Vestire è usare un sismografo. Intervista a Maria Luisa Frisa

La letteratura e le forme dell’apparire

Intervista a Maria Luisa Frisa di Anna Toscano

Maria Luisa Frisa e la moda: una relazione strettissima che si dirama nei più svariati e inconsueti aspetti: fondatrice del corso di laurea in design della moda e arti multimediali allo Iuav di Venezia, direttrice della rivista “Dune”, docente, storica e teorica della moda, curatrice di esposizioni, autrice di saggi e, con Chiara Tagliaferri, conduttrice dell’originale podcast Sailor, ci porta per mano nel mondo della moda in un viaggio caleidoscopico e avventuroso cha attraversa la letteratura, l’arte, i tessuti, le forme, i corpi, gli stilisti, le case, le immagini e molto altro ancora. In questo periodo è uscito un libro a sua cura, I racconti della moda, edito da Einaudi (pp. 280, € 19,50, Torino 2024) così come la mostra Memorabile. Ipermoda, aperta fino al 23 marzo al Maxxi di Roma e il suo approfondito catalogo.

I racconti della moda è un volume che raccoglie una scelta singolare di racconti di quindici scrittori e scrittrici che hanno un’attinenza con la moda e alla fine di ogni racconto vi è un suo saggio. Com’è nata l’idea di dare voce alla letteratura sulla moda mettendo insieme questi racconti?

Il libro nasce da una richiesta della Einaudi che da tempo nei “Supercoralli” pubblica raccolte a tema. Come I racconti delle donne a cura di Annalena Benini (2019) o I racconti di montagna a cura di Davide Longo (2007). Devo dire che a me piace, quando mi viene chiesto di lavorare a qualcosa a cui non avevo pensato. Perché è un modo straordinario per percorrere strade nuove e farsi venire nuove idee. È un modo per mettersi alla prova: approfondire in modo diverso il proprio campo d’interesse e crescere.

Come ha lavorato alla scelta dei racconti e alla particolare costruzione del libro?

Da subito ho pensato che avrei dovuto trovare un mio punto di vista che soprattutto mi permettesse di tratteggiare quella complessità in continua trasformazione che è la moda. Che offrisse una serie di indizi, che tratteggiasse dei paesaggi con o senza figure, degli ambienti evocativi di quegli immaginari che la moda costruisce: quindi dei testi appartenenti a diverse forme di scrittura non solo letteraria ma saggistica e giornalistica e che potessero anche indurre a confrontarsi con culture diverse. Infatti, quando si parla di storia della moda ci si riferisce ancora troppo spesso a quella occidentale e più precisamente europea. Volevo inoltre costruire una sequenza che mi permettesse poi, nei testi scritti da me, quelli che definisco complementari e non postfazioni, di svolgere alcuni temi che volevo condividere con chi li avrebbe letti. Per superare una serie di luoghi comuni sulla moda. Alcuni testi me li ricordavo, altri li ho dovuti cercare. Uno straordinario esercizio.

Mentre è facile immaginare Bret Easton Ellis che scrive sulla moda, è più difficile pensare che ne abbia scritto una autrice come Joyce Carol Oates: quale è stato il criterio di scelta di questi autori e dei loro racconti?

Diverse persone che hanno letto il libro mi hanno fatto notare che, in fondo, molti dei racconti non parlano esplicitamente di abiti ma evocano atmosfere. Sono convinta e lo ripeto spesso, che parlare di moda non vuol dire necessariamente parlare di vestiti. Come scrive Tim Edwards: “Uno dei problemi principali che ci poniamo studiando la moda è chiarire cos’è e cosa non è: stile, design, abiti, ornamenti, cambiamenti e gusto sono tutti elementi che ne fanno parte, ma non sinonimi”. Quando curi una raccolta come questa, come quando curi una mostra devi capire prima di tutto cosa vuoi raccontare. Il curatore opera una scelta e questa scelta deve costruire delle relazioni tra gli oggetti e nel caso di I racconti della moda tra i testi selezionati. Fin dall’inizio del lavoro ho deciso che avrei voluto un testo che potesse evocare quella fatidica domanda che viene posta purtroppo sempre dopo una violenza: “Come eri vestita?”. Cercando e cercando ho trovato questo straordinario racconto dove non c’è questa domanda. Ma tutto ci prepara in maniera angosciosa a quello che succederà. All’incontro con l’orco di una ragazzina di quindici anni che voleva solo essere vista. Volevo inserire uno scrittore come Tondelli perché lui è stato un grande osservatore di quella “fauna d’arte” che usava la moda per essere unica e speciale. Volevo parlare di moda maschile e quindi ho recuperato Lucio Ridenti, dandy novecentesco… E la scrittura di moda dry e snob di Irene Brin… Una costellazione di voci.

Un racconto è inedito, quello di Michela Murgia: che sorpresa è stata incontrare questo testo?

Inizialmente nella raccolta Einaudi avevo pensato di inserire il racconto che chiude il suo libro Tre ciotole. Rituali di un anno di crisi, uscito pochi mesi prima della sua morte. Ne avevo parlato con lei ed era d’accordo perché quello scritto riprende, nella certezza della propria fine, il rito che Murgia aveva deciso di celebrare per il suo cinquantesimo compleanno. Così me l’aveva annunciato via WhatsApp: “Il giorno del mio compleanno tra gli alberi e le stanze dell’agriturismo saranno sparsi cinquanta capi di abbigliamento tra vestiti, capispalla e accessori. Li ho immaginati come le mute di un serpente che mi sono servite in questi anni per diventare la me di ora, ma non li sento più miei. Ognuno avrà un piccolo biglietto che racconta il ricordo a cui è legato”. Gli abiti dunque possono vivere una nuova vita conservando memoria del corpo che li ha indossati.

Poi ho conosciuto Simonetta Bitasi quando nel dicembre 2023 abbiamo ricordato Murgia alla fiera Più libri Più liberi di Roma. E lei mi ha segnalato I vestiti del notaio, un testo che aveva ritrovato casualmente. E che anche il curatore dell’opera di Murgia Alessandro Giammei non conosceva. Un atto di grande generosità che non dimenticherò mai. Un dono che sono sicura arriva anche da Michela, che era unica nel connettere le persone a lei care.

Memorabile. Ipermoda: perché “memorabile” e perché “ipermoda”. Qual è il percorso attraverso cui ci conduce come curatrice?

Memorabile è una sorta di esplorazione di quelle che oggi sono le questioni poste dalla moda con la sua capacità di essere reattiva a ogni impulso, sia esso sociale, politico, economico, culturale. Insieme, è una registrazione della vocazione della moda a essere straordinaria, smisurata, ciò che tuttavia è impossibile omettendone l’opposto: Memorabile tenta quindi di agire in una prospettiva critica a partire dal guardaroba di tutti i giorni, facendo propria la nozione del “linguaggio degli abiti”, secondo la quale gli abiti stessi non sono oggetti dai significati immutabili ma partecipano a un processo in cui i significati sono continuamente rinegoziati.

Alcune parti del libro dell’antropologo Carlo Severi L’oggetto-persona. Rito Memoria Immagine (Einaudi, 2018) mi hanno fatto pensare a quanto il gesto del vestirsi o della scelta di un abito abbia assunto nella nostra società un significato che trascende l’individuo, per diventare il più delle volte altro rispetto alla personalità e ai desideri di questi. La performatività di un abito può essere indipendente da quella del corpo.

Ipermoda è un’enfatizzazione che deriva dalle suggestioni fornite dal titolo e dalle tesi, tra filosofia ed ecologia, del libro di Timothy Morton Iperoggetti (Nero, 2018): “Gli Iperoggetti […] sono ‘iper’ in relazione a qualche altra entità, siano essi costruiti dagli esseri umani oppure no”. Ipermoda precisa così il senso di Memorabile. Esprime la necessità della moda in tutte le sue espressioni di estendersi oltre i suoi confini, di occupare gli spazi che possono darle la massima visibilità, di essere un corpo espanso che invade gli schermi dei nostri device e si installa nella nostra immaginazione; la necessità di dominare i territori del piacere, del tempo libero, della bellezza. Delle città.

La mostra ci porta a riflettere su quanto contino gli abiti che abbiamo indossato nella nostra vita, indossati per momenti memorabili e divenuti così memorabili, come il contrario: era uno dei suoi obiettivi?

In Memorabile è conficcata la parola memoria. Per questo ho deciso di aprire il mio testo con una citazione di Paola Masino da Album di vestiti (Elliot, 2015): “Ho sempre desiderato di avere un grande album e di sapere, in esso, raffigurare me stessa nel mutare delle mie età e con gli abiti che andavo via via indossando. Tanta era la voglia di quel mio stesso commemorarmi giorno per giorno”. Il vocabolario online Treccani a proposito della parola memorabile scrive: “Degno d’essere ricordato”, precisando poi che fatti o parole “abbiano in sé qualche cosa di grande, di glorioso, o siano per qualche motivo famosi”. Ecco, la domanda mi aiuta a mettere a fuoco meglio una delle molte intenzioni che mi hanno accompagnato in questo progetto. Mi interessava lavorare sull’idea di qualcosa che ci ancora al passato e che allo stesso tempo ci proietta nel futuro. La moda ha un aspetto molto intimo e allo stesso tempo è il nostro involucro pubblico. È l’immagine di noi che vogliamo proiettare nel futuro.

Anche in questo contesto l’immagine e la parola si amalgamano, le voci sulla moda sono molte, come quelle raccolte nel catalogo: la moda è anche una forma di letteratura?

La moda è come un sismografo in grado di captare le vibrazioni del proprio tempo e di trasformarle. È un racconto visuale che ci accompagna e che scandisce le forme del tempo, i nostri gusti, le nostre abitudini. Ho sempre pensato – e questo mi ha guidato in tutti i cataloghi o, come li chiamo io, i libri complementari a tutte le mostre che ho fatto (perché non sono mai restituzione della mostra, ma invece resoconto, senza fine, della ricerca e specifica dei temi che hanno agito nel progetto) – che quella sequenza di immagini parte fondamentale di ogni libro, costruita per analogia o per contrasto, fosse l’equivalente di un testo come narrazione. Non solo una teoria di immagini messe in fila.

atoscano@unive.it
A. Toscano insegna lingua italiana all’Università Ca’ Foscari di Venezia