Il meglio a cui possiamo aspirare?
recensione di Massimo Cuono
dal numero di ottobre 2015
CLAUDIO GIUNTA
Essere #matteorenzi
pp. 80, € 8
Il Mulino, Bologna 2015
Il nuovo libro di Claudio Giunta piacerebbe al suo protagonista. Rapido, breve, chiaro e incisivo; a una stima approssimativa il volume potrebbe essere rilanciato in rete con soli 800 tweet, altro che gli oltre 3.500 che servirebbero per cinguettare la Divina Commedia, tanto cara all’autore italianista e al suo soggetto, sindaco-segretario-presidente.
L’agile pamphlet racconta lo stile politico di Matteo Renzi, il suo linguaggio e la sua visione del mondo. L’argomentazione è sottile; l’autore ricostruisce ironicamente l’uso renziano dei social network e degli anglismi, il piglio affabulatore e l’ostinato ottimismo dell’eterno sindaco di Firenze, affidando le critiche spietate a un fantomatico amico snob. Quest’ultimo rappresenta tutto ciò che c’è di insopportabile nella cosiddetta sinistra radical chic, nido di gufi per eccellenza. Colto ma cinico, sempre pronto a criticare ogni timida novità nel panorama politico e sociale, non riesce ad apprezzare nemmeno l’epopea novecentesca di La meglio gioventù. Certo l’amico snob ne ha di cose da dire su Renzi, e grazie alla trovata retorica Giunta può permettersi di essere implacabile, ma sempre indirettamente.
La diffidenza nei confronti del bullismo politico dello statista di Rignano sull’Arno appare, così, assai poca cosa di fronte all’infinita litania dei “musoni”, incarnata da una certa sinistra snob, ostinatamente critica contro ogni minima trasformazione in atto nel mondo. Secondo Giunta, Renzi è tra i pochi a comprendere quello che Hegel avrebbe chiamato lo spirito del tempo: “Renzi unifica; e unificando, inevitabilmente, semplifica. Non è mai controintuitivo. Ha l’aria di credere davvero agli slogan che pronuncia: quando parla di servizio civile ha in mente la difesa dei valori della Comunità, la vecchina da imboccare, il disabile da aiutare (…); non gli passa nemmeno per la testa che si tratti invece di ragazzi sottopagati”. Matteo Renzi – e i suoi profili social – restituisce costantemente uno sguardo ottimista sulle miserie quotidiane, tentando di convincere il pubblico che l’Italia è trionfalmente avviata verso un nuovo rinascimento, tutto “Dante e Twitter”.
Come Renzi sia sintonizzato con il nostro tempo, Giunta lo spiega semplicemente affermando che guardava la televisione negli stessi anni in cui Berlusconi la faceva. L’ex cavaliere, infatti, era un grande ideatore di immaginari. A proposito di scuola, dovette inventarsi lo slogan ‒ per quanto semplice possa apparire ‒ delle “tre i”: internet, inglese e impresa. Renzi, invece, non inventa nulla e la sua mente va subito ai cliché del discorso pubblico: “assumere i poveri precari meritevoli” – qualsiasi cosa voglia dire meritevoli, e qualsiasi siano le cause della loro precarietà – ma anche valutare (per premiare e punire) l’efficienza delle scuole – poco importano, ovviamente, le condizioni concrete in cui operano gli insegnanti. Entrambi sono ottimisti ed entusiasti, ma mentre Berlusconi plasmava il senso comune, Renzi ci si sintonizza; e senza neanche bisogno di agitare gli spettri del comunismo, perché i suoi nemici musoni, il sindaco d’Italia li ha già rottamati. Renzi, su questo l’autore ha ragione, intuisce lo spirito dei tempi un po’ come quelli che Hegel definiva “individui cosmico-storici”, che “sanno quale sia la verità del loro mondo e del loro tempo”. E questo, a Giunta piace. 77 pagine di critiche all’irritante stile politico renziano per poi svelare la verità: Renzi è un entusiasta e a fare la storia è proprio l’entusiasmo, e non i “minuti ragionamenti”. E da qui l’endorsement finale nei confronti di chi, nonostante tutti i difetti, sembra essere il meglio a cui possiamo aspirare. In questo finale a sorpresa, Giunta appare più realista del re, semplificando lo scenario politico in modo sorprendente. O stai con l’amico snob, lasciando ogni speranza e disprezzando tutto e tutti, oppure ti lasci trascinare dall’ottimismo del Partito della nazione, poco importa se hai appena disprezzato il provincialismo degli anglicismi, il feticismo per i gadget tecnologici usati in maniera puerile o i riferimenti stantii a una cultura pop da oratorio.
massimo.cuono@unito.it
M Cuono è assegnista di ricerca in filosofia politica all’Università di Torino