La giustizia di Dio e il confronto quotidiano con la Scrittura
di Giovanni Filoramo
dal numero di febbraio 2018
Durante il 2017 sono stati celebrati in tutto il mondo i cinquecento anni della Riforma luterana, datata tradizionalmente al 31 ottobre 1517, giorno in cui Lutero avrebbe affisso (secondo una tradizione sulla cui verità si continua a discutere) sul portale della chiesa di Wittenberg dove insegnava le 95 tesi sulle indulgenze. È troppo presto per tentare anche solo un bilancio provvisorio delle innumerevoli iniziative che sono state prese, a cominciare dal suo paese di origine, la Germania, e che hanno naturalmente visto la chiesa evangelica luterana come protagonista. Quel che, però, appare evidente anche a un primo sguardo è che questo centenario è profondamente diverso da quelli che lo hanno preceduto. I centenari precedenti riflettevano invariabilmente interessi prevalenti di natura confessionale o politica. Nel 1617, all’alba della guerra dei trent’anni, una guerra di religione che insanguinò i vari paesi europei, politici e predicatori luterani della Sassonia e del Palatinato, dove Lutero aveva prevalentemente agito, radunarono i loro correligionari per difendere il protestantesimo luterano dall’attacco dei cattolici. Nel 1717, in una situazione ormai stabilizzata di divisione confessionale, luterani ortodossi, pietisti e altri riformati si rifecero tutti a Lutero come al loro antenato comune. Nel 1817, al termine delle sanguinose guerre contro Napoleone, Lutero fu celebrato come un cittadino tedesco e un patriota, la cui memoria poteva guidare una Germania in via di formazione a una nuova identità nazionale. Infine, nel 1917, quando la nazione tedesca viveva ormai una crisi profonda che doveva esplodere poco dopo, Lutero, l’Ercole germanico, fu visto come il guerriero teutonico invocato a benedire la “spada tedesca” nelle fasi finali della Grande guerra. E nel 2017? Superate le barriere confessionali, da un lato si sarebbe tentati di dire che è stato l’anno del Lutero ecumenico, guardando alle innumerevoli iniziative promosse dalla chiesa evangelica luterana in Germania e in molti altri paesi in cui è presente, a cominciare dall’Italia, e dalle risposte di parte cattolica, se non fosse per la crisi reale che nei fatti vive ormai da tempo il dialogo ecumenico tra cattolici e luterani. Dall’altro, a prevalere è stata l’immagine di un Lutero finalmente storicizzato in modo adeguato e collocato in modo altrettanto adeguato nel suo tempo, l’epoca delle riforme.
“Riforma” è un termine insoddisfacente, che contiene una serie di problemi e giudizi di valore. Anche se i movimenti che vi rientrano avevano in comune il rifiuto del papato e delle sue istituzioni, tra di loro erano profondamente divisi e spesso in lotta. Inoltre, fino a non molto tempo fa, questi movimenti erano considerati come il motore che aveva acceso e spinto la macchina della modernità, di contro a una chiesa rimasta medievale e retrograda, incapace di affrontare le spinte del mondo nuovo, come del resto dimostrava la sua incapacità di reprimere in modo efficace questi movimenti. Questa immagine tradizionale non ha resistito alla critica storica. Oggi siamo più consapevoli della ricchezza, della capacità di resistenza, della penetrazione sociale della religione tardomedievale, così spesso ignorata o derisa nelle narrative tradizionali. Siamo, di conseguenza, altrettanto consapevoli del lavoro continuo e difficile collegato alla nascita della riforma, cattolica o protestante. È cresciuta la consapevolezza che la “riforma” non è stato un monopolio confessionale, ma un aspetto fondamentale della trasformazione delle comunità sia cattoliche sia protestanti a partire dal sedicesimo secolo. Questa complessità è messa in evidenza dalle due sintesi recenti più importanti: quella di Diarmaid MacCulloch (il figlio di un vicario anglicano, impegnato confessionalmente) e quella di Carlos Eire (un cattolico), che hanno adottato un’ampia cronologia, entrambi, a loro modo, dando ampio spazio alla riforma protestante come a quella cattolica. A parte la traduzione italiana della prima, il lettore italiano ha ora anche a disposizione il lavoro di Lucia Felici, La Riforma protestante nell’Europa del Cinquecento, che però più tradizionalmente limita il suo sguardo alle due riforme protestanti, quella magisteriale e quella radicale, e che si segnala piuttosto per un capitolo di sintesi sull’importanza, nel quadro europeo, della riforma in Italia (la stessa Felici ha curato per Claudiana un volume sui contributi italiani a questi studi).
