Don Lorenzo Milani – Tutte le opere

La radicalità necessaria e il conflitto salutare

recensione di Sergio Tramma

dal numero di luglio/agosto 2017

Lorenzo Milani
TUTTE LE OPERE
a cura di Federico Ruozzi, Anna Canfora, Valentina Oldano e Sergio Tanzarella
pp. CXXXVII-2809, 2 voll., € 140
Mondadori, Milano 2017

Lorenzo Milani - Tutte le opereE venne un libro. E venne un libro scritto da un gruppo di ragazzi guidati da un prete strano. Un gruppo di ragazzi di montagna istruiti, che con tale istruzione smentivano il destino che per loro prevedeva, da secoli, la peggiore ignoranza, quella che non è consapevole di esserlo, non genera sforzi per essere ridotta, non stimola domande sulle sue cause e sui suoi costi. Istruiti di saperi che, oltretutto, stimolavano un pensiero critico che non si accontenta di quelle spiegazioni che attribuivano la loro condizione di marginalità a loro stessi, alle loro storie familiari, alla loro inadeguatezza “antropologica”, alla sfortuna o l’incapacità di farsi da sé. Un gruppo di ragazzi guidati da un prete strano convertito al cattolicesimo in età adulta, raffinato intellettuale che non somigliava ad alcuno dei modelli di sacerdoti che andavano allora in voga, e che non diventerà effettivamente imitabile, al più un limite al quale tendere. Un prete anticomunista, pur se la sua azione educativa e pedagogica ricordava molto più Makarenko che don Bosco, un prete antimoderno, pur se i contenuti della sua proposta formativa erano anni luce avanti agli apparati e ai pensieri di allora, un promotore e conduttore di quella che oggi si definirebbe una “buona pratica”, ma che lui non avrebbe mai definito tale, ma solamente “fare scuola”.
E fu pubblicato un libro che come titolo aveva quello che effettivamente era: una Lettera a una professoressa, un’amara missiva di protesta e di disillusione contro quotidiani e prosaici atti di ingiustizia formativa; era una denuncia secca, quasi “a perdere”, non un manifesto programmatico per un’immaginifica “buona scuola” in atto o prossima a venire. Un libro inossidabile, una tra le migliori testimonianze della contraddittoria essenza del Novecento; un libro dopo il quale la scuola non sarà più come prima, non tanto perché abbia ispirato trasformazioni nella didattica, ma perché ha disvelato, illuminato e raccontato meglio di ogni altro i meccanismi espliciti e latenti della selezione economica e meritocratica allora brutalmente, oggi più delicatamente, presente nella istituzione scolastica.

Non solo manifesto di protesta

Lettera a una professoressa non è stato solo un manifesto di protesta che si è rapidamente diffuso in tutto il paese, contribuendo a fornire materiali e teoria a quella contestazione didattica e politica della “scuola di classe” che ha trovato espressione e movimento alla fine degli anni sessanta e all’inizio dei settanta. Non è solo questo, sarebbe troppo inattuale, troppo documento storico per avere una sua credibilità, è stato anche un testo che ha ispirato, e ancora può ispirare, atteggiamenti di ricerca e posture didattiche applicabili sempre, e non solo sul piano dell’analisi dell’istituzione scolastica e dei suoi movimenti interni ed esterni.

Don Lorenzo Milani

In Lettera a una professoressa la teoria attorno alla selettività della scuola e alle sue dinamiche non è costruita solo sull’analisi dei, pur significativi, casi, lo è anche attraverso pratiche di ricerca “non accademiche”; infatti la lettera contiene “numeri” che dimostrano “oggettivamente”, in maniera semplice e inequivocabile, come la scuola non fosse ancora un’esperienza per la promozione di pari opportunità e, con il senno di poi, mai lo sarebbe diventata, non perché strutturalmente impossibilitata a, ma perché inserita in un contesto storico nel quale le pari opportunità erano dichiarate ma non praticate, e non per errore o disfunzione, ma perché (sempre bene ricordarlo, soprattutto quando si tende a risolvere tutto con il concetto e le pratiche di inclusione) la disuguaglianza economica, sociale, culturale è uno svantaggio per molti ma un vantaggio per alcuni. Non è un difetto di funzionamento di un sistema, bensì è una sua componente che fa funzionare il sistema in un certo modo, seppure non l’unico modo possibile.

