Logorati, ma inaspettatamente soddisfatti
recensione di Giorgio Giovannetti
dal numero di maggio 2018
Il Primo piano dedicato alla scuola nel numero di maggio 2018 propone una riflessione articolata sul ruolo degli insegnanti oggi in Italia.
La sezione, che si apre con l’analisi del volume di Gianluca Argentin Gli insegnanti nella scuola italiana e che grazie al saggio di Maddalena Colombo Gli insegnanti in Italia permette di fare una sorta di “radiografia” della professione come evoca il sottotitolo del libro, allarga i suoi orizzonti presentando esperienze che escono dalle aule scolastiche per diventare un “moltiplicatore pedagogico” nella sensibilizzazione alla lotta antimafia come racconta Nando Dalla Chiesa in Per fortuna faccio il prof. Il volume a cura di Michele Colucci e Stefano Gallo In cattedra con la valigia è invece dedicato al tema del reclutamento scolastico e alla mobilità degli insegnanti, mentre Isabella Pedicini in Vita ardimentosa di una prof racconta la via crucis tragicomica che si deve affrontare per diventare insegnanti in Italia.
Gianluca Argentin
GLI INSEGNANTI NELLA SCUOLA ITALIANA
Ricerche e prospettive di intervento
pp. 252, € 22
il Mulino, Bologna 2018
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Chi porta avanti la scuola? Di primo acchito verrebbe da dire: gli insegnanti. Si tratta però di una risposta tanto semplice, quanto imprecisa. Un’osservazione un po’ più approfondita sul sistema scolastico, nonché anni di ricerche sull’argomento, ci fanno capire che i processi di insegnamento-apprendimento sono qualcosa di ben più complesso, che coinvolge molteplici fattori: istituzionali, giuridici, economici, sociali, culturali. Appare quindi ineccepibile che le ricerche sociologiche ed economiche sulla scuola esaminino la condizione degli insegnanti all’interno di un più ampio contesto. È però singolare che ciò abbia prodotto, almeno in Italia, una relativa scarsità di studi specifici e sistematici sulla figura dell’insegnante. Colmare questa lacuna è uno degli obiettivi del libro di Gianluca Argentin, che si propone innanzi tutto di fare il punto sullo stato delle ricerche sugli insegnanti da parte della sociologia, nelle sue varie sub-articolazioni, e dell’economia, e di metterle a confronto in un’ottica il più possibile organica.
Questo lavoro di comparazione produce diversi risultati interessanti. Per esempio, le ricerche economiche sull’efficacia del lavoro degli insegnanti vengono valorizzate criticamente: se ne apprezza l’importanza, ma si sottolinea anche la necessità di superarne le ingenuità e le semplificazioni, integrandole con gli studi sociologici che mettono in luce il carattere multidimensionale dell’efficacia dell’insegnamento, che è tale se produce negli studenti anche competenze non cognitive e ne accresce la motivazione, aspetti in genere tralasciati degli economisti dell’istruzione. Per non parlare della famosa “scatola nera”, cioè l’insieme delle attività quotidiane svolte in classe dagli insegnanti, tradizionalmente ignorato dalle ricerche economiche sugli insegnanti, le cui caratteristiche e la cui efficacia cominciano invece a essere oggetto di studio in ambito sociologico.
Insegnanti in Italia: la percezione di una categoria in crisi
Il libro di Argentin non si limita a cercare di fare una sintesi delle ricerche sugli insegnanti, ma si propone anche di mettere in luce i principali nodi problematici di questa categoria di lavoratori. Per esempio, la percezione di essere una categoria in crisi, attualmente molto diffusa tra i docenti, emergeva già nelle prime ricerche sugli insegnanti italiani, a partire da Le vestali della classe media di Barbagli e Dei, del 1969, vera e propria pietra miliare della sociologia dell’istruzione in Italia. Il persistere nel tempo del concetto di “crisi dell’insegnamento” permette all’autore di ipotizzare che la “crisi” sia una condizione strutturale dell’insegnamento, quanto meno in Italia. L’immagine dell’insegnante emergente dal libro di Argentin è infatti quella di un soggetto sociale la cui identità lavorativa e il cui ruolo sono ambigui e che deve affrontare nella propria attività dilemmi di difficile soluzione. Il lavoro dell’insegnante soddisfa alcuni dei criteri che caratterizzano le occupazioni di tipo “professionale” – come la rilevanza sociale, il lungo percorso di formazione e la dimensione etica – ma non tutti, presentando anche aspetti “impiegatizi”. Anche la sua funzione sociale è ambigua: trasmettere il sapere o favorire la socializzazione? Di qui i molti dilemmi di questa professione: selezione versus uguaglianza, standardizzazione versus differenze, innovazione versus tradizione. Ogni insegnante, per quanto possa propendere maggiormente per uno dei due poli, non può mai del tutto ignorare l’altro. Peraltro, come mette in evidenza Argentin, questa condizione di perenne crisi produce anche risultati inaspettati.
