Integrazione monetaria o protezione sociale?
recensione di Sergio Fabbrini
dal numero di giugno 2016
Maurizio Ferrera
ROTTA DI COLLISIONE
Euro contro welfare?
pp. 171, € 16
Laterza, Roma-Bari 2016
Era stato costruito con grande fatica nell’immediato secondo dopoguerra. Il suo consolidamento, sia pure in forme diverse, aveva rappresentato la conquista più importante dei cittadini europei della seconda metà del secolo scorso. Il suo funzionamento aveva consentito la nascita di un capitalismo democratico che aveva fatto dell’Europa un luogo unico di civiltà e progresso. Gli erano stati dati nomi diversi, ma poi tutti si erano abituati a chiamarlo con la sua espressione inglese, welfare state, ovvero sistema pubblico di protezione sociale. Componenti cruciali della vita individuale e sociale (come la vecchiaia, la salute, l’educazione, l’avversità) erano state sottratte alla logica del mercato e al suo andamento ciclico, così configurando una cittadinanza sociale relativamente indipendente dalla collocazione economica del singolo individuo. Così, nella seconda metà del secolo scorso, si è venuto a costituzionalizzare un modello di società distinto dal mercato ma anche dalla democrazia. E dai loro rispettivi andamenti ciclici o elettorali. In una triangolazione inaspettata, il welfare ha consentito di conciliare la logica differenziale del mercato con quella omologante della democrazia. Il welfare ha così rappresentato la colla che ha tenuto insieme l’economia con la politica, legittimandole reciprocamente.
Si può evitare la collisione
Tra le tante vittime della incredibilmente lunga crisi finanziaria che attanaglia l’Europa dal 2008, c’è anche questo modello di cittadinanza sociale. Si tratta di un esito paradossale: l’integrazione europea era stata avviata per rafforzare l’Europa, non già per indebolirla. Eppure, la logica che è venuta assumendo l’integrazione monetaria, una logica costruita intorno al rigore dei bilanci nazionali e all’apertura del mercato, ha finito per destrutturare i sistemi nazionali di cittadinanza sociale, sistemi che per loro natura sono alimentati dai bilanci pubblici nazionali e richiedono l’identificazione dei beneficiari come è proprio di società nazionali. È questa la domanda di ricerca che Maurizio Ferrera si pone nel volume appena pubblicato: come risolvere il contrasto tra i modelli di cittadinanza sociale istituzionalizzati negli stati nazionali europei e il funzionamento dell’unione economica e monetaria avviata con il Trattato di Maastricht del 1992? Pochi studiosi, come lui, hanno le competenze per affrontare una domanda così complessa. Maurizio Ferrera, che insegna scienza politica all’Università Statale di Milano, è infatti uno dei maggiori studiosi europei sia dei sistemi di welfare che del processo di integrazione. La sua risposta è confortante: quella collisione può essere evitata, a condizione però che sia i sistemi di welfare che il modello di integrazione economica e monetaria siano ripensati e riformati. Dietro questa risposta empirica, c’è anche un’assunzione normativa. Ovvero che il processo di integrazione non avrà futuro se non sarà sostenuto dalla solidarietà sociale e quest’ultima, a sua volta, non potrà più essere garantita nei soli contesti nazionali.
Naturalmente, ci dice Ferrera, non è una cosa semplice ripensare il welfare, ancora di meno lo è ripensare il modello di integrazione monetaria. Il welfare è il risultato di una sovrapposizione prolungata di confinamenti (civili, politici, economici e sociali) che hanno consentito di costruire e consolidare nel tempo lo stato nazionale. La cittadinanza sociale (al pari di quella civile, politica ed economica) include chi è dentro quei confini, ma esclude quelli che ne stanno fuori. È stata ed è l’esistenza dei confini che ha reso possibile il perseguimento di politiche di redistribuzione che hanno fondato la cittadinanza sociale. Il mercato comune e poi unico, e quindi l’integrazione monetaria, hanno corroso quei confini. L’apertura economica ha fatto saltare le chiusure sociali. Così, il principio di liberalizzazione ha finito per entrare in contrasto con il principio di protezione. Per di più, quest’ultimo aveva fornito in non pochi casi un alibi ideologico per preservare posizioni di rendita, per difendere interessi corporativi, per perpetuare previlegi che poco o punto avevano a che fare con la solidarietà sociale. Ciò ha contribuito a indebolire il welfare, disseminando al suo interno un insieme di trappole (come lo stesso Ferrera le definì in un suo precedente volume), proprio nel momento in cui la sua stessa giustificazione veniva chiamata in causa dalla logica dell’apertura dei mercati.
Sottoposto alle pressioni esterne dell’integrazione monetaria, e indebolito all’interno dalla sua burocratizzazione e rigidità, il welfare è entrato inevitabilmente in crisi. La sua crisi ha creato varchi di insicurezza nella società, in particolare tra i ceti incapaci o impossibilitati a fare i conti con economie globalizzate e competitive. Ovunque è scattata una reazione di difesa. La coalizione della paura si è mobilitata in quasi tutti i paesi europei, alimentata da imprenditori politici di estrema spregiudicatezza. La politica, da mobilitazione del pregiudizio, è diventata mobilitazione dell’angoscia. Tuttavia, tale reazione ha potuto fare ben poco per preservare i precedenti sistemi di sicurezza sociale. Infatti, l’integrazione monetaria ha ridotto i margini di discrezionalità delle politiche pubbliche nazionali, senza al contempo creare le condizioni per il trasferimento a Bruxelles di basilari compiti di protezione sociale. Nonostante la crisi, non c’è un’assicurazione europea contro la disoccupazione giovanile o non ci sono programmi europei per la protezione dell’infanzia. Addirittura, con il recente accordo tra il Consiglio europeo e il governo britannico, è stato ridimensionato il principio secondo cui i cittadini europei che lavorano nel Regno Unito hanno diritto ad alcuni benefici del welfare nazionale. Così si è venuto a sviluppare un mercato europeo fatto di consumatori e produttori, non di cittadini. La colla che aveva tenuto insieme l’economia e la politica si è sciolta.
Come uscirne? Per Maurizio Ferrera occorre pensare ad un’“unione sociale europea” che funzioni da collante tra l’unione politica e l’unione economica. Un’unione sociale che articoli e razionalizzi le politiche sociali condotte ai vari livelli del sistema politico dell’Unione. Occorre portare Karl Polanyi a Bruxelles, ovvero promuovere mercati sovranazionali compatibili con cittadinanze sociali sovranazionali. Ciò richiede un doppio processo di riforma. Occorre riabilitare il versante sociale del mercato unico e, allo stesso tempo, superare la visione statale della cittadinanza sociale. Il welfare in un’unione di stati ha una ragione diversa dal welfare di uno stato nazionale. L’Unione non è una replica, in grande, del processo di formazione di quest’ultimo. Per Maurizio Ferrera nuove sperimentazioni possono essere promosse per favorire quel doppio processo di riforma. Dopotutto, se l’Unione è una democrazia composita di stati asimmetrici e differenziati, anche il suo modello di welfare dovrà assumere caratteristiche altrettanto composite.
sfabbrini@luiss.it
S Fabbrini insegna scienze politiche e relazioni internazionali all’Università Luiss di Roma