Il libro dell’impegno

Ma il valore del libro prodotto dai ragazzi della scuola di Barbiana è anche un altro: è un libro che ha diviso e non unito, non è stato pensato e praticato come strumento ecumenico e pacificatore, ha generato divisioni e conflitti nella chiesa, nella scuola, nei cattolici, nella sinistra. Il messaggio era che, in alcuni casi, si deve scegliere se stare da una parte o dall’altra, senza se e senza ma: e avrebbe potuto essere diverso per persone cresciute in un ambiente formativo nel quale erano maturate anche le lettere di L’obbedienza non è più una virtù?

È dunque il libro dell’impegno, della radicalità, dell’assunzione di responsabilità, dell’anti-attivismo, della fatica, della scuola tutto il giorno e per tutti i giorni dell’anno, cioè di una scuola inimitabile e (saggiamente) non proponibile. Non è una scuola da imitare, ma da imitare è l’atteggiamento didattico, cioè quello della ricerca su cose vere, sull’analisi delle pratiche sociali per come esse sono, quella dell’impegno (dei docenti come dei discenti), del non accontentarsi del minimo sindacale in fatto di acquisizioni di sapere e di competenze, e del mettere però in dubbio il sapere e le competenze richieste alle persone, cercando di capire perché sono richieste quelle e proprio quelle, quale ideologia si celi (allora come oggi) sotto soft skills dichiarate essenziali per i tempi che corrono. È, inoltre, il libro sulla necessità di comunicare, di capire e farsi capire, fosse solo per difendere sé stessi dal mondo circostante.
I motivi d’interesse nei confronti di Lettera a una professoressa sono anche altri: è la testimonianza di un tempo agricolo e premoderno al tramonto, un tempo ancora oggi non del tutto superato e rielaborato; è la narrazione di un passato le cui radici contribuiscono a spiegare le vecchie e nuove ineguaglianze del presente, in cui ancora si assiste a quello scandalo (per riprendere la copertina dell’edizione originale di La storia di Elsa Morante) che “dura da diecimila anni” e che oggi è percepito nella sua dimensione globale e non più solo locale. In Lettera a una professoressa c’è una povertà non plebea che rispetta se stessa ma non si ama (perché la povertà non si dovrebbe amare) che ci comunica, ancora oggi (forse a maggior ragione rispetto a 50 anni fa), che l’indignazione e l’opposizione radicale nei confronti dell’esistente non è detto debba esprimersi con i “vaffa” (questi sì plebei) o con lo sbraitare di quella “gente” che tanto piace a un certo tipo di informazione. Nel libro c’è l’idea che possa ancora costruirsi un pensiero forte, convinto, critico e progettuale che si fa discorso rivolto ad altri per essere ascoltato e agito, per tentare di trasformare il malessere in una critica all’esistente. È un libro scritto da e per quei montanari che stavano dietro i contadini, gli operai e quelli di città; prodotto da sconfitti che si sono presi il sovversivo lusso di capire loro stessi e il mondo circostante.

Ha ancora senso oggi Lettera a una professoressa? Sì, lo ha, oltre che per i motivi precedentemente accennati, anche perché è una boccata d’aria fresca in mezzo a quella viziata che oggi ammorba la scuola e non solo la scuola, cioè quella dell’efficienza e dell’efficacia, dell’imprenditorialità, della scuola azienda, della meritocrazia, del diventare imprenditori di sé stessi, della retorica dei “cervelli in fuga”, degli algoritmi e di molto altro. Il libro dei ragazzi di Barbiana e di Lorenzo Milani ha cinquanta anni, una parte delle persone che l’hanno letto in gioventù sono diventate insegnanti e, molto probabilmente, una gran parte di loro è andata in pensione, e con ciò si è forse avverato il sogno gelminiano di “farla finita con il sessantotto”. Chissà quanti tra questi insegnanti avranno fatto leggere ai loro studenti un libro, scritto da un gruppo di ragazzi istruiti guidati da un prete strano.

sergio.tramma@unimib.it

S Tramma insegna pedagogia sociale all’Università di Milano Bicocca

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