universitari, in difesa o in attacco di un lavoro di cui tutti allora sentirono il profondo significato culturale. Attraverso la “biografia” di uno spettacolo qui si fa storia sociale, mostrando il sottile gioco di equilibri su cui si reggevano la sussistenza economica, e i successi, dello stabile milanese.

La scelta di osservare gli eventi dalla prospettiva di questa istituzione fa però correre a Bucciantini il rischio di qualche parzialità, e di troppo drastici ridimensionamenti. Nel raccontare la fondazione del Piccolo Teatro, avvenuta nel 1947, i ruoli di Mario Apollonio e di Vito Pandolfi sono ad esempio trattati con qualche sufficienza, e lo stesso accade per gli spettacoli brechtiani di Gianfranco De Bosio e Luciano Lucignani. Due cartine nelle pagine centrali mettono a confronto le prime rappresentazioni di testi di Brecht date a Milano, in gran parte ascrivibili al Piccolo Teatro, e quelle messe in scena negli stessi anni in altre città italiane: ma queste immagini cosa dimostrano se non l’efficacia della dura battaglia di monopolio condotta da Grassi per i diritti di rappresentazione delle opere dell’autore, recentemente documentata dal volume di Alberto Benedetto? Se successo di pubblico, intensità e pervasività degli spettacoli di Strehler possono a buon diritto essere citati a sostegno dell’importanza della sua esperienza registica, meno sensato sembra continuare a sostenere che la mancata continuità di altri percorsi basti a sancirne lo scarso valore. Precisazioni, queste, che nulla tolgono all’importanza della ricostruzione di Bucciantini, in grado di mostrare il peso assunto da un fondamentale spettacolo teatrale all’interno del più generale movimento delle idee e della storia politico culturale del nostro paese.

raffaelladitizio@yahoo.it

R Di Tizio è cultore della materia in teorie e pratiche del lavoro teatrale all’Università di Roma 3

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