Cimiteri dissodati e cacciatori di sanguisughe
di Andrea Nicolotti
Francesco Paolo de Ceglia
Vampyr
Storia naturale della resurrezione
pp. 416, € 34,
Einaudi, Torino 2023
Storia naturale della risurrezione, recita il sottotitolo: e infatti il libro si apre con una risurrezione, quella di Gesù. Secondo il filosofo illuminista Hermann Samuel Reimarus si trattò soltanto di una messinscena, di un cadavere sottratto nottetempo: un risorto che non è mai risorto. E a Gesù rimanda anche la chiusa del libro: se Gesù ha risuscitato Lazzaro, è lui ad aver creato il primo vampiro, così almeno afferma un personaggio della serie televisiva True Blood. O forse era un vampiro lui stesso, i cui seguaci, come vampiri, bevono il suo sangue.
All’interno di questa sottile cornice Francesco De Ceglia compone un’intricatissima storia del vampirismo, la quale altro non è che una “storia epistemologica di oggetti inesistenti”. L’opera è scorrevolissima, capace di dare una forma compiuta a molteplici rivoli di una vicenda multiforme e complessa, con uno stile volutamente ricercato, evocativo, spettacolare, in certi punti quasi romanzesco, mai però sganciato dal dato storico e testuale. Ne scaturisce un volume che non si presenta come l’ennesimo studio sulla storia del vampirismo, ma come un tentativo di rileggere tutto il fenomeno con stili e prospettive nuove. L’inizio ufficiale della storia si colloca tradizionalmente nel 1731 nel villaggio serbo di Medvedja, dove in seguito alle lamentele di alcune persone molestate da un defunto si decise di riesumarne il cadavere; constatatolo “incorrotto”, intriso di presunto sangue fresco, fu nuovamente ucciso infilandogli un paletto nel cuore e bruciandone i resti. Lo si definiva un “vampiro”, un “succhiasangue”, al quale venivano ascritte morti sospette nel villaggio che, si credeva, potevano interrompersi solo con la riesumazione e la seconda soppressione del suo corpo. Di qui il dilagare delle riesumazioni e le inchieste ufficiali, con una conseguente febbre per i vampiri che esplose in tutta Europa (collocando, per errore, il villaggio serbo in Ungheria). Persino il famoso benedettino francese Augustin Calmet si scomodò a redigere un trattato sui vampiri, attirandosi le critiche di Voltaire. Ma non si trattava di credenze nuove; qualche anno prima erano stati registrati eventi simili, pur non avendo avuto la medesima fortuna. E già nel XVI secolo poteva capitare che qualche morto fosse riesumato perché ritenuto colpevole di qualche cosa che succedeva fra i vivi. I nomi affibbiati a questi “ritornanti” erano molti, le caratteristiche diverse. Alcuni si accoppiavano con i vivi. Taluni potevano contagiare, altri no. Certuni nelle tombe grugnivano, o mangiavano i propri vestiti. Altri ancora succhiavano latte o grasso dal bestiame. Già due secoli prima si parlava di morti ritornanti in vita, e ancor prima di cadaveri mangiasudari, che poi venivano riesumati, ispezionati e riseppelliti. Nel basso medioevo, in Inghilterra, circolavano racconti su vivi che andavano a decapitare i morti. E in certi luoghi la differenza fra un vampiro, una strega e un lupo mannaro non era così chiara come potrebbe sembrare. Come non ricordare, poi, le apparizioni di defunti che portavano notizie di morte? Difficile, come si vede, stabilire quando davvero nacquero i vampiri. Più facile ricostruire lo svolgersi della loro fortuna, dagli oscuri inizi fino ad arrivare all’idea relativamente moderna del pipistrello-vampiro ghiotto di sangue.
Già, il sangue: un elemento sempre presente. Quel sangue morto che, fin dal medioevo, era ritenuto capace di rivitalizzarsi per dare segni di vendetta e accusare presunti assassini: questa “cruentazione” i teologi e i medici della Riforma la ritenevano essere un fenomeno potenzialmente naturale, mentre per i cattolici si trattava di un prodigio se non di un miracolo (il più illustre, quello di San Gennaro a Napoli). Tutto rimanda a una ben più ampia discussione sulla differenza che intercorreva fra la vita e la morte, un confine più sfumato e permeabile nei paesi del Nord e più rigidamente delineato per quelli del Sud. Discussione non troppo oziosa, se si guarda alla paura di molti di essere sepolti prematuramente, ancora vivi.