Un rappresentante autorevole di questa recente corrente di studi è Heinz Schilling. A differenza di molti biografi di Lutero tedeschi, egli non è un teologo o uno storico della chiesa ma uno storico della prima età moderna, segnalatosi soprattutto per i suoi lavori sulla Germania della prima età moderna e, insieme a Walter Reinhard e a Paolo Prodi, per i suoi interventi sull’età delle confessioni e del disciplinamento. La sua biografia di Lutero ha ricevuto unanimi consensi ed è destinata a prendere il posto della classica biografia di Bainton del 1950. Il libro ha molti meriti, che qui possono essere soltanto accennati. Il primo è l’attenzione al complesso sfondo storico in cui Lutero ha agito, dal quadro politico generale ai dettagli della Wittenberg in cui visse. La Riforma è un evento tipicamente tedesco che solo col tempo ha acquistato una risonanza europea. Lutero si trovò a vivere in un’epoca di profondi cambiamenti. Questo tempo delle riforme si colloca tra XIV secolo e metà del XVII: egli ne fu il prodotto e lo portò avanti, modellandolo come nessun altro. Alla base c’è la sua fede e la sua visione religiosa, tipica dell’epoca, in cui il soprannaturale era sempre presente nel mondo. La sua era una prospettiva di storia della salvezza a sfondo escatologico. Egli agì come un profeta degli ultimi tempi e, anche se non raggiunse il suo scopo di rifondare su basi evangeliche la cristianità, il suo contributo influì in modo decisivo sulla storia d’Europa. Come altri studiosi recenti, anche il Lutero di Schilling pervenne lentamente alla sua scoperta. I punti di svolta che il riformatore ricostruì molti anni dopo, come l’evento della torre, vanno presi con le molle. Egli pervenne gradualmente alla scoperta fondamentale della giustificazione per fede attraverso il lavoro esegetico e il confronto polemico. Un contributo originale e innovativo del libro è il confronto con l’imperatore Carlo V, dal celebre incontro alla Dieta di Worms del 1521 al secondo incontro a Wittenberg nel 1547, dopo che l’imperatore aveva sconfitto la lega protestante, un incontro, questa volta, con la salma di Lutero nella chiesa del castello, quando l’imperatore vittorioso rispettò le spoglie di colui che rimaneva pur sempre simbolicamente un eretico e un nemico pericoloso, rifiutandosi, a differenza di quello che era avvenuto con le spoglie di John Wyclif, di farle bruciare. Nella ricostruzione affascinante di Schilling, Carlo V e Lutero a Worms erano i rappresentanti di una visione universalistica, l’uno del cristianesimo, l’altro dell’impero cristiano, che, alla loro morte, era fallita. Ma il particolarismo politico e confessionale che trionfò aprì la via a un’Europa plurale: come aveva ben visto Jean Bodin, il futuro apparteneva ormai alla sovranità dei vari stati. Inoltre, la religiosità di questi due avversari è, per Schilling, più vicina di quanto a prima vista sembri: una pietà cristocentrica, frutto della devotio moderna. La sincerità religiosa dell’imperatore è sulla stessa lunghezza d’onda di quella del riformatore. Importante è anche il modo in cui Schilling valuta l’annosa questione del contributo della Riforma alla nascita del mondo moderno. Questa nascita verrebbe interpretata in modo errato se, da una parte, si ritenesse che Lutero, per la sua lotta contro le autorità dell’epoca, fosse un rivoluzionario e, dall’altra, si valutasse in modo negativo, come tendenza antimoderna e di ritorno al passato, la centralità che ebbe per lui la religione e la successiva epoca confessionale in Europa che scaturì da questa posizione, in particolare se confrontate con la razionalità e la libertà dell’epoca del Rinascimento. Le cose sono molto differenti: rafforzando la religione come forza originaria, indipendente, non al servizio della filosofia o dell’arte, e consegnando a essa il mondo come spazio della propria azione e della dimostrazione delle proprie capacità, Lutero liberò un dinamismo che contribuì in modo essenziale alla trasformazione in senso secolare dell’Europa della prima età moderna e, alla lunga, della nascita della modernità vera e propria.
Concludendo nel 2013 il suo profilo biografico di Lutero con un capitolo sulle sue principali interpretazioni anche in Italia, Dall’Olio osservava: “la nostra cultura storica non è stata in grado di produrre una monografia adeguata alle esigenze dei lettori non specialisti”. Di fronte alle due recenti proposte di Prosperi e Nitti si è tentati di ricredersi. Per Prosperi, il problema dell’eredità di Lutero è sintetizzato nell’endiadi “libertà del cristiano – servitù del suddito”: un’eredità indubbia del luteranesimo, fino ai Deutsche Christen, è stata infatti l’asservimento delle sue chiese allo stato. Per questo, se per un verso a Lutero si attribuisce la genesi della moderna libertà di religione, per un altro lo si è spesso visto come responsabile dell’atteggiamento passivo e servile del popolo tedesco. Seguendo un cliché che ha radici confessionali e che oppone il “primo Lutero” (fino al 1521 o alla guerra dei contadini del 1525), teologo originale e creativo, al Lutero successivo, fondatore della chiesa luterana, Prosperi dedica la sua ampia ricostruzione a descrivere il progressivo emergere in lui di una sempre più netta e salda certezza: la miseria della condizione umana, incapace di bene, e la meditazione sull’umanità sofferente di Gesù Cristo. Lutero trovò la risposta ai suoi dilemmi angosciosi sulla natura della giustizia di Dio e sulla salvezza personale nel suo confronto quotidiano con la scrittura: in ciò consiste in fondo la sua originalità.
Il problema di fondo che solleva questa appassionata e appassionante ricostruzione è proprio la scelta fatta a monte. Il rischio è quello di perdere di vista la complessità straordinaria della figura del riformatore. Contro questo rischio si possono leggere sia la biografia di Hendrix che, tra gli altri meriti, ha quello di ricostruire in modo brillante l’incredibile rete di relazioni che durante tutta la sua vita Lutero intrattenne, sia la biografia di Nitti, scritta proprio con lo scopo di fornire al lettore italiano una visione equilibrata e aggiornata della complessa e contraddittoria figura del riformatore anche su punti delicati e controversi come il suo antisemitismo.
giovanni.filoramo@unito.it
G Filoramo ha insegnato storia del cristianesimo all’Università di Torino
I libri
- Guido Dall’Olio, Martin Lutero, Carocci, pp. 248, € 14, Roma, 2017
- Scott H. Hendrix, Lutero. Un riformatore visionario, ed. or. 2015, trad. dall’inglese di Riccardo Pratesi, pp. XXII-413, € 34,90, Hoepli, Milano 2017
- Silvana Nitti, Lutero, pp. 527, € 29, Roma, Salerno, Roma 2017
- Adriano Prosperi, Lutero. Gli anni della fede e della libertà, pp. 580, € 28, Mondadori, Milano 2017
- Heinz Schilling, Martin Lutero. Ribelle in un’epoca di cambiamenti radicali, ed. orig. 2012, trad. dal tedesco di Roberto Tresoldi, pp. 608, € 39,50, Claudiana, Torino 2016
- Carlos M. N. Eire, Reformations. The early modern world, 1450-1650, Yale University Press, 2016
- Lucia Felici, La Riforma protestante nell’Europa del Cinquecento, Carocci, 2016
- Lucia Felici (a cura di), Ripensare la riforma protestante. Nuove prospettive degli studi italiani, Claudiana, 2016
- Roland H. Bainton, Martin Lutero, Einaudi 2013
- Diarmaid MacCulloch, Riforma. La divisione della casa comune europea (1490-1700), Carocci, 2010