Il naturalismo leopardiano
recensione di Vincenzo Barone
dal numero di settembre 2016
Gaspare Polizzi
IO SONO QUELLA CHE TU FUGGI
Leopardi e la Natura
pp. 136, € 17
Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2016
Il giovane favoloso, il film di Mario Martone sulla vita di Leopardi, si apre con il saggio matematico che il dodicenne Giacomo affrontò (assieme al fratello Carlo) la sera dell’8 febbraio 1810. La prova, svolta in pubblico, verteva sulle operazioni aritmetiche, sulle proporzioni e sulla geometria elementare. Dopo quel semestre di studio, l’interesse di Leopardi per la matematica andò scemando e la sua attenzione si rivolse principalmente all’astronomia (con la Dissertazione dell’anno seguente, e soprattutto con la Storia della Astronomia del 1813) e alle scienze naturali. Come sottolinea Gaspare Polizzi in questo suo bel libro sulla filosofia naturale leopardiana, che sintetizza un lungo lavoro di ricerca sull’argomento (e il cui titolo è tratto dal Dialogo della Natura e di un Islandese), Leopardi riconosce sì l’importanza della matematica come “modalità della ricerca razionale della perfezione” – simile in ciò alla poesia –, ma le attribuisce un carattere convenzionale, logico-linguistico, “in contrapposizione alla contingenza e variabilità del sistema della natura”. Conseguentemente, la sua passione per Galileo, testimoniata dalle numerose citazioni dello scienziato toscano nella Crestomazia, si nutre soprattutto delle scoperte astronomiche e della conoscenza empirica del “libro della natura”, senza riferimento alla lingua matematica in cui tale libro sarebbe scritto, secondo la famosa metafora galileiana del Saggiatore. Anche l’altro eroe della scienza moderna, Newton, è celebrato non come il matematizzatore dell’universo, quanto piuttosto come il principale esponente di quella tradizione di studiosi cui si devono “le vere e sode scoperte sulla natura”. Il sistema newtoniano, capace di spiegare tutti i fenomeni naturali, è, per Leopardi, il punto di arrivo insuperabile della scienza moderna, ma paradossalmente proprio questa sua perfezione impedisce ulteriori progressi scientifici: la realtà più profonda dell’ordine naturale può essere colta solo grazie all’esperienza individuale e alla “forza immaginativa”.
Se Galileo e Newton sono presenze ben attestate nell’opera di Leopardi, meno nota è l’influenza esercitata da una poliedrica figura del Settecento bolognese, il filosofo, scienziato e poeta Francesco Maria Zanotti, tra gli autori più citati della Crestomazia. Dalla lettura delle sue opere (La filosofia morale, ma anche il trattato scientifico Della forza de’ corpi che chiamano viva) Leopardi trae ispirazione per uno dei temi centrali della propria poetica, l’infinito. Questo è oggetto sommo di desiderio, per la naturale e illimitata inclinazione dell’uomo al piacere, e al tempo stesso coincide con il nulla: perché solo il niente può essere senza limiti, e come esso è inattingibile per ripetuta suddivisione della materia, perché tra l’esistenza e il nulla c’è soluzione di continuità, così l’infinito può essere colto solo con un “salto” dell’immaginazione; il salto che permette al poeta di “fingere”, al di là della siepe (l’oggetto visibile), “interminati spazi”, e di evocare “l’eterno”.
Proprio di Zanotti è il testo che apre la sezione Filosofia speculativa della Crestomazia. Nel brano vengono tracciate le caratteristiche del “filosofo perfetto”. Questi dovrà padroneggiare la dialettica, la metafisica e la morale; dovrà anche essere un oratore eloquente e un poeta. “Ma molto gli mancherebbe – aggiunge Zanotti – se egli non possedesse perfettamente tutte le parti della fisica. Nella quale entrando, io vorrei che egli non solamente andasse dietro a quelle cose che per li sensi ci si manifestano; ma procedesse oltre con l’intelletto, e cercasse anche i principii e le cause, che ci si manifestano per la ragione (…). E già la fisica stessa, mostrandogli i suoi sistemi, ed istruendolo delle sue esperienze ed osservazioni, e manifestandogli le sue leggi, non è da dubitare che non gli aprisse la chimica, la medicina, la notomia, e nol conducesse ne’ vasti campi di tutta l’istoria naturale”. È perfettamente dispiegato qui il progetto culturale dello stesso Leopardi, a partire dalla combinazione di filosofia naturale e poesia (“Il Descartes, Galileo, il Leibnitz, il Newton, il Vico, in quanto all’innata disposizione dei loro ingegni, sarebbero potuti essere sommi poeti”, si legge nel Parini). Come documenta esaurientemente il saggio di Polizzi, non c’è questione filosofico-scientifica della modernità su cui il poeta di Recanati non si sia soffermato: la teoria copernicana, la nuova chimica di Lavoisier, la pluralità dei mondi abitati, l’anima delle bestie, ecc.. Di fronte a una simile varietà di interessi e di temi, non si può non condividere l’auspicio che il naturalismo leopardiano esca “dalle trite formule scolastiche per mostrare la sua efficace e concreta ricchezza, ancor oggi filosoficamente pregnante”: questo libro fornisce un prezioso contributo in tale direzione.
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V Barone insegna fisica teorica all’Università del Piemonte Orientale