Il battito del cuore della natura
di Marco Gamba
David Quammen
Il cuore selvaggio della natura
Dispacci dalle terre della meraviglia, del pericolo e della speranza
ed. orig. 2023, trad. dall’inglese di Milena Zemira Ciccimarra,
pp. 444, € 25,
Adelphi, Milano 2024
David Quammen, prima di diventare l’uomo che sapeva tutto o quasi sul covid-19, era una delle punte di diamante tra i reporter del “National Geographic”. Questo libro ci propone di Quammen, infatti, una compilazione dei suoi reportage che datano dal 2000 al 2020, scelti e risistemati in modo che ci offrano uno spaccato di quelli che sono i tanti e variegati sforzi che uomini e donne, scienziati e scienziate, compiono in favore della conservazione della biodiversità. Ciò che alla fine della lettura rimane impresso nella mente è innanzitutto la fragile delicatezza degli equilibri della natura, la grande capacità degli esseri umani di rovinare quegli equilibri e i goffi tentativi dei medesimi di porre rimedio alle proprie malefatte senza cogliere la complessità degli ecosistemi.
Quammen sembra volerci mostrare in alcuni passaggi del libro che civiltà umane e specie animali hanno la stessa dignità e possono coesistere solo se gli umani sono pronti a riconoscersi come elementi di un sistema complesso. Se continuiamo a violare la maestosa complessità della natura, la ritroveremo poi fragile e inaccogliente. Questa fragilità offre il fianco a racconti eroici di donne e uomini che si sono stagliati come paladini della conservazione, tra i quali non si possono non citare Jane Goodall e Mike Fay, ma non sarà facilmente restaurabile: le eroine e gli eroi entrano in azione quando molte situazioni sono oramai compromesse; sono certamente animatrici e animatori di speranza ma, pur spendendo la loro vita e tutte le loro energie per una causa, difficilmente riescono a ristabilire una situazione contaminata dalla maldestra mano antropica.
Una delle documentazioni più belle che offrono i reportage di Quammen è dedicata all’epico Megatransect di Mike Fay, una spedizione volta a indagare la salute degli ecosistemi dei bacini fluviali del Congo e dell’Ogooué. Quammen spazia dalle sfide logistiche alle debolezze umane, dallo stupore infantile di fronte alle bellezze naturalistiche alle indagini scientifiche sulle specie tropicali. In poche pagine saltiamo dall’Africa alla Kamčatka per cavalcare insieme agli avannotti di salmone, poi ancora ci troviamo faccia a faccia con una svogliata femmina di giaguaro che finge di ignorare un capibara grassottello introdotto nella sua gabbia. C’è un mantra che resta impresso nella mente di chi legge fin dalla Prefazione del volume e che diventa come un filtro per la lettura dell’intero libro riconoscendo come “un faro” il magistero del biologo Edward O. Wilson: è lo studio The Theory of Island Biogeography, firmato da questi e Robert H. MacArthur nel 1967, scrive Quammen, che lo “ha portato in foreste remote dove sentivo il battito della natura selvaggia pulsare come sangue nelle mie orecchie: l’Amazzonia centrale, il bacino del Congo, le paludi di Okefenokee, la Cordigliera centrale in Nuova Guinea. O in altri luoghi dove quel battito si è fatto debole e incerto, e rischia da un momento all’altro di cessare a causa di una perdita progressiva dei quattro elementi che ho citato – la diversità, la connessione, i processi e l’estensione –, luoghi meravigliosi ma tristi come il Madagascar. […] Sottrarre predatori a una grande foresta significa indebolirla. Sottrarre anfibi, idem. Ridurne la superficie del cinquanta per cento e frammentare quel che resta costruendovi delle strade significa indebolirla”.
È paradigmatico l’esempio che ci offre il conflitto tra uomini e scimpanzè. L’incremento numerico delle popolazioni umane conduce a un proliferare di villaggi e a un uso sempre più massivo delle risorse che vengono dalle foreste. Ciò aumenta il rischio di contrarre malattie da animali selvatici, inclusi i primati. Ma erodere l’estensione della foresta spinge anche gli scimpanzè a individuare le coltivazioni umane come risorse di cibo, inasprendo lo scontro con gli agricoltori locali. L’Uganda, così come altri paesi africani, è teatro di questi scontri, in cui a un’azione corrisponde una reazione, spesso soffocata, letteralmente, nel sangue dallo strapotere degli esseri umani, ma non senza una perdita o una sconfitta, che è tale per tutte le fazioni. Se gli umani rubano le risorse ai primati della foresta, il popolo della foresta cercherà cibo tra le aree che gli umani ritengono di loro proprietà. Quale drammatica similitudine si scorge in questi processi con le tante storie di migrazioni umane che conosciamo oggi. Tutto è connesso: diversità, connessione, processi ed estensione sono le quattro parole chiave con cui l’autore ci chiede di interpretare i suoi racconti, sono i setacci con cui ci chiede di diagnosticare la salute degli ecosistemi che cerca di farci conoscere.
Duole dire che il quadro che emerge, seppur disegnato nel corso di venti lunghi anni, non è troppo confortante. Ed è interessante notare come Quammen sia pronto a valorizzare qualunque sforzo per il bene della natura, da quelli compiuti dagli eroi della ricerca alla conservazione fatta nei piccoli zoo, dalla grande campagna a sostegno di un determinato progetto scientifico alla divulgazione portata villaggio per villaggio. Quammen è un narratore brillante che magistralmente ha saputo integrare in un libro tanti appassionanti report della sua vita di avventura e giornalismo al servizio del “National Geographic”. Temeraria è la sua ricerca del “battito” del cuore della natura, qualche volta intrisa di ottimismo e qualche volta velata di pessimismo.
marco.gamba@unito.it
M. Gamba insegna zoologia ed etologia all’Università di Torino