Su “Uno scrittore in guerra” di Vasilij Grossman
di m c
dal numero di maggio 2016
Vasilij Grossman
UNO SCRITTORE IN GUERRA
a cura di Antony Beevor e Luba Vinogradova
ed. orig. 2015, trad. dall’inglese e dal russo di Valentina Parisi
pp. 471, € 23
Adelphi, Milano 2015
Oggi diremmo di questo libro che è la raccolta di alcuni appunti d’un reporter embedded. L’embedding venne offerto come una straordinaria opportunità che, nell’aprile del 2003, il Pentagono consegnava ai giornalisti che partivano per il Golfo a raccontare “l’esportazione della democrazia”: ma, come la guerra di Bush aveva altri scopi da quelli ufficialmente dichiarati, allo stesso modo l’embedding era ben altro che una preziosa concessione ai media vogliosi di conoscere l’andamento del conflitto al di là del suo apparato informativo ufficiale. E non a caso, era una offerta che partiva dalla sezione “guerra psicologica” del Pentagono: a credere che davvero i generali volessero dare una mano ai reporter bisognava essere ingenui quanto alcune reclute russe raccontate da Grossman, e in Iraq l’ingenuità fu di pochi. Un giovane reporter americano, embedded in una compagnia di carri Abrams, scrisse alla fine: “Ho visto ben poco, e ho capito ancor meno”. Il suo orizzonte era stato limitato al visore del tank, e il suo rapporto con i soldati di quella squadra con cui sfidavano la morte gli dettava obblighi di solidarietà che non potevano non influenzare il suo racconto.
Comunque, l’embedding del 2003 non era altro che la riproposizione di quanto i giornalisti avevano vissuto nella prima e nella seconda guerra mondiale, quando erano stati mobilitati al fronte ed erano stati assegnati come ufficiali senza mostrine ai vari comandi operativi. Per Grossman reporter dell’Armata rossa a Stalingrado o a Treblinka, il “dovere della bandiera” (cioè l’obbligo per lui di un racconto piegato agli obiettivi di Mosca) era dunque un parametro immodificabile delle cronache dal fronte. E però la forza della sua scrittura, l’autenticità dei ritratti che egli ricava dalla sua vita con i soldati, la sua voglia di capire anche al di là della fedeltà al governo comunista, si impongono sulla bandiera. Leggere con gli occhi del war correspondent di oggi questi lontani taccuini che poi faranno le cronache della “Krasnaja zvedza” provoca non pochi imbarazzi: l’asciuttezza drammatica del racconto, l’evidenza esclusiva dei fatti, l’assenza di qualsiasi compiacimento personalistico, dicono nel confronto quanto l’egemonia del modello comunicativo televisivo stravolga la narrazione di oggi, e metta in primo piano l’insopportabile reporter-divo. Nella sua ombra vanesia, la guerra appare oggi uno scenario di pulsioni abbandonate ai doveri del giornalismo-spettacolo. Consigliare questi taccuini alle scuole di giornalismo.
Uno scrittore in guerra di Vasilij Grossman è il “libro del mese” di maggio 2016:
la recensione di Giulia De Florio e la recensione di Maria Ferretti (riservata agli abbonati).