Enzo Traverso – Gaza davanti alla storia

Se l’analogia diventa una clava ideologica

di Massimo Vallerani

Enzo Traverso
Gaza davanti alla storia
pp. 95, € 12,
Laterza, Roma-Bari 2024

Enzo Traverso è uno storico esperto, studioso affermato della Shoah e dell’uso della violenza di stato contro le minoranze. Per Laterza, ha scritto un instant book dal titolo ambizioso: Gaza davanti alla storia. Un brutto libro (di storia), è bene dirlo subito. Non per le sue idee su Gaza, la politica di Israele e la stessa natura (illegittima?) dello stato israeliano: di queste non discuterò perché sono pertinenti al pensiero dell’autore e in sé non sono rilevanti. È un libro criticabile per il modo in cui usa e distorce il metodo storico e per l’operazione concettuale che intende avvalorare: il rovesciamento completo del paradigma della Shoah, con gli “ebrei” al posto dei nazisti e i palestinesi al posto degli ebrei, un’equivalenza affermata dalla prima all’ultima pagina, francamente indigeribile. Nel tentativo di legittimare il massacro del 7 ottobre come atto di resistenza legittima o comunque comprensibile, Traverso si lancia in una ispirata esaltazione della resistenza opposta da Hamas (“vista con simpatia da un’ampia fascia di palestinesi”) fino al paragone, veramente improprio, tra questi e gli ebrei del ghetto di Varsavia: “I combattenti palestinesi che sgusciano dai tunnel per colpire un esercito di occupazione che li definisce animali non possono fare a meno di evocare i combattenti del ghetto (di Varsavia)”. Un’analogia aberrante (ce ne sono molte altre) che non rende giustizia né agli ebrei del 1943 né ai palestinesi del 2024.

Ripeto: le valutazioni sulla legittimità e anche l’opportunità di una resistenza palestinese non sono in discussione, l’autore è padrone delle sue idee; quello che ritengo inaccettabile è il paragone forzato e storicamente disonesto fra le due situazioni diversissime e in generale il metodo del rovesciamento completo creato dall’ nalogia fra ebrei e nazisti. È vero che questa analogia è molto diffusa negli slogan anti-israeliani dei movimenti pro-Gaza; ma sono appunto slogan, arma retorica per far emergere la contraddizione fra un paese nato dalle macerie della Shoah e un governo disposto a programmare la “distruzione” del popolo palestinese (appunto gli “ebrei” di oggi). Traverso riveste questi slogan di una patina di legittimità storiografica commettendo, a mio avviso, un (grave) errore metodologico e storico allo stesso tempo. L’errore metodologico è evidente: nonostante invochi spesso il nome di Marc Bloch, come nume tutelare della sua ricerca, Bloch aveva additato come “crimine di lesa esperienza e di lesa storia” proprio l’analogia: “Fra i fantasmi che una cattiva comprensione del passato fa sorgere sulla nostra strada metterei al primo posto la falsa analogia”, la stessa di cui si nutre a piene mani il libretto di Traverso. Da qui seguono le manipolazioni forzate, le semplificazioni ideologiche, le tesi più incredibili, a dimostrazione del fatto che, quando si sbaglia l’impostazione metodologica, si sbagliano, a cascata, le ricostruzioni e le interpretazioni. Alcune note sull’attualità sono sorprendenti: il supposto “colorismo” degli ebrei, ormai “bianchizzati” e quindi passati dalla parte dei cattivi; o la teoria, molto diffusa in Francia, per cui la destra è diventata filosemita e gli “ebrei” di destra. Dove? Quando? Le cronache italiane e anche francesi sono piene di notizie dell’esatto contrario: dal servizio di Fanpage sui giovani di Fratelli d’Italia, con le frasi indegne di un’esponente di FdI nei confronti di una senatrice ebrea dello stesso partito, a quelli dei candidati di RN in Francia, ritirati in tutta fretta per i numerosi post antisemiti.

Sfugge a Traverso che, nel teatro politico odierno, le molteplici maschere assunte dai partiti postfascisti consentono le più disparate convivenze di posizioni: si può mostrare un atteggiamento filoisraeliano di facciata e restare fedeli a un antisemitismo storico identitario; oppure, come avviene diffusamente in Francia, si può essere antiarabi e antisemiti allo stesso tempo; come si può far parte della comunità ebraiche e simpatizzare per movimenti di destra (qui la storia non ha veramente insegnato nulla). Il puzzle dei pezzi della Shoah è rimontato con estrema scaltrezza da tutti i movimenti di destra, grazie a un uso cinicamente ambivalente delle identità rovesciate che obbliga il ricercatore a faticosi percorsi di destrutturazione. Invece di mettere in luce le contraddizioni e le compresenze di opposti negli stessi gruppi (appunto: siamo filoisraeliani, dunque, non siamo antisemiti e il contrario), Traverso le avvalora per sostenere la sua analogia per rovesciamento: se i postfascisti sono filoisraeliani allora gli “ebrei” sono diventati fascisti. Una sesquipedale stupidaggine. Emergono anche vizi di forma più gravi nel testo, come l’uso indiscriminato della parola “ebrei”, per indicare un’entità etnica (immaginaria) diffusa nel mondo senza distinzioni e senza appartenenze nazionali. Marc Bloch (sempre lui) rivendicava nel suo testamento la doppia natura di ebreo e di francese e ne andava orgoglioso. Nella logica unilaterale dell’autore, evidentemente, due livelli sono troppi e bisogna costruire un soggetto collettivo unico a cui imputare il male presente.

L’analogia, per concludere, è un’arma pericolosa e in questo caso inutile. Le condotte militari dello stato di Israele sono ampiamente censurabili e criticabili per quello che sono oggi, per come si presentano sul piano giuridico e politico a partire dal ricorso (di fatto) a un criterio di colpa collettiva usato contro la popolazione di Gaza. Non c’è nessun bisogno di rovesciare la storia, di usare l’analogia come clava ideologica, di riesumare gli ebrei del 1943 con il rischio, questo sì reale, di declassare il senso della Shoah nella storia europea a episodio passeggero, compensato (se non superato) dalle malefatte delle antiche vittime ora diventate carnefici, come e più dei persecutori di allora. Se qualcuno usa paragoni impropri con la Shoah (come ha fatto, per esempio il premier israeliano) gli storici devono smontare l’analogia, non riusarla invertita di segno.

massimo.vallerani@unito.it
M. Vallerani insegna storia medievale all’Università di Torino