Abbiamo guardato per 4000 anni, adesso abbiamo visto!
di Laura Iamurri
Desiderata, invocata, da tempo attesa, la nuova edizione dei testi di Carla Lonzi ha finalmente preso avvio, e ha suscitato un’eco straordinaria. Il primo a tornare in libreria è, e non poteva essere altrimenti, Sputiamo su Hegel e altri scritti, uno dei testi fondativi del femminismo italiano, dirompente e urticante fin dal titolo; il volume esce a cura di Annarosa Buttarelli per “La tartaruga”, la collana della Nave di Teseo diretta da Claudia Durastanti che riprende nome e insegna della casa editrice di libri scritti da donne fondata da Laura Lepetit nel 1975: una collocazione particolarmente felice, che riannoda alcuni fili dispersi del movimento delle donne.
Altrettanto felice è la scelta del Violarosso di Carla Accardi in copertina, che “tradisce” il colore dei “Libretti verdi” di Rivolta Femminile, ma che appare anche come un festoso invito alla lettura. Perché la ripubblicazione dei testi di Lonzi è sempre una festa, lo è per tutto il pubblico delle lettrici e dei lettori ma in particolar modo per le persone più giovani che hanno avuto molte difficoltà, in questi ultimi anni, a reperirli e che si sono scambiate copie cartacee o file pdf. Se la necessità di questa nuova edizione emergeva già in maniera evidente dalle richieste di prestito delle biblioteche (Sputiamo su Hegel è il libro più richiesto in assoluto alla Biblioteca delle Donne di Bologna), l’esaurimento della prima tiratura in un tempo brevissimo ne ha dimostrato anche l’urgenza: uscito in libreria il 5 settembre, nei giorni immediatamente successivi il libro era già introvabile e già in ristampa.
Sputiamo su Hegel è il primo testo teorico nel quale Lonzi ha sviluppato le premesse esposte in maniera apodittica nel Manifesto di Rivolta Femminile scritto nei primi mesi del 1970. È anche il testo che, sempre nel 1970, ha inaugurato le pubblicazioni della casa editrice Scritti di Rivolta Femminile. Qualche anno dopo, nel 1974, fu riedito insieme ad altri testi scritti dalla sola Lonzi (La donna clitoridea e la donna vaginale), o insieme a Carla Accardi ed Elvira Banotti (il Manifesto) o ancora elaborati con le compagne di Rivolta e firmati collettivamente (Assenza della donna dai momenti celebrativi della manifestazione creativa maschile, Sessualità femminile e aborto, entrambi 1971, Significato dell’autocoscienza nei gruppi femministi, 1972), ed è questa raccolta che viene ripubblicata ora. È in questi testi che si ritrova, insieme alla magnifica scrittura di Lonzi, tutta la spietata radicalità del suo pensiero, che scarta da ogni aspirazione paritaria (“l’uguaglianza è quanto si offre ai colonizzati sul piano delle leggi e dei diritti”) a favore dell’affermazione della alterità delle donne, della non assimilabilità delle donne agli uomini e dunque della loro estraneità al patriarcato, alla sua storia e alla sua cultura. “La differenza della donna sono millenni di assenza dalla storia”, scrive Lonzi, e questa assenza è ciò che permette di osservare con crudele disincanto la realtà (“Abbiamo guardato per 4000 anni: adesso abbiamo visto!”, si legge nel Manifesto): dunque è l’intera struttura patriarcale ad apparire come uno strumento generalizzato di oppressione e assoggettamento. La cultura politica marxista assimilata in gioventù serve a Lonzi per capire che nessuna rivoluzione ha mai risolto la questione femminile: “il proletariato è rivoluzionario nei confronti del capitalismo, ma riformista nei confronti del sistema patriarcale”; anche gli obiettivi di altri movimenti femministi – la contraccezione, il divorzio, l’aborto – sono interpretati non come strumenti di autodeterminazione femminile ma al contrario come sistemi di controllo al servizio e a conferma dell’ordinamento sociale patriarcale.
Scrive Lonzi nella Premessa a Sputiamo su Hegel e altri scritti che “il rischio di questi scritti è che vengano presi come punti fermi teorici”: in effetti il suo pensiero negli anni successivi evolve, si modifica, per certi versi si radicalizza ulteriormente, ma questi testi restituiscono la prima fase, quella dello “sdegno” per l’inferiorizzazione delle donne a tutti i livelli e in tutti i contesti, della individuazione della sessualità come snodo cruciale, dell’attacco ad alzo zero alla cultura patriarcale con la sola, residuale, apertura agli artisti per una “affinità caratteriale” che sta “nella coincidenza immediata tra il fare e il senso del fare”. In questo credito agli artisti filtra naturalmente il passato di Lonzi, segnato prima dalla formazione storico-artistica con Roberto Longhi a Firenze, e poi soprattutto dagli anni di attività professionale come critica d’arte: anni importanti, nei quali era maturata una severa analisi politica sul ruolo e la funzione della critica. Alla metà degli anni sessanta, a fronte di un contesto artistico in rapido mutamento, Lonzi aveva presentato sulla rivista “marcatré” una forma inedita di critica, che abbandonava l’esercizio solitario del giudizio a favore di una attività da svolgere con l’artista, cioè di fatto una conversazione registrata e poi trascritta con cura, nel rispetto delle parole effettivamente pronunciate e degli argomenti – talvolta in apparenza marginali – trattati in quello che sulle pagine stampate appariva alla fine come un discorso a due più che come una intervista, e che inaugurava una sorta di critica d’arte in forma di colloquio, un dialogo alla pari. È questa orizzontalità della relazione, questa modalità all’insegna dell’ascolto reciproco, che Lonzi porta in seguito all’interno dei piccoli gruppi di autocoscienza, laboratorio imprescindibile del femminismo in Italia.