Come ci si potrebbe attendere, molti insegnanti vivono il proprio lavoro con disagio. Innanzi tutto dal punto vista economico: gli insegnanti italiani sono effettivamente tra i meno pagati in Europa, anche se Argentin ci mostra che il divario è particolarmente rilevante solo rispetto ad alcuni paesi e che semmai è più grave, in confronto al resto dell’Europa, a causa della scarsa progressione economica degli stipendi e della diminuzione del salario reale nell’ultimo decennio. Inoltre gli insegnanti italiani, tra i più vecchi d’Europa, sono esposti al rischio delle demotivazione e della stanchezza, crescenti soprattutto con l’età, a causa del naturale logoramento fisico, ma anche dei molti cambiamenti nella società e nella scuola; tale logorio può addirittura sfociare, nei casi più estremi, nella sindrome di burnout. Vi è poi la percezione, assai diffusa tra gli insegnanti del nostro paese, di un insufficiente riconoscimento sociale del loro lavoro, che peraltro le ricerche citate da Argentin confermano solo parzialmente.
Se questi motivi di insofferenza sorprendono poco, decisamente inaspettata è la soddisfazione che la netta maggioranza dei docenti italiani, in misura maggiore rispetto ai loro colleghi europei, dichiara di provare per il proprio lavoro. Se non si parla di stipendi e di riconoscimento sociale, ma del mestiere di insegnare, gli insegnanti italiani si dichiarano ampiamente gratificati dallo svolgimento della propria attività. Difficile comprendere le ragioni di tanta e inaspettata soddisfazione: Argentin ipotizza alcune spiegazioni, tra cui la capacità degli insegnanti di trovare compensazioni di tipo non economico alle inadeguatezze legate al salario e allo status sociale, come la possibilità di trovare una sede di lavoro che possa garantire alcuni vantaggi in termini di vicinanza, di ambiente di lavoro e di utenza.
Quali azioni mettere in campo?
La ricerca di Argentin, oltre a fornire molteplici spunti di analisi, si propone anche un terzo obiettivo: fornire indicazioni operative per i ricercatori e per i decisori politici. Sul primo fronte, coerentemente con l’impianto del volume, Argentin propone di sviluppare ricerche sulla condizione degli insegnanti che abbiano sempre più un carattere multidisciplinare e coinvolgano, oltre alla sociologia e all’economia, anche le scienze dell’educazione e la psicopedagogia, e che si concentrino soprattutto su tre temi: le reti di collaborazione e di scambio tra i docenti all’interno delle scuole e tra scuole diverse; le opinioni dei cittadini sugli insegnanti e sulle politiche di gestione del corpo docente; il contributo degli insegnanti alla riproduzione delle disuguaglianze sociali. Quest’ultimo tema, al centro del lavoro di Barbagli e Dei del 1969, nonché delle riflessioni di don Milani e del movimento studentesco del Sessantotto, negli ultimi anni è stato colpevolmente tralasciato, benché molti dati recenti, citati da Argentin, ne mostrino l’assoluta attualità.
Sul piano delle politiche di miglioramento della qualità dell’insegnamento, Argentin propone tre possibili riforme: il riconoscimento delle differenze esistenti tra gli insegnanti, garantendo a coloro che sono in possesso di specifiche specializzazioni e sono disponibili a lavorare di più per la scuola, di ottenere miglioramenti in termini economici e di carriera; la limitazione della possibilità di cambiare sede di lavoro, onde evitare fenomeni disfunzionali, come la discontinuità didattica e la minore disponibilità di docenti motivati nelle sedi dove si concentrano gli studenti più problematici; la realizzazione di un piano di sperimentazioni controllate – sui temi della didattica, dell’organizzazione del lavoro e della formazione – che metta capo a un albo nazionale di buone pratiche, rigorosamente valutate e selezionate, a cui tutte le scuole interessate possano attingere per migliorare la propria attività e far fronte alle sfide sempre più complesse che devono affrontare.
In questo libro, decisamente prezioso per chi voglia comprendere la condizione e i problemi degli insegnanti italiani, forse è proprio quest’ultima parte la più debole. Non già per la maggiore o minore condivisibilità delle proposte, ma perché non appaiono sufficientemente sostenute dal ricco apparato analitico che le precede. Mi riferisco alle prime due, non alla terza: quest’ultima, al contrario, mi sembra invece molto coerente con l’approccio sviluppato da Argentin. Se la scuola italiana fosse capace di realizzare sperimentazioni, di censirle, e non disperderle come solitamente accade, e di sottoporle a rigorose valutazioni, di cui il libro di Argentin fornisce molti e interessanti strumenti, forse il lavoro degli insegnanti potrebbe conoscere quel salto di qualità di cui vi è assolutamente bisogno.
gg.giovannetti@gmail.com
G Giovannetti è insegnante e autore di libri di testo