dal numero di maggio 2015
Il tamburo di latta (1959) rappresenta un’intera epoca della letteratura tedesca, ha detto la giovane poetessa Nora Bossong, commemorando la scomparsa di Günter Grass. E anche se la scrittrice austriaca Marlene Streeruwitz lamenta che la rivoluzione sociale propugnata dallo scrittore abbia ignorato le donne, è un fatto che nessun altro intellettuale del dopoguerra ha goduto del suo prestigio, anche dopo la rivelazione del suo giovanile cedimento hitleriano. Grass resta un riferimento per la generazione successiva: lo conferma il ricordo che ci ha mandato lo scrittore Ingo Schulze; e di questo lo ringraziamo.
Tutte le volte che all’estero chiedevo quali autori tedeschi fossero noti i nomi più citati erano Goethe e Grass. Non è il caso di fare graduatorie, e certo potrei aggiungerne altri, ad esempio Brecht, Zweig, Kleist, Heine, Mann ecc. Ma per fortuna nessun libro può rimpiazzare l’altro e in effetti è fuori luogo voler stabilire dei primati quando si parla di arte e di letteratura. Per me tuttavia Günter Grass è sempre stato ed è tuttora uno degli autori più importanti. Nella letteratura tedesca rappresenta uno dei pochi seguaci di Rabelais e di Grimmelshausen. È da questa tradizione che i suoi libri traggono la loro forza. Si fanno leggere in gran parte come romanzi picareschi, caratterizzati da uno sguardo fondamentalmente straniato, di chi non dà nulla per scontato, è anzi curioso del mondo, di cose che magari per altri sono da tempo risapute, insomma uno sguardo pronto a stupirsi, anche della nostra stessa vita quotidiana.
Lo incontrai l’ultima volta appena sei settimane fa a Lubecca, dove Grass aveva convocato la decima edizione di un incontro tra autori. Eravamo una dozzina tra scrittrici e scrittori seduti nella mansarda di casa sua e ci leggevamo reciprocamente i nostri testi per poi discuterne, senza pubblico. Una situazione rara in cui è possibile lodare o criticare un collega in tutta libertà. Grass era contento di averci intorno. Non che rivestisse rispetto a noi una funzione privilegiata, tuttavia si percepiva che senza di lui quella particolare atmosfera forse non sarebbe stata possibile. La sua apertura, la sua benevolenza, i suoi interrogativi critici – ora ripensandoci me ne rendo conto – conferivano il tono e il giusto rango a quell’evento.
Al terzo giorno dell’incontro venne conferito un premio fondato dagli autori. La vincitrice era Irina Liebmann. Dopo la laudatio e il suo discorso di ringraziamento ognuno di noi lesse un breve passo tratto dall’opera della scrittrice.
Günter Grass aveva scelto due pagine da Berliner Mietshaus (Casa d’affitto berlinese). Sapevo che aveva spesso letto ad alta voce passi di altri suoi colleghi, per esempio Johannes Bobrowski e Hans Joachim Schädlich. Ma ora che lo sentivo per la prima volta fui affascinato dal modo con cui riusciva a far rivivere il testo prestandogli la sua voce.Gli si leggeva in volto la gioia e il piacere che gli dava un libro “straniero”. E fu un dono non solo alla scrittrice premiata ma anche a se stesso, oltre che a noi, tutti intorno a lui, in ascolto. Anche questo evento è parte del suo lascito.
Traduzione dal tedesco di Anna Chiarloni