Il pensiero di Lonzi conserva intatto il suo carattere dirompente, la sua capacità di interrogare e mettere in crisi chi legge sul doppio piano della singolarità e delle relazioni; e tuttavia ovviamente mostra anche la sua distanza dalla nostra contemporaneità, non fosse altro per lo strenuo binarismo uomo/donna e per la risoluta messa da parte della questione di classe. Sono differenze importanti rispetto alle istanze degli attuali movimenti femministi, formate su una pluralità di letture ed elaborate intorno ai concetti di intersezionalità, di inclusività, di messa in discussione del binarismo di genere.
Questo punto in particolare appare oggi cruciale, e ci si può chiedere se i testi di Lonzi non rischino di apparire anacronistici, ancorati come sono a una struttura delle definizioni e delle relazioni di genere divenuta ormai inattuale. E tuttavia la curiosità e l’entusiasmo che Lonzi suscita nelle giovani generazioni ci dicono qualcosa di diverso: il ruolo centrale che la sessualità, e la sessualità femminile in special modo, assume nel pensiero di Lonzi non cessa di essere un fatto politico perché lì si apre uno spazio di libertà, di consapevolezza e di rivendicazione del piacere che può essere diversamente interpretato in relazione alla propria singolare identità di genere.
La questione di genere non è del resto l’unico punto di possibile frizione rispetto alle istanze degli attuali movimenti femministi, formate su una pluralità di letture ed elaborate intorno ai concetti di intersezionalità e di inclusività.
Per questa ragione la proposta di Annarosa Buttarelli di pubblicare Sputiamo su Hegel, e gli altri testi che seguiranno, senza accompagnamento critico ha suscitato qualche perplessità; mi è capitato di parlarne con artiste, giovani studiose, intellettuali di varia formazione, e io stessa mi sono interrogata sull’opportunità di questa scelta: in fondo, si potrebbe obiettare, una breve prefazione che permetta di contestualizzare il testo non è una lettura obbligatoria, chi non ha interesse può saltarla a pié pari e chi vuole invece avere qualche informazione in più la trova lì, nello stesso volume. E però l’argomento di Buttarelli non è eludibile: i testi di Lonzi sono tutti “testi di trasformazione”, sostiene la curatrice dell’intero progetto di riedizione nella sua brevissima nota, e come tali non sopportano “commenti, spiegazioni, interpretazioni che spegnerebbero la loro forza travolgente”. Non c’è dubbio che ci sia una forza sorgiva nella radicalità di Lonzi capace di sradicare secoli di un ordine che appariva “naturale” solo perché non era mai stato davvero messo in discussione, e non c’è dubbio che questa forza sia capace di investire con tanta più energia quanto più arriva in maniera diretta e senza mediazioni. Esiste anche, oggi, una bibliografia ampia e diversificata su Lonzi, sul suo pensiero e sui suoi scritti che permette senz’altro di dotarsi di eccellenti strumenti di lettura, separati dalla materia prima e bruciante degli scritti.
La situazione è in effetti oggi molto diversa rispetto agli anni intorno al 2010, quando Sandro D’Alessandro, con la sua et al. edizioni, intraprese la prima ripubblicazione dei testi della critica d’arte e teorica femminista. Allora davvero Lonzi era una figura scivolata in una specie di semiclandestinità e i suoi testi, nella edizione originale di Rivolta Femminile, erano reperibili quasi solo presso la Libreria delle Donne di Milano. Tra 2010 e 2011 uscirono Sputiamo su Hegel e altri scritti, Autoritratto, Vai pure e Taci, anzi parla, con l’aggiunta nel 2012 della corposa raccolta degli Scritti sull’arte, mai riuniti da Lonzi in vita ma rintracciati e radunati da Lara Conte e Vanessa Martini insieme a chi scrive. Nei prossimi mesi, saranno gli stessi libri a tornare in circolazione nella nuova bella edizione di “La tartaruga”, con l’aggiunta della raccolta postuma di poesie Scacco ragionato (uscito a cura di Marta Lonzi e Anna Jaquinta per Scritti di Rivolta Femminile, nel 1985 e mai più ristampato) e con l’esclusione invece, almeno per il momento, degli Scritti sull’arte.
L’edizione dell’inizio degli anni dieci appare oggi tutto sommato dimenticata: la fine della casa editrice ha fatto sì che i testi andassero esauriti in poco tempo e che non ci fosse la possibilità di ristamparli, e così è capitato anche di leggere, nelle numerose recensioni che hanno celebrato il ritorno di Sputiamo su Hegel e altri scritti nelle librerie, della prima ripubblicazione di Lonzi dopo cinquant’anni. Dispiace, questa smemoratezza, non solo perché non rende giustizia a un editore coraggioso e impegnato quale è stato D’Alessandro, ma anche perché quella prima rimessa in circolazione dei testi ha reso possibile, negli anni immediatamente successivi, il moltiplicarsi di corsi universitari nelle diverse discipline della filosofia, della letteratura, della storia dell’arte, che hanno a loro volta generato letture appassionate e studi approfonditi. Di fatto, quella sfortunata edizione è all’origine dell’attuale “Lonzi renaissance”, e delle traduzioni di alcuni suoi testi in varie lingue che ne sono una delle manifestazioni più evidenti; ed era davvero paradossale che, mentre diventavano disponibili in altri paesi, i testi di Lonzi non fossero più reperibili in Italia. Ora finalmente, con l’edizione dei “La tartaruga”, si apre una nuova stagione di letture e di studi, di riflessione e di politica. Carla Lonzi è tornata.
laura.iamurri@uniroma3.it
L. Iamurri insegna storia dell’arte contemporanea all’Università Roma 3