Intervista a Francesco Remotti di Massimo Vallerani
In questo libro lei sferra un attacco frontale al sistema delle identità che ci impone una visione dicotomica della realtà e di noi stessi secondo schemi astratti, artificiali e spesso falsi. Al contrario, ogni volta che si parla delle somiglianze, si sottolinea la loro inevitabile e insopprimibile presenza nonostante la potenza del meccanismo identitario che tende ad annullarle. In verità, viviamo grazie a una continua serie di micro-analogie con cui capiamo il mondo circostante e decidiamo quali cose sono simili e quali differenti. Se non avesse scritto un libro “contro” la natura, si potrebbe dire che il nesso SoDif sia una condizione quasi naturale degli uomini.
Sì, è vero. Mi sono sempre più convinto che, mentre l’identità è soltanto una rappresentazione – e per di più una rappresentazione falsa (un’illusione, una finzione) – le somiglianze, o meglio il misto di somiglianze e differenze (quello che chiamo il SoDif), è qualcosa con cui abbiamo costantemente a che fare. La visione che scaturisce dal SoDif coincide in buona misura con ciò che ci dice la teoria della complessità: il mondo è un intrico di relazioni, che spesso sfuggono al nostro controllo. In ogni momento, noi compiamo gesti – siano essi mentali, siano essi pratici – con cui mettiamo un po’ di ordine in questo intrico, cercando di trasformare, se possibile, l’intrico in un intreccio. A pensarci bene, la rappresentazione del SoDif è sempre meno complessa del SoDif: c’è sempre una riduzione, una selezione (anche se involontaria e inconsapevole), una decisione che sfronda. Ogni rappresentazione è sempre una de-complessificazione. I sentieri che costruiamo, i cammini che percorriamo sono sempre meno, molto meno della “selva delle somiglianze” in cui viviamo (per riprendere il titolo di un libro di Viano). Forse possiamo dire che le culture umane si distinguono per il grado di riconoscimento del SoDif. Nel terzo capitolo mi sono divertito a fare vedere come il totemismo dei Wanindiljaugwa sia volutamente un guazzabuglio di somiglianze e differenze. Al contrario, le concezioni identitarie negano il SoDif o lo riducono a una banalità stupida e superficiale.
Vorrei però insistere su un dato meno ottimistico relativo alla funzione delle somiglianze: come spesso si ripete – soprattutto nella seconda sezione del libro (la forza delle somiglianze) – il meccanismo SoDif non è indolore: impone anzi una faticosa sequenza di scelte grandi e piccole che non sempre sono “giuste”, tutt’altro. Possiamo abbandonare l’identità (di per sé escludente e chiusa) e decidere di somigliare e di condividere la nostra “dividualità” con dei tagliatori di teste. Le somiglianze non hanno limiti etici che ne garantiscano la bontà? È così?
Una bella differenza tra la concezione identitaria e la concezione del SoDif è che la prima si presenta sempre come qualcosa di positivo, di legittimo, di rassicurante: occorre fare uno sforzo mentale notevole per dimostrare i guai che essa comporta. La concezione del SoDif invece è per niente rassicurante. Sarebbe stupido pensare di opporre alla critica dell’identità la soluzione delle somiglianze, come se bastasse dire no all’identità e sposare le somiglianze per risolvere i nostri problemi. Riconoscere il groviglio del SoDif è solo il primo passo del problema e la concezione del SoDif, quale ho voluto illustrare nei capitoli centrali di questo libro, comporta fin da subito riconoscere i rischi delle somiglianze: rischi epistemologici e rischi morali. A me piace molto citare a questo proposito Platone, quando egli afferma che le somiglianze sono un genere di cose di cui occorre diffidare: le somiglianze costituiscono un terreno scivoloso; se non stiamo attenti, ci trascinano là dove non pensavamo di andare a finire. Platone ha ragione. Non lo seguo però quando egli propone di passare su un altro terreno, il terreno solido e indubitabile dell’identità (l’identità delle idee). Noi siamo condannati a muoverci sul terreno viscido delle somiglianze: non ci rimane altro che prestare il massimo di attenzione per capire quali connubi di somiglianze e differenze siano di volta in volta proponibili. Dei tagliatori di teste parliamo però, in maniera appropriata, un’altra volta.
Dal libro emerge anche un’immagine paradossalmente più dialettica della stessa “identità”: forse non è solo un’escrescenza malefica imposta da gruppi di potere nei momenti di conflitto, ma una delle soluzione possibili, e purtroppo a volte la più efficace, per dare un ordine alla “selva delle somiglianze” che rischia di sommergerci: soprattutto nei momenti di crisi, quando diminuiscono le risorse per accettare di condividere cose e persone con i propri simili. In quale misura l’identità è una “conseguenza” del sistema ingovernabile delle somiglianze o una risposta, altrettanto naturale e inevitabile, al caos del SoDif?
Certo, il fascino dell’identità è più insinuante della forza del potere. Per questo non ci decidiamo a sbarazzarcene. Rispetto ai problemi di governabilità del SoDif essa si presenta certamente come la più efficace: consiste nel prendere un machete e non limitarsi a sfrondare, ma tagliare tutte le somiglianze che legano i “noi” agli altri. Niente condivisione: i simili non sono neanche più i nostri simili; sono puramente e semplicemente gli altri, buttati nell’alterità. Occorre forse proseguire per fare vedere che l’efficacia di questa soluzione è un abbaglio pernicioso? che negare le somiglianze, il principio stesso della condivisione e della convivenza, è una forma di impoverimento culturale accecante? Sono abbastanza convinto che i fenomeni di spaventosa cecità di cui diamo prova siano in buona parte dovuti alla concezione identitaria, la quale si rifiuta di seguire le direzioni del SoDif verso il futuro, e invece obbliga a inchiodare lo sguardo sul passato o su un presente che è già subito passato. Che l’identità sia una risposta allettante e seducente fa parte senza dubbio del mio punto di vista critico. Ma non ho scritto un intero libro sulle somiglianze per indurre il lettore a pensare che l’identità sia una conseguenza inevitabile o una risposta naturale al caos del SoDif. L’identità è il presupposto e il frutto della guerra contro le somiglianze, di cui ho parlato nel capitolo IV: e questa è una faccenda che riguarda noi, la storia del nostro pensiero.
Resta infine la necessità di capire meglio la pratica quotidiana delle somiglianze: in quale modo, pur riconoscendo la forza dell’identità e la sua prossimità al sistema SoDif, possiamo se non proprio sconfiggerla, quanto meno rendere l’identità meno attrattiva, meno utile rispetto alla logica della somiglianza?
Risponderei con la parola che ho voluto mettere nel sottotitolo del mio libro: convivenza. Anche nella vita quotidiana. Dico subito che questo mio libro è incompleto: era ormai troppo lungo e ho dovuto arrestarmi a un certo punto. Ciò che manca sono appunto le pratiche delle somiglianze: manca la parte più antropologica del mio discorso. Sono però riuscito a introdurre negli ultimi due capitoli un argomento a cui tengo molto e che costituisce una sorta di verifica dell’incidenza delle somiglianze: il tema dell’io, dell’individuo, della persona. Spero di essere riuscito a illustrare, insieme alla critica dell’identità, la crisi del concetto di individuo. Tutto ciò non per il gusto della dissoluzione, ma per far vedere come sia possibile concepire il soggetto umano come un “condividuo”, cioè come un insieme fatto di somiglianze e differenze tra sé e sé e tra sé e gli altri. Ho tratto ispirazione dall’antropologia della persona con la sua concezione “dividuale”, ma approfondendo certi casi etnografici ho voluto spingere verso il tema della convivenza. Il singolo (“piccolo insieme”) è fatto di convivenza, la quale dunque non è soltanto un’aspirazione da anima bella: è una qualità strutturale della vita. Mi ha colpito la convergenza che sul tema del condividuo si viene a determinare tra antropologia, psicologia, biologia. Grazie al riconoscimento del condividuo possiamo pensare a forme più estese e decisive di convivenza: a partire – tema di estrema attualità – dalla convivenza con la natura.
Leggi le due recensioni a Somiglianze sul numero dell’Indice di maggio: quella di Alessandro Cavalli e quella di Gabriele Lolli.