Rispettare tutte le idee di vita e di libertà
di Marco Cappato
Sebbene il Parlamento italiano non abbia più toccato, dal 1930 ad oggi, la legge che punisce il suicidio assistito e l’omicidio del consenziente, da allora il mondo è cambiato. Tant’è che è proprio la rivoluzione lenta ma inesorabile che ha attraversato la medicina, la cultura, il diritto, la politica e la filosofia il filo conduttore del libro di Giovanni Fornero, Indisponibilità e disponibilità della vita. Una difesa filosofico giuridica del suicidio assistito e dell’eutanasia volontaria (pp. 812, € 35, Utet, Milano 2020). Sono pagine che ho letto in una condizione soggettiva particolare, che chiarisco in premessa. Nei confronti di Mina Welby e miei è in corso un processo per avere aiutato a morire senza soffrire Davide Trentini, malato di sclerosi multipla e deceduto in Svizzera in un centro di aiuto al suicidio. In caso di condanna, la pena minima prevista è di 5 anni di carcere, la massima 12. Per lo stesso reato, sono stato prima incriminato e poi assolto, dopo due pronunciamenti della Corte costituzionale, per l’aiuto a morire fornito a Fabiano Antoniani. La differenza tra i due casi consiste nella dipendenza da trattamenti sanitari di sostegno vitale, certamente presente nel caso di Antoniani in quanto “attaccato a una macchina”, ancora “da dimostrare” invece nel caso di Trentini, in quanto egli non era collegato ad alcun macchinario che lo tenesse in vita. Secondo la legge e la giurisprudenza italiana, tale aspetto può determinare l’esito dell’alternativa tra una sentenza di assoluzione e una di condanna a una durissima pena detentiva. Già 15 anni fa, la decisione giudiziaria di assolvere l’anestesista Mario Riccio per aver aiutato a morire Piergiorgio Welby era stata presa sulla scorta di una autopsia dalla quale risultava che la morte di Welby non era dovuta all’effetto diretto della sedazione praticata dal dottor Riccio nell’accompagnare il distacco del respiratore, ma era avvenuta in conseguenza degli effetti (insufficienza respiratoria) provocati dalla patologia (distrofia muscolare) una volta interrotto il trattamento sanitario (ventilazione artificiale) su richiesta di Welby, come da suo diritto costituzionalmente garantito (art. 32). Ai fini della valutazione, determinante era infatti risultata la quantità di anestetico somministrato a Welby, inferiore alla soglia massima prevista per la sedazione. Se fosse stata superata quella soglia, anche se l’esito sarebbe stato comunque il medesimo (la morte di Welby), Riccio sarebbe incorso in una condanna fino a 15 anni di carcere. C’è dunque una linea sottile che separa un comportamento lecito – o addirittura doveroso – come l’interruzione delle terapie che tengono in vita una persona e un comportamento illecito severamente punito, come l’omicidio del consenziente o l’aiuto al suicidio. Sul confine tra il lecito e l’illecito di comportamenti dall’identico esito si muove la linea di faglia tra due “placche” in perenne tensione, formate da concezioni della vita e delle libertà profondamente diverse. Placche che Giovanni Fornero, con terminologia tecnica, denomina “paradigmi” e presenta con grande chiarezza: una concezione “disponibilista”, in base alla quale la nostra vita ci appartiene, un’altra “indisponibilista”, che sottrae il bene vita alle scelte di autodeterminazione individuale.
Se ci si limita a osservare da vicino quella linea di faglia, si potranno registrare scosse telluriche corrispondenti a singoli “casi” di pubblico dominio – Welby, Englaro, Nuvoli, Piludu, Velati, Antoniani, Trentini – destinati a muovere la società e il diritto nell’una o nell’altra direzione, solitamente in quella del riconoscimento di un maggiore spazio di autodeterminazione. Ma è soltanto se si allarga lo sguardo oltre alla mera cronaca (onorandone però la concreta importanza, come fa l’autore) che le due “placche” divengono visibili e che i sottostanti continenti di idee, valori e filosofie divengono osservabili nelle loro dinamiche e rotte di collisione. Il libro di Fornero consente al lettore di compiere esattamente questa operazione di “allargamento” dello sguardo. Ma non basta. La sua opera accompagna il lettore in un viaggio che porta anche in direzione contraria. Dall’empireo delle idee forgiate nei secoli da grandi maestri del pensiero, l’autore rimanda alla cronaca giudiziaria e politica, analizzata per voce di protagonisti anche apparentemente minori, dei quali però si coglie, in una dichiarazione o in un comunicato stampa magari passato inosservato ai più, un segno di originalità e novità che merita di essere evidenziato. Da Kant a quel medico che ebbe modo di seguire un determinato paziente; dal padre del codice penale fascista Alfredo Rocco al commento folgorante di un avvocato in uno dei tanti processi tenuti sul tema; dalla frase di un malato a una massima di Montaigne o di Seneca. E ciò non come sfoggio di erudizione, ma nel tentativo di sviscerare il rapporto tra le idee e la vita concreta.
Lo studioso prende posizione sin dal titolo, senza pretendere di essere super partes. Riprendendo la metafora, i suoi piedi poggiano saldamente sulla “placca” del disponibilismo. Proprio per questo, riesce a non usare astuzie retoriche per nascondere i termini dello scontro. Anzi riesce a nobilitare quest’ultimo con la chiarezza delle differenze, riconoscendo dignità a linee di pensiero opposte alle proprie, presentandole con una passione di studio non inferiore a quella riservata alle tesi più affini alle sue. Sulla base di questo modo di procedere, non si limita a scegliere un campo, ma fornisce un contributo originale che dalla filosofia arriva alla politica, passando – in modo competente e documentato – per il diritto, lungo una traiettoria che parte da principi alti per arrivare a proposte di impostazione legislativa. Nella fattispecie, l’imponente lavoro di ricostruzione storico-teorica si sforza di mostrare come la nozione di un “diritto” alla morte assistita, lungi dall’essere – come si è tradizionalmente pensato e come molti continuano tuttora a ritenere – un nonsenso logico e giuridico, sia qualcosa di dottrinalmente e operativamente proponibile. Evitando tuttavia di trasformare l’impostazione ideale in massimalismo ideologico, Fornero osserva come il diritto di morire, se declinato nella forma del suicidio assistito e dell’eutanasia volontaria, non possa fare a meno (a differenza di quanto accade nel suicidio “solitario”) di implicare l’intervento di terzi e quindi, nella pratica giuridica, di sottostare a determinati limiti e condizioni di esercizio. Con l’importante e chiarificatrice avvertenza che tali “condizioni”, le quali possono essere più o meno restrittive, non rappresentano dogmi fissi e immutabili, ma l’oggetto di un dibattito pubblico in fieri che, in concomitanