Sulla corruzioni di papi, scrittori e lettori
recensione di Vincenzo Latronico
Dino Baldi
VITE EFFERATE DI PAPI
pp. 516, € 19
Quodlibet, Macerata 2015
“Per un greco, e poi per un romano, la realtà vera (vera per noi) non aveva particolari privilegi rispetto alla realtà inventata (inventata per noi), e il fatto che una cosa fosse accaduta non le dava alcun vantaggio rispetto a una cosa che non era accaduta ma che sarebbe dovuta accadere secondo ogni logica di buon senso o di opportunità. In sostanza è più vero quello che è più utile o più adatto per quel determinato scopo o semplicemente più bello, più elegante, più divertente, più tragico, più comico, più giusto.”
Dino Baldi introduceva così Morti favolose degli antichi (Quodlibet, 2011), che è proprio ciò che il titolo lascia pensare: una splendida antologia ragionata di grandi culmini di grandi vite, divisa per tema e per tipo di protagonista. Sono passati quattro anni, e sempre con Quodlibet esce ora il suo Vite efferate di papi. Anche in questo caso, il criterio di realtà è quello. Anche in questo caso, il titolo è esplicativo.
Vite efferate di papi è una raccolta di vite di papi scelte e raccontate sostituendo ai criteri tradizionalmente preferiti dagli storici la ricerca del meraviglioso, il gusto del comico, il piacere di stupire e una profonda fascinazione per ogni espressione del male. Si parte da Pietro e si arriva fino alla fine dello Stato Pontificio, attraverso storie di papi celebri (per inclinazione personale ho cercato subito Bonifacio VIII), o meno (il sottotitolo di Eugenio IV: “Altri esempi di fughe papali”), o chiaramente mai inventati (la papessa Giovanna, il Preteianni). Le vite tendono a essere molto brevi, scritte con uno stile che oscilla fra un’ironia secca da illuminista e la lussureggiante comicità involontaria delle liste di Plinio.
Baldi presenta questo libro documentatissimo come un “tentativo di resuscitare antiche calunnie”. Ribaltando il processo storiografico classico, queste brevi biografie di papi privilegiano sistematicamente l’iperbole, la piaggeria smaccata o la maldicenza leggendaria; ci sono più resurrezioni magiche che piccoli atti di carità, e più colloqui a tu-per-tu con il demonio che peccatucci. Le fonti a cui viene data più fede sono sempre quelle interessate, adulatorie, malevole. Quando di un evento sono riportate versioni contraddittorie, spesso sono presentate come vere entrambe. Da questo risulta un aspetto apparentemente paradossale di questo libro: e cioè che lette una ad una le vite di papi di Baldi sono dei racconti incredibilmente divertenti. Parlano di figure estreme: potentissime, sommamente buone o crudeli, a capo di un’istituzione che per quasi due millenni è stata al vertice di una consistente parte del consorzio umano, e che da allora pare conoscere solo periodi di disperata decadenza o di sommo fulgore. Leggendone si entra in un mondo che pullula di emissari angelici e di ammazzamenti e di prodigi.
Ne pullula così tanto che si tende a dimenticare che quel mondo è il nostro. Le conte dei morti sono gonfiate dal gusto per l’iperbole; i piccoli tradimenti sono trasfigurati in commerci satanici; la simonia e il peccato sono moltiplicate dal pettegolezzo: però nel fondo queste storie hanno un legame con una qualche forma di verità, quale che essa sia, e questa verità è che gli emissari in terra del Dio del bene spesso e volentieri fanno il male.
Quando ce ne si ricorda, dalla lettura appare come una qualità emergente un tema di fondo più cupo. Appare che Vite efferate di papi è un libro sulla corruzione. Non in quanto intrinseca a uno specifico sistema politico, non in quanto strumento di una polemica antireligiosa, bensì in quanto parte costitutiva della natura umana: contrastata o più spesso favorita da quel brodo di coltura degli estremi che è la corte papale, una millenaria tirannide elettiva, un punto di contatto fra regno divino e regno umano. E quindi questa corruzione è quella dei papi, certo; ma è anche quella degli storici che li hanno malignati per regolamento di conti o per pura e semplice invidia; e quella dell’autore che si è affidato ad essi e che perversamente ha scremato, fra le dicerie, le più succulente; e quella del lettore che ci sguazza, in tutta questa corruzione, rendendosi con ogni risata un po’ più complice in questa indagine – erudita, fantastica, godibilissima e stralunata – sulla fascinazione umana per il male.
Dalla vita di papa Formoso: “Penso a una civiltà che abbia ereditato secoli di sapienza e di dottrina giuridica e sociale, che abbia il ricordo confuso, ma convinto, di esperienze del vivere civile, conversazioni, casi e convenienze cristallizzate in ordinamenti e formule che regolano il confuso andamento delle passioni umane. E che prenda questi riti e convenienze e le mescoli a una materia mobilissima e turpe che gli viene da dentro, repressa da tempo e ora incontenibile, come nei bambini che rivestono le proprie amoralità con forme e subarchetipi da adulti, un po’ per giocare, un po’ per giustificarle e farle passare senza eccessivi intoppi. Finché piano piano, divendando grandi, questa materia incoerente troverà una sua propria forma più o meno originale, e al tempo stesso un modo più scaltro per continuare ad essere turpi, ma tale che nessuno, nemmeno i posteri, potrà più obiettare niente.”
Di chi parla questo passaggio?
v.latronico@gmail.com
V Latronico è scrittore