Un bilancio a due voci
Intervista a Mirco Dondi e Nando dalla Chiesa di Tiziana Magone
Per studiare l’Italia repubblicana bisogna spesso ricorrere a fonti di tipo giudiziario, e i due piani, quello storico e quello giuridico finiscono a volte per sovrapporsi e/o confondersi. È una peculiarità tutta e solo italiana? Sulla strage di piazza Fontana tra gli elementi accertati che possono oggi essere patrimonio storico comune e acquisito, quali sono i più importanti?
Mirco Dondi: I due piani non si sovrappongono, dal momento che il giudice e lo storico sono animati da due intenti non pienamente coincidenti. Il giudice deve stabilire l’esistenza di elementi di colpevolezza a carico degli indagati mentre lo storico è chiamato a ricostruire un contesto d’azione che è più ampio rispetto a quanto solitamente si trova nei verbali processuali. La rilevanza delle fonti giudiziarie per la storia è in rapporto ai temi che si studiano e, nello specifico, alle esperienze che ha vissuto un paese. In nessuno stato europeo è stato presente un fenomeno così vasto come lo stragismo nero in Italia che ha vissuto due fasi: quella della strategia della tensione dal 1969 al 1974, e la seconda maturata con due successive e tragiche appendici quali la strage di Bologna del 2 agosto 1980 e quella del rapido 904 del 23 dicembre 1984, strage maturata in ambito terroristico mafioso, con legami nel mondo dell’estrema destra. La seconda fase, e in particolare la strage di Natale, presenta tratti molto diversi rispetto alla prima, quello che non cambia è la modalità di attacco indiscriminato che si abbatte in modo casuale su persone innocenti, colpendo però in maniera diretta la democrazia. Episodi di strategia della tensione europea si possono ritrovare in Belgio tra il 1982 e il 1985, quando la banda del Brabante, con una serie di rapine nei supermercati Delhaize causa 28 morti sconvolgendo il paese. Il bottino ottenuto, di poco superiore ai 150.000 euro, non è particolarmente rilevante e le rapine si rivelano essere la copertura di una manovra di forte destabilizzazione. Nell’ambito dell’estrema destra europea rientra anche il seminatore di bombe (il caso Bommeleeër), attivo in Lussemburgo tra il 1984 e il 1986. L’episodio più noto di stragismo nero europeo è la strage dell’Oktoberfest a Monaco il 26 settembre 1980, che uccide 13 persone e, a seguire, sempre con una chiara impronta neonazista, l’uccisione di quattro pesone alla sinagoga di Parigi del 3 ottobre 1980.
Sulla strage di piazza Fontana possiamo ritenere un patrimonio storico acquisito la responsabilità di Ordine nuovo, il ruolo dei servizi nel depistare, creare falsi elementi di prova e occultare elementi reali di prova, si tratta di una coerente e lunga attività che è riduttivo definire deviante, semmai normale pratica di funzionamento. Questo aspetto rimanda alle indubbie responsabilità dei politici ai quali i servizi rispondevano. Le dichiarazioni di Paolo Emilio Taviani, pur incomplete, segnano comunque un’ammissione di responsabilità, non soltanto sua, ma di chi, quantomeno, ha gestito i dicasteri chiave.
Nando dalla Chiesa: Che per accertare la verità storica si debba fare ricorso – tra le altre – anche alle fonti giudiziarie, è evidente. Tuttavia, nella vicenda italiana le fonti giudiziarie assumono un rilievo particolare. E questo per la ragione che la storia italiana è stata segnata in modo straordinario dall’esistenza di poteri criminali e da fenomeni vasti e socialmente aggressivi di illegalità organizzata. Mafia, camorra, ’ndrangheta, mafie autoctone o minori (ma che hanno segnato la storia di città o regioni), criminalità finanziaria, criminalità politica, terrorismo di destra e di sinistra, P2, sono tutti soggetti operanti, per periodi più o meno lunghi, nello svolgimento della vita pubblica nazionale. Autonomamente o secondo schemi variabili di alleanze. Data la tendenziale, anche se mai assoluta, segretezza con cui il crimine viene concepito e attuato, gli atti giudiziari diventano dunque una risorsa fondamentale, talora la risorsa primaria, per ricostruire fatti, protagonisti, ambienti, relazioni causa-effetto. Gli atti giudiziari non possono però esaurire mai la storia. Perché esistono sempre condizioni generali, attori ufficiali, sistemi di relazioni che l’attività investigativa non riesce, a mettere in luce. Di più: gli atti giudiziari sono rivolti a definire responsabilità penali, ma esistono comportamenti che per quanto penalmente non rilevanti, hanno una responsabilità primaria nello svolgimento della trama criminale. Comportamenti che spetta alla ricerca storica definire, oltrepassando a volte gli stessi atti giudiziari. Nel caso italiano poi, ed è questo un effetto della vastità dei poteri criminali e illegali, la giustizia viene sottoposta a torsioni, manipolazioni, mutilazioni, volte a impedire l’accertamento della verità giudiziaria. Piazza Fontana su questo è stata per la mia generazione una formidabile esperienza formativa. Si rivelò nel tempo l’esistenza di una vera tecnologia dell’impunità, che si sarebbe ritrovata in diversi grandi processi di mafia. La verità giudiziaria può dunque non solo essere insufficiente a delineare la verità storica ma addirittura conflittuale con essa. E questo carica di responsabilità cruciali e delicatissime lo storico come il sociologo come anche il politico. Non vi è insomma solo la supplenza del giudice. Vi è anche la supplenza dello studioso.
Per piazza Fontana emerge un quadro comprovato di depistaggi e coperture istituzionali che hanno reso possibile quella e altre carneficine di cittadini inermi impedendo per decenni l’accertamento delle responsabilità. Di contro c’è la tenacia di altre istituzioni, uomini di stato e della società civile che hanno continuato a indagare, scrivere e tenere alta l’attenzione su quegli orrori. Una vicenda come quella di piazza Fontana testimonia più l’inaffidabilità e la corruzione dello stato o la tenuta delle forze democratiche? Come possono convivere all’interno delle istituzioni pubbliche queste due componenti?
Mirco Dondi: Testimonia in forma evidente entrambi i fenomeni. La straordinaria risposta della società civile ha salvato la democrazia nata dalla costituzione, ma non è stata in grado di ripulire gli apparati occulti che si sono trasformati dopo il 1974 e sono rimasti annidati nel ventre dello stato, come mostra con chiarezza la vicenda della P2, coinvolta anche nel depistaggio della strage di Bologna del 2 agosto 1980.
Nando dalla Chiesa Lo stato di piazza Fontana era bifronte, e aveva la lingua biforcuta. Più di oggi. Perché ai rapporti con la dimensione illegale si assommava la forte presenza di un personale che, nella magistratura come nelle forze dell’ordine, era figlio diretto dell’esperienza fascista del potere. La tolleranza verso i progetti eversivi di destra era dunque diffusa e nemmeno vissuta come colpa costituzionale. Fu, al di là di come si è conclusa la vicenda giudiziaria, una battaglia per la democrazia. E in questo vinse, per riprendere un’espressione di Corrado Stajano, “la forza della democrazia”. Ciò non toglie che il tema della presenza dei “due stati” dentro lo stesso stato rimanga, e sia un aspetto peculiare e rilevante della democrazia italiana. Personalmente ho la sensazione che lo stato “costituzionale” abbia guadagnato terreno rispetto all’altro negli ultimi decenni, anche per effetto dei grandi traumi a cui le istituzioni sono state sottoposte negli anni ottanta e novanta. E mi pare anzi che questo stato abbia progressivamente conquistato una sua relativa autonomia dalla stessa politica. Il tema urgente però, accanto a quello dello stato, è quello degli orientamenti della società civile. Che domanda di stato viene espressa infatti dalle varie articolazioni della società italiana? Che nozione di stato viene praticata? La coesistenza nelle istituzioni pubbliche di una componente legalitaria e di una componente “illegalitaria” si dimostra cioè possibile, e perfino fisiologica nella realtà nazionale, al di là delle stragi, non solo per dinamiche istituzionali ma anche per più ampie dinamiche civili e culturali. Al punto che sembra essere questo, oggi, il terreno più complesso della sfida.