Una giornata accanto al ricercatore
di Andrea Casalegno
Marco Tedesco e Alberto Flores d’Arcais
GHIACCIO
Viaggio nel continente che scompare
pp. 160, € 15,
il Saggiatore, Milano 2019
Marco Tedesco (1971) è italiano, anzi irpino (“da lì viene il 90 per cento del mio patrimonio genetico”), ma insegna alla Columbia University ed è ricercatore della Nasa. È anche uno scrittore di talento, anche se per questo saggio ha scelto di farsi aiutare da Alberto Flores d’Arcais, con il quale collabora al quotidiano “la Repubblica”. Ghiaccio è un libro originale: descrizione capillare, ora per ora, di una giornata di lavoro scientifico sui ghiacci della Groenlandia, alla quale fanno da contrappunto, attraverso il metodo delle libere associazioni, meditazioni e digressioni scientifiche sui principali argomenti collegati al problema più scottante del momento: il futuro che ci attende a causa dei cambiamenti climatici. La conferma, in questi mesi, viene dall’Australia.
Seguendo l’attività di Marco Tedesco dall’alba al tramonto (ma durante l’estate artica il sole non tramonta mai), scopriamo che il suo lavoro, pur coadiuvato dalle tecnologie più moderne (“scarichiamo i dati sui nostri computer a una velocità impensabile quando ordinavamo pile di dischetti recapitati in enormi scatole, che richiedevano notti insonni per essere caricati uno a uno”), presuppone un’elevata capacità manuale ed espone a notevoli rischi. La tecnica del carotaggio, attraverso uno strumento “che crea fori cilindrici di alcuni centimetri di diametro e due metri di profondità”, è esposta a mille incognite; il minimo errore può rendere vano il lavoro di giorni. “Ognuno di quei dati nasconde una mole di lavoro straordinaria, mesi di preparativi, anni di congetture e piani”. Poi tutto dipende dall’attività sul campo, assai costosa e non sempre ripetibile, anche a tacere dei grandi disagi che comporta. Il ricercatore appare così il vero eroe del nostro tempo, un milite della scienza che, dopo una meticolosa preparazione, si gioca tutto in pochi giorni di passione e di scoperta.
La ricompensa, al di là della conquista scientifica, è la rivelazione di spettacoli straordinari. “In meno di quaranta minuti” scompare, inghiottito dal ghiaccio, un immenso lago: “una distesa d’acqua larga un paio di chilometri e profonda dieci metri”. Il calore che in Australia brucia le foreste qui fonde i ghiacci. Ma la ricerca svela anche l’invisibile: “Un canyon, precedentemente sconosciuto, nascosto sotto circa due chilometri di ghiaccio, che in alcuni punti è profondo fino a 800 metri e largo fino a dieci chilometri: il più lungo canyon scoperto sulla terra, più grande del Gran Canyon”. Mentre la giornata del ricercatore progredisce, le sue meditazioni e i suoi ricordi allargano l’orizzonte. Molti indizi, grandi e piccoli, mostrano come il pianeta stia cambiando. Nel XVI secolo, quando le potenze europee ebbero la definitiva conferma che un nuovo continente si frapponeva tra le loro navi e le spezie dell’Oriente, cominciò l’affannosa ricerca del “passaggio a nord-ovest”: una via che mettesse in comunicazione Atlantico e Pacifico, accorciando, con enorme vantaggio economico, l’itinerario che altrimenti era costretto al periplo delle Americhe. Quel passaggio esisteva, ma era impraticabile: era bloccato dai ghiacci. Ebbene, quel passaggio oggi è diventato percorribile per alcuni mesi all’anno: “l’Artico, terra promessa della navigazione contemporanea, è il canale di Panama del nuovo secolo”.
Nuove terre si aprono così al turismo. “Migliaia di visitatori, nelle stagioni migliori, cercano il brivido del turismo sui ghiacciai”. “La parte del leone la fanno le navi da crociera norvegesi e russe”, seguite negli ultimi anni da quelle canadesi. Nell’estate 2016 una nave della compagnia Crystal Cruises ha trasportato mille passeggeri dal porto di Sewark, in Alaska, a New York, “circumnavigando le coste del Canada e della Groenlandia e coprendo circa 1500 chilometri in 32 giorni: un sogno coltivato per secoli è diventato realtà”. Questo è certo un indizio macroscopico di cambiamento. Ve ne sono di più sottili. “Rilevazioni recenti hanno trovato tra i ghiacci del Polo sud tracce di caffeina, paracetamolo e cocaina con livelli simili a quelli trovati in Europa in aree densamente popolate”. Una conferma inedita del vecchio detto che tutto il mondo è paese. L’ipotesi è che ciò sia dovuto a un “uso eccessivo di queste sostanze da parte dei turisti che da molto tempo visitano regolarmente l’Antartide”; il veicolo di trasmissione sarebbero le acque di scarico delle navi, “con un impatto inimmaginabile sugli ecosistemi”.
Materia di riflessione, dunque, ce n’è in abbondanza. E tuttavia il saggio è affascinante soprattutto per la possibilità che ci offre di passare un’intera giornata accanto a un ricercatore, seguendone uno per uno i gesti, ascoltandone i dialoghi con i colleghi (ogni successo è frutto di un meticoloso lavoro di squadra) e le meditazioni solitarie, guardando con i suoi occhi paesaggi meravigliosi, ai quali alludono le belle fotografie. Spettacoli che forse noi lettori non vedremo mai, anche se ci auguriamo non vengano cancellati per sempre da mutamenti irreversibili, dai quali gli uomini più potenti della terra distolgono lo sguardo con un’alzata di spalle.
casalegno.salvatorelli@gmail.com
Andrea Casalegno è giornalista