I vampiri andavano scovati e neutralizzati. Li si ricercava nei modi più inconsueti: persone che in vita avevano lasciato qualche dubbio dietro di sé venivano riesumate se a qualcuno sembrava che fossero la causa di qualche tipo di problema. In Valacchia, ad esempio, per stanarli si faceva camminare sopra le fosse un destriero nero cavalcato da un bambino, perché si pensava che il cavallo avrebbe evitato le fosse dei vampiri. E per neutralizzarli, una volta riaperte le tombe i loro corpi venivano arpionati e trascinati fuori dal cimitero attraverso un buco scavato nel muro e poi subito richiuso, perché si pensava che qualora fossero usciti dalla porta sarebbero poi stati in grado di ritrovare la strada e rientrarvi. Si arrivò persino al punto di bere le ceneri del cadavere mescolate ad acqua, oppure di ingerirne i liquami, o parti del corpo. C’era un personale specializzato, i cacciatori di vampiri: persone dallo stomaco forte, capaci di buttarsi nelle fosse e riemergere con membra dilaniate e liquidi nauseabondi da tracannare.
Il fatto del 1731 era stato studiato e messo per iscritto da un chirurgo austriaco; poco dopo la corte di Prussia, infastidita da quella mania, sollecitava l’intervento della Regia Società delle scienze per trovare una spiegazione naturale a ognuno dei fenomeni raccontati in quella relazione, cercando anche di far passare l’idea (tutt’altro che vera) che queste credulonerie esistessero solo nei paesi di tradizione cattolica. Vero è che la chiesa cattolica, con il suo controllo più capillare e la sua pretesa di avere una giurisdizione anche sul regno dei morti, aveva maggiori possibilità di avocare a sé il controllo dei trapassati, dei cimiteri e pure delle anime (che potevano sfogare la propria irrequietezza nel purgatorio); ma spesso esitò a farlo. Si dovette attendere papa Prospero Lambertini, il quale mise nero su bianco che la credenza nei vampiri era frutto di insana fantasia. C’era anche il pericolo che qualcuno pensasse che quei santi cattolici i cui cadaveri rimanevano incorrotti non fossero altro che una specie di vampiri. I preti ortodossi greci, invece, arrivarono al punto di far credere che con le proprie scomuniche avrebbero potuto trasformare un morto in un vampiro, o in un cadavere gonfio e mostruoso.
A metà del Settecento, s’è detto, perlomeno i cattolici dichiararono guerra aperta ai vampiri. Occorreva estirpare il meccanismo che dava origine a vere e proprie cacce al vampiro. Infatti qualunque evento negativo o imprevisto in un certo luogo poteva dare inizio al delirio: si incolpava qualcuno recentemente morto, si cominciavano ad aprire fosse per cercare cadaveri non troppo decomposti o immersi nel loro liquame scambiato per sangue vivo, e si finiva con cimiteri dissodati, cacciatori di sanguisughe, ispezioni e dissezioni di cadaveri da parte di presunti esperti, con roghi purificatori. Maria Teresa d’Austria istituì una commissione a Vienna perché quanto veniva riferito accadere in diversi centri dell’attuale Romania fosse riportato alla logica di un pensiero razionale, e in breve tempo la fabbrica dei vampiri smise di funzionare: un rescritto imperiale fece in modo che di vampiri non si parlasse più. E così abbastanza velocemente i vampiri abbandonarono la scena, lasciando lo spazio alla rielaborazione letteraria: il conte Dracula dei romanzi e delle trasposizioni cinematografiche – ultimo residuo delle paure un tempo incontrollate – è una versione ingentilita che ben poco ormai ha a che fare con le credenze dei secoli passati.
andrea.nicolotti@unito.it
A. Nicolotti insegna storia del cristianesimo all’Università di Torino