Donne e scienza. Chi ha sfondato il soffitto di cristallo?

di Nicole Ticchi

Passione. Ribellione. Dovere. Meraviglia. Determinazione. Curiosità. Costanza. Amore. Provate a mettere intorno a un tavolo le scienziate di oggi, quelle del passato e quelle del futuro e avrete un’elevata probabilità di ascoltare queste parole come risposta alla più candida delle domande: cosa vuol dire, per te, fare scienza?

Di donne che hanno dedicato la propria vita a questo, se ci basassimo sulla scarsa letteratura dei libri di testo scolastici, ne conosceremmo ben poche. Quelle che hanno sfondato il soffitto di cristallo, dimostrando di essere talmente straordinarie da meritare addirittura un Premio Nobel, sono arrivate alla nostra attenzione e alla conoscenza popolare solo negli ultimi anni. Ma, come recita il titolo di un recente libro delle scienziate e comunicatrici scientifiche Edwige Pezzulli e Nastassja Cipriani, Oltre Marie (le plurali, 2023) c’è di più. Ci sono schiere di role models e le loro storie di vita quotidiana, fatta di successi e, soprattutto, di fallimenti. Ci sono donne che hanno fatto scienza in maniera straordinaria e donne che l’hanno fatta, e continuano a farla, in maniera del tutto ordinaria costruendo, un pezzettino alla volta, le basi della conoscenza sui cui si poggiano le scoperte sensazionali che arrivano alla ribalta del successo. Tutte, ognuna di loro, meritano ascolto e attenzione. Ognuna di quelle storie arriva a qualcuno e ha il potere di cambiare una vita.

Cosa sappiamo davvero delle scienziate che hanno lasciato il segno nella storia? Oltre la leggendaria e ormai abusata figura di Marie Curie, quante altre donne hanno contribuito in modo fondamentale alla scienza, rimanendo però invisibili? Leggere le pagine di Oltre Marie ci invita a porci queste domande e a riflettere su quanti ostacoli e sfide le scienziate abbiano dovuto affrontare lungo il cammino. Quali pregiudizi hanno limitato il loro accesso alle discipline scientifiche, e come hanno fatto queste donne a farsi strada in un mondo che per secoli le ha relegate in secondo piano?

Una delle domande che chi lavora quotidianamente con questi concetti si fa in maniera quasi ossessiva è: come sarebbe oggi la scienza se fosse davvero aperta e inclusiva? Il libro esplora proprio questo tema, facendo emergere storie di lotta, talento e resilienza, raccontate in modo semplice e diretto. Ci spinge a riflettere su cosa cambierebbe se dessimo maggiore visibilità al contributo delle donne e soprattutto, sul perché è ancora così difficile abbattere certi stereotipi che vedono la scienza come “campo maschile”.

Cosa succede se cambiamo l’espressione “fare scienza” con “essere scienziata”? Nella nostra domanda, apparentemente, cambia poco, ma le risposte che potremmo ricevere sarebbero molto più ampie e ricche di dettagli. È con quest’ottica che sono state raccontate le dieci Scienziate (Cortina, 2024) che Elena Cattaneo ha scelto per arricchire l’immaginario delle nuove generazioni, affinché corrisponda meglio alla diversità che compone la nostra realtà. Una diversità che si manifesta anche nel modo che abbiamo di intendere la scienza e dove microscopi e pipette vanno di pari passo con lingue antiche, come nella storia di Silvia Ferrara, e con la coltura di frutti del Mediterraneo, con Alessandra Gentile. Usciamo quindi dalla scienza canonica e accettiamo di parlare di conoscenza: tutto dipende da come guardiamo il mondo che ci circonda ed è impossibile scindere l’imprinting e le esperienze vissute durante l’infanzia e l’adolescenza dalla spinta a esplorare, scoprire, studiare.

Dalle storie di questo libro capiamo due cose importanti. La prima è che la cassetta degli attrezzi di una scienziata è in continuo divenire e attinge a un sapere molto più ricco delle sole conoscenze tecnologiche. La seconda è che le storie hanno il potere di farci immedesimare in tutte quelle situazioni in cui, a causa di pregiudizi, stereotipi e convinzioni inconsce, non abbiamo mai osato avventurarci per paura che questo non ci spettasse di diritto. Ma, in un attimo, qui possiamo balzare dal bancone di Costanza Miliani, la scienziata che usa la chimica per curare il patrimonio artistico, alle strumentazioni di Maria Giovanna Durante, ingegnera che studia il modo in cui si comporta la terra sotto i nostri piedi. Oppure, possiamo avventurarci nel laboratorio di Simona Lodano, che oltre a occuparsi di studiare il cervello e le patologie neurodegenerative, è anche impegnata nella promozione di una maggiore equità e inclusività nel campo delle neuroscienze.

C’è una bambina in ognuna di queste storie, che ha usato le proprie scoperte e domande per costruirne altre, sempre più complesse, e ha scoperto di non desiderare altro per la propria crescita professionale e personale. E c’è, in ognuna di queste storie, un’occasione di capire quanto le carriere siano un continuo divenire dettato da collaborazione, gioco di squadra e preziosi fallimenti, che costringono a non fermarsi alla prima impressione ma a perseverare e a considerarli il motore per fare sempre del proprio meglio. Un concetto, questo, che nella società della performance abbiamo bisogno di reimparare ogni giorno e con il quale confrontarsi, soprattutto per le donne, è molto complesso. Quando hai gli occhi puntati su di te, perché le aspettative sono basse e gli sguardi altrui esprimono diffidenza e scherno invece che stima, le gioie del fallimento non sono la prima cosa che viene in mente.

Potrebbe raccontarlo molto bene Roger Arliner Young (sì, è una donna, anche se il nome è tipicamente maschile), che, non riuscendo a rispondere alle domande di ammissione dell’esame di dottorato, si è vista definire “mentalmente inadatta” dal suo supervisore, dopo aver tuttavia dimostrato di essere una lavoratrice dotata e geniale. Qualche anno prima, alla sua prima laurea in scienze aveva scritto nell’annuario sotto la sua foto che “il crimine non è fallire, ma accontentarsi”: nel 1940, sarà la prima donna afroamericana a ottenere un dottorato in zoologia. Questa e sette altre storie, raccontate con una grande capacità di lettura della complessità umana, sono state raccolte da Simone Petralia nel libro Le ribelli. Otto scienziate che hanno cambiato il mondo (Scienza Express, 2024). Ribellione, appunto: allo status quo, alle regole non scritte, all’ordine prestabilito e a ciò che consideriamo nella norma. A ciò che queste donne hanno – di proposito o perché ci si sono trovate in mezzo – tentato di sovvertire.

Questo, invece, potrebbe raccontarlo bene Sara Josephine Baker, prima donna a capo del Bureau of Child Hygiene del Dipartimento della Salute con sei ispettori sanitari al suo servizio, tutti uomini. Sul fatto che fosse brava probabilmente non c’erano dubbi, ma le dinamiche di potere sono un’altra cosa e prendere ordini da una donna non è banale. Un fenomeno che continuiamo nostro malgrado a sperimentare tuttora, quando vediamo che le posizioni apicali sono occupate in gran parte da uomini e che la leadership è ancora un concetto prettamente maschile. E se sei donna e vuoi fare la leader hai ancora bisogno di un corso di formazione apposito che, nemmeno a dirlo, agli uomini non è mai stato nemmeno proposto. La leadership, e non solo nella scienza, è Per soli uomini (Codice, 2021), come recita il titolo di un testo a firma di Emanuela Grigliè e Guido Romeo. Sfogliando queste pagine capiamo anche perché è così importante raccontare al mondo intero che la scienza ha un’estrema necessità di una diversità alla sua guida: per assicurarci che le soluzioni che inventiamo e immaginiamo non siano rivolte a una sola categoria di persone, ma tengano conto delle esigenze molteplici che la nostra società esprime. Promuovere una maggiore equità nella scienza e combattere il divario di genere non è una necessità prettamente numerica che serve a far tornare i conti dell’equilibrio tra uomini e donne: l’ago della bilancia è molto più furbo di così e sa bene che non è solo la sua posizione a contare. La diversità di prospettive che ognuna delle donne raccontate in questi libri ha portato nella propria area di ricerca ha a che fare molto più con gli impatti a lungo termine che con gli obiettivi di facciata e ci parla di una maggiore prosperità per tutta la società.

Non c’è azione, legge, riforma o imposizione che funzioni, nel coltivare l’immaginario, quanto possono farlo le storie e gli esempi di chi ha potuto mettersi in gioco e raccontarsi. Leggere le vite di queste scienziate è l’antidoto più potente che abbiamo contro i bias di genere nella scienza e il fertilizzante più efficace per piantare nuove splendide menti che alimenteranno il nostro futuro.

nicole.ticchi@gmail.com
N. Ticchi è comunicatrice scientifica