Il fattore oscuro
di Francesco Remotti
Frans de Waal
Diversi
Le questioni di genere viste con gli occhi di un primatologo
ed orig. 2021, trad. dall’inglese di Allegra Panini
pp. 470, € 28,
Cortina, Milano 2022
In almeno due occasioni l’autore riporta il tragico episodio in cui fu coinvolto John Money, uno psicologo neozelandese operante negli Stati Uniti. A Money si riconosce il merito di avere introdotto nel 1955 il termine gender, non più soltanto come nozione grammaticale, ma per indicare tutto ciò che un soggetto umano “dice o fa” in aderenza al suo “status di bambino e uomo o di bambina e donna”. Nel 1965 Money fondò la prima Gender Identity Clinic presso la Johns Hopkins University. Come ricorda de Waal, terminologia e impostazione di Money ebbero un’immensa popolarità, allorché sulla sua scia “il femminismo dichiarò che il genere è un costrutto sociale”. La parabola ascendente e discendente di Money ruota attorno al caso di Bruce-Brenda-David Reimer, che da piccolo un’operazione mal riuscita di circoncisione aveva privato del pene. Su indicazione di Money, si provvide ad asportare pure i testicoli e a cominciare a trattare il bambino secondo i dettami del genere femminile (i chirurghi della Johns Hopkins provvidero anche ad abbozzare una vagina): se il genere è un costrutto sociale, con opportuni accorgimenti Bruce avrebbe potuto diventare Brenda. Money seguiva questo caso, che egli citava come successo dimostrativo della sua teoria del gender. Ma Bruce stentava a percorrere questa strada. Venuto anzi a conoscenza della sua vera storia all’età di 14 anni, Bruce volle intraprendere il cammino inverso e riguadagnare un’identità maschile: Bruce, che era diventato Brenda, si fece chiamare David. Si sottopose di nuovo a trattamenti chirurgici (mastectomia e falloplastica), oltre che ormonali: e contrasse un matrimonio con una donna. Ma nel 2004, all’età di 38 anni, David si fece fuori con un colpo di fucile. Da tempo ormai Money non poteva più citare a suo favore il caso Bruce-Brenda. Uno psichiatra, a lui succeduto alla clinica della Johns Hopkins University, fece riesaminare una cinquantina di casi di transessualità curati senza giovamento: la Gender Identity Clinic di Baltimora venne chiusa. Money morì nel 2006.
Con il tramonto scientifico di questo personaggio non viene meno però la nozione di gender e nemmeno la teoria del genere come costrutto sociale. Questo libro di de Waal – così allergico a personaggi come Money – ne è la dimostrazione. Proprio utilizzando questa nozione – persino nella sua formulazione più dura e corrente: “identità di genere” – egli ci fa conoscere da vicino una miriade di aspetti e situazioni comportamentali di tre specie geneticamente imparentate: gli scimpanzé, i bonobo e gli umani. Ma, allora, il genere è o non è un costrutto sociale?
Non si fa torto a Frans de Waal, se si sostiene che egli oscilla, virtuosamente (o quasi), tra il sì e il no. De Waal si oppone con fermezza all’idea che la mente umana sia una pagina bianca su cui cultura o società non facciano altro che scrivere impunemente le loro regole. Non ci sono pagine bianche e non ci sono soltanto i segni della cultura, frutto di libera invenzione: c’è qualcosa d’altro, anche se oscuro, quel qualcosa che impediva a Bruce di diventare Brenda e che l’aveva addirittura indotto (quanto dolorosamente) a fare marcia indietro. Per la stessa ragione, de Waal in diverse occasioni invita a non accontentarsi di quanto affermano, a parole, i nostri interlocutori umani, ma concentrare la nostra attenzione sul comportamento effettivo. Un conto è quanto si dice di fare o voler fare; un altro conto è quello che si fa.
L’oscillazione virtuosa di de Waal consiste, dopo avere fatto propria la distinzione tra sesso (genitali, più cromosomi) e genere (ruoli o modelli comportamentali socialmente ispirati), nell’ammettere da un lato la natura eminentemente culturale dei generi, quale viene confermata pure dall’osservazione etologica di scimpanzé e di bonobo, e nel sostenere dall’altro che, “se i ruoli di genere possono essere prodotti culturali”, “l’identità di genere” invece “sembra emergere dall’interno”. E quindi, non è l’ambiente in quanto tale a produrre il genere, è invece l’individuo attraverso il processo di “autosocializzazione di genere”: un processo senza dubbio complesso, che tiene conto in primo luogo di qualcosa che si determina a monte (geni? ormoni? esperienza nell’utero? precoce esperienza postnatale?) e che si sviluppa poi attraverso le relazioni sociali con sé e i propri simili (imitazione, autoimitazione, differenziazione). A indurre de Waal a proporre questa visione assai articolata sono soprattutto i casi di trans-gender, quelli per i quali alcuni individui, pur nascendo con un sesso determinato e perfettamente riconoscibile, avvertono di appartenere al sesso opposto. Ѐ il fattore oscuro, che impediva a Bruce di divenire disinvoltamente Brenda. Fattore oscuro, perché – come ammette de Waal – non sappiamo ancora esattamente dove cercarlo, se non a monte, e come ingrediente, del processo di autosocializzazione di genere.
Come il lettore intende leggendo la presentazione di Giuseppe Ardito, il libro di de Waal si impone per la ricchezza strabiliante di osservazioni etologiche, in un continuo e fecondo rimando tra umani e le due specie a noi geneticamente più vicine. Qui ci siamo concentrati su un punto nodale, quello che maggiormente pone in questione l’intreccio tra cultura e tendenze o stimoli non culturali. La virtuosità della posizione di de Waal è quella di rifiutare una visione unilaterale, di tenere conto di entrambi i lati della questione. L’esigenza che il lettore potrebbe avvertire – rivolta non solo a de Waal – è quella di una più precisa e affascinante messa a punto delle interazioni tra cultura, intesa ormai nel suo ampio senso zoologico, e meccanismi di altro ordine (genetici, epigenetici e così via).
francesco.remotti@fastwebnet.it
F. Remotti è professore emerito di antropologia culturale dell’Università di Torino
Scimpanzé, bonobo e umani: somiglianze e differenze
di Giuseppe Ardito
L’etologo Frans de Waal è autore di numerosi libri pubblicati a partire dagli anni ottanta sul comportamento dei primati e in particolare degli scimpanzé. Tra questi possiamo ricordare: La politica degli scimpanzé (Laterza, 1982), Far pace tra le scimmie, (Rizzoli, 1990), L’ultimo abbraccio(Cortina, 2020), tutti libri che lo avevano fatto conoscere e apprezzare dal grande pubblico per la sua non comune capacità divulgativa.
In questo suo ultimo interessante volume de Waal si dedica a una tematica quanto mai attuale e controversa, quella relativa alle questioni di genere viste, come recita il sottotitolo, con gli occhi di un primatologo. Tra le domande alle quali cerca di rispondere troviamo quelle relative al diverso comportamento degli uomini e delle donne: si tratta di differenze di natura o piuttosto di una differenza artificiale? I generi sono soltanto due o sono di più? E ancora, il genere e il sesso anatomico si equivalgono, come pensa la maggioranza della popolazione, oppure hanno due significati diversi? La parità di genere, dice Frans de Waal, non è mai esistita nel passato e non esiste tuttora. Cita a questo proposito Aristotele, Schopenhauer, Hegel, Nietzsche senza trascurare lo stesso Darwin, tutti convinti dell’inferiorità della donna rispetto all’uomo, e anche se al giorno d’oggi qualcosa comincia a muoversi, la soluzione di questo problema è ancora lontana.
Come ricorda opportunamente l’autore, noi siamo animali e condividiamo con lo scimpanzé qualcosa come il 96-98 per cento del nostro dna, non solo, ma abbiamo in comune anche gran parte della nostra struttura socioemotiva: di qui l’importanza, al fine di comprendere meglio la natura delle differenze di genere, dell’osservazione di quanto succede nelle comunità dei primati, i nostri parenti biologici più vicini. Osservando ad esempio il comportamento degli scimpanzé la cui società è aggressiva, territoriale e guidata da maschi e quello dei bonobo che invece sono pacifici, amanti del sesso e dominati dalle femmine, de Waal riesce a mettere in dubbio le convinzioni ampiamente diffuse circa i nostri stereotipi di genere quali il concetto di mascolinità e femminilità o di leadership.
Nei vari capitoli in cui si articola il libro, l’autore inizia considerando le differenze di genere ad esempio nella scelta dei giochi dei piccoli macachi e scimpanzé, i cui maschi preferiscono giocare con le macchinine e con la palla mentre le femmine prediligono giocare con le bambole. Ciò significa che potrebbe trattarsi di un comportamento radicato nelle nostre radici biologiche e non solo perché sono i genitori a scegliere quali giocattoli regalare agli uni e alle altre e quindi non sarebbero differenze basate sulla sola componente culturale.
Il secondo capitolo intitolato Genere, parte dalla definizione di questo termine come riporta l’Organizzazione mondiale della sanità, che recita tra l’altro: “Il genere si riferisce alle caratteristiche di donne, uomini, bambine e bambini che sono socialmente costruite” per sostenere che se è vero che talvolta il genere va oltre la biologia, non è comunque venuto fuori dal nulla. Per dimostrarlo cita ad esempio esperimenti in cui i volontari che osservano ritratti di uomini e donne a cui sono stati tolti tutti i capelli, impiegano appena un secondo a riconoscere correttamente il genere dell’individuo, con una percentuale vicina al 100 per cento. Secondo de Waal, un errore comune nel valutare l’influenza della natura e della cultura è considerare l’effetto della componente culturale come la dimostrazione dell’assenza dell’altra ma non è così che funzionano le cose, perché da sempre esiste un’interazione dinamica tra i nostri geni e l’ambiente.
Molto interessanti i successivi capitoli sui segnali sessuali e sui comportamenti violenti dove l’autore accosta regolarmente quello che succede nei primati con quello che succede nella nostra specie. Altrettanto interessanti i capitoli sulle caratteristiche dei generi nel mantenere la pace, nelle cure parentali e quello intitolato Sesso con lo stesso sesso in cui racconta come il rapporto omosessuale sia molto diffuso nel regno animale e quello eterosessuale non sia da considerarsi necessariamente il punto più alto dell’attività sessuale. Secondo de Waal, poiché il cervello degli animali si sviluppa indipendentemente dall’ambiente culturale umano, il confronto tra noi e gli altri primati permette di tenere conto anche del ruolo dell’evoluzione. Alcune delle differenze comunemente riportate nei vari testi che si occupano delle caratteristiche dei due generi sono spesso illusorie: il fatto ad esempio che si ritengano i maschi più competitivi delle femmine non tiene conto che la competizione tra femmine, anche se meno fisica, è comunque molto intensa.
Il libro termina con un capitolo le cui considerazioni contribuiscono ad ampliare la discussione sulle dinamiche di genere nelle società umane, promuovendo un modello inclusivo che permette di abbracciare contemporaneamente sia le differenze sia le similitudini esistenti. In conclusione un libro che, pur trattando un argomento così complesso come la diversità di genere, dimostra ancora una volta la capacità divulgativa dell’autore.