Federico Bertoni – Letteratura. Teoria, metodi, strumenti

Inserire la letteratura nel mondo in cui viviamo

recensione di Matteo Moca

Federico Bertoni
LETTERATURA
Teoria, metodi, strumenti
pp. 320, € 28
Carocci editore, Roma, 2018
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Federico Bertoni - LetteraturaLeggendo il titolo di questo volume sembra che il compito di cui si è caricato Federico Bertoni sia maggiore rispetto alle forze di un uomo e alla dimora di un libro. Eppure bastano solo le prime pagine di Letteratura per allontanare dal lettore questo pensiero: si tratta infatti certamente di uno sforzo molto grande, ma che non ha un desiderio di completezza e vive della natura più profonda della ricerca, quella dell’urgenza. Come Bertoni scrive nel brano che apre il libro, Letteratura nasce dal desiderio di scrivere un testo che possa essere un riferimento per gli studenti: ma questo slancio iniziale subito si tramuta in altro, ed è questa forse la natura più intima e inafferrabile della ricerca e della scrittura, «l’emergere di un’idea destinata a scomparire e riaffiorare sotto altre vesti» per usare le parole di Carlo Ginzburg. Dal primigenio tentativo di soddisfare un’esigenza degli altri, incarnare quel carattere «servile» della scrittura tanto caro a Garboli (lo «scrittore-lettore» che va a «prendere [le]parole e le riporta a casa, come Vespero le capre, facendole riappartenere al mondo che conosciamo»), il libro si trasforma in una lunga ed articolata interrogazione che, oltre a mantenere la spinta iniziale, tenta di indagare un dubbio ineludibile per chiunque si occupi di letteratura: «la consapevolezza che un antico sapere tramandato nei secoli sia in realtà un edificio pericolante, che il senso stesso dell’educazione letteraria non sia più garantito ma debba essere continuamente rinegoziato, forse reinventato su nuove basi».

Un esame dunque radicale quello a cui Bertoni sottopone il sapere letterario, ma certo non nuovo nella sua scrittura: basti vedere il saggio, pubblicato su “Between, L’educazione letteraria. Appunti di un insegnante del XXI secolo, dove si domanda appunto quale sia il ruolo della cultura e, attraverso una serrata analisi delle lettere italiane sotto il fascismo, arriva a scrivere che, nonostante «forse leggere i classici, come diceva Calvino, è sempre meglio che non leggere i classici, ma non di per sé, non necessariamente», tutto dipende dall’uso che si fa della letteratura. Una cultura del sospetto dovrebbe essere il movimento che guida lettori e studiosi, animati nel migliore dei casi da «dissenso, inquietudine, senso critico, decostruzione di stereotipi e schemi acquisiti» perché, come scriveva Barthes, in questo vicino al Garboli di poco sopra, «è scrittore colui per il quale il linguaggio costituisce un problema, che ne sperimenta la profondità, non la strumentalità o la bellezza».

Su questi binari si muove anche questa nuova monografia che parte proprio dalla resistenza ancestrale della letteratura nei confronti di non lettori, rivoluzione digitale e mondo dell’immagine, mettendone in luce una vitalità che contrasta la progressiva «agonia degli studi letterari» e il conseguente smarrimento delle vecchie categorie che necessitano dunque di essere ripensate in chiave di una nuova educazione letteraria. Per fare questo Bertoni si serve del «demone» della teoria, «uno degli ultimi avamposti del pensiero illuminista, disciplina strategica per il sapere novecentesco», seguendo «il progetto [che]viene dall’eredità migliore della modernità, la tentazione illuministica di guardare, organizzare i dati dell’esperienza per trovare il nostro modo di essere nel mondo». Il libro si compone di quattro parti teoriche, separate tra loro da quattro esercizi di lettura, rispettivamente su Underworld (1997), Madame Bovary (1857), Fuoco pallido (1962) e Il Master di Ballantrae (1889). In ognuna di queste letture l’apparato teorico che via via si costruisce nei vari capitoli viene messo alla prova e verificato in testi esemplari, mostrando ambiguità e fratture del testo e dell’interpretazione. La prima parte del volume, che si apre emblematicamente con il paragrafo intitolato Che ci faccio qui?, è dedicata a questioni di fondo circa il sapere delle letteratura (quella che viene definita come «l’esplosione centrifuga dello spazio letterario»), e la quarta, quella che chiude il cerchio, I ferri del mestiere, mette a punto alcuni indispensabili strumenti per affrontare con consapevolezza il testo letterario.

Il testo di Bertoni sfugge con grande acume alle maglie strette e spesso sterili della manualistica, e tratteggia un quadro decisivo sulle coordinate dello studio della letteratura, qui giustamente immersa nel mondo e non separata da esso. «Noi siamo tra quelli che credono in una letteratura che sia presenza attiva nella storia in una letteratura come educazione, di grado e di qualità insostituibile» scrive Calvino in Il midollo del leone, e Bertoni sembra far sue queste parole, e inserire la letteratura proprio «in questo mondo, nella babele di linguaggi, media, fenomeni e pratiche sociali in cui viviamo» perché, come annota in conclusione, «forse ne vale ancora la pena».

M Moca è dottorando in letteratura italiana all’Université Paris Nanterre e all’Università di Bologna