I signori del mondo e il grande tempio per tutti gli dei
recensione di Gian Franco Gianotti
dal numero di ottobre 2018
Jörg Rüpke
PANTHEON
Una nuova storia della religione romana
ed. orig 2016, trad. dall’inglese di Roberto Alciati e Maria Dell’Isola
pp. XVI-496, € 34
Einaudi, Torino 2018
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Dall’età del bronzo alla tarda antichità: quindici secoli (e nei dettagli forse qualcosa di più) rappresentano lo spettro cronologico su cui si misura Jörg Rüpke. Questo libro vuole raccontare una storia di lunga durata che ha come argomento privilegiato la fenomenologia, mutante nel tempo, della religione di Roma, ma che di ogni aspetto che in essa coinvolge divinità e credenti sa indagare le origini o almeno le cause prossime nel crogiuolo delle religioni mediterranee lungo le intersezioni con credenze e rituali irradiati dal mondo orientale e dalla Grecia, dall’Egitto e dal mondo ebraico. Una storia, dunque, che a processi di natura cronologica salda procedure euristiche di taglio comparativo e antropologico, indagando periodi caratterizzati da fonti e documentazioni diverse, dai reperti materiali preistorici e archeologici alle tradizioni religiose e culturali, dalle sempre variabili narrazioni mitologiche all’invarianza testuale dei libri sacri, dai riti pubblici a largo ventaglio sociale alla dimensione privata della religiosità dei singoli.
Tutti questi elementi trovano sicuro quadro d’insieme nelle competenze dell’autore: Jörg Rüpke (classe 1962), docente di religioni comparate e vice-direttore del Max-Weber-Kolleg nell’Ateneo di Erfurt, animatore di ricerche collettive di respiro europeo. Caratteristica prima ed evidente del libro è l’assetto multidisciplinare che innerva ogni pagina; si tratta dell’esito di ricerche a lungo sperimentate e di salde collaborazioni: il tutto ben documentato dall’affollata e plurilingue Table of Publications. Una bibliografia personale d’eccezione, di cui si possono seguire i progressi, concreti sul campo e teorici sul piano del metodo, che diventano formule programmatiche nel primo capitolo e prendono corpo nel corso del libro: rifiuto di una visione totalizzante dei fenomeni religiosi dell’antichità in chiave moderna; impegno di ricostruire storicamente le forme religiose vissute nei loro contesti, materiali e sociali; sviluppi della cosiddetta competenza religiosa; valutazione delle identità religiose e – là dove è possibile – della loro estensione e dei mutamenti introdotti da compresenze, conflittuali o compatibili, di altre fedi; attenzione riservata alle tecniche e ai mezzi della comunicazione religiosa. Queste, in sintesi, le direttrici privilegiate dell’indagine, questi gli snodi della narrazione.
Come si è detto, la storia muove dalla prima età del ferro e prende in considerazione diversi luoghi del Mediterraneo, dalla penisola italica pre-colonizzazione greca al mondo miceneo, dalla Tunisia a Malta, in cui si ravvisano aspetti analoghi, dunque comparabili, di quella che viene definita una vera “rivoluzione dei mezzi di comunicazione” col divino e sul divino. Il racconto passa così in rassegna una serie di spazi circoscritti, la casa, il santuario, il deposito di materiali (armi, ceramiche, donativi, offerte votive), la necropoli, individuando nei valori reali o simbolici di oggetti e corredi conservati nei singoli luoghi le forme di una religiosità vissuta, in grado di coinvolgere individui, gruppi specifici o intere comunità lungo percorsi di pratiche ritualizzate in funzione identitaria. Dai momenti di crisi di ogni vita individuale (nascite, unioni, morti) e comune (guerra, pace, eventi catastrofici) al calendario delle ricorrenze pubbliche, dai banchetti privati alle festività collettive, gli attori dei riti, nel riconoscere i propri dèi, rendono anche riconoscibili se stessi, i propri usi e i propri costumi di fronte alle comunità esterne. Cielo, terra e inferi, in sostanza, sono gli scenari in cui si svolge l’attività religiosa, in forza del potere allegorizzante dei linguaggi che agisce sugli strumenti, anche sui più umili, e sugli atti e sui vocaboli, anche sui più semplici, e sa assegnare valenza sacra agli oggetti domestici e quotidiani. Si pensi al primitivo coltello di pietra che diventa coltello del sacrificio in mano agli officianti romani: sacena, corradicale di saxum, in paronomasia con sacer. Tra i diversi esempi di comunicazione religiosa menzionati dall’autore si segnala la pietra di confine tra comunità umbre promossa, per mano di magistrati, a simbolo sacro in riferimento “alla sua condizione di irremovibilità e al suo carattere di proprietà pubblica condivisa”.
Le vicende cronologiche delle società mediterranee hanno via via distinto, in tempi e modi propri, lo spazio del privato, del pubblico e del sacro, così come hanno perfezionato la distinzione tra gli attori abilitati a gestire i singoli momenti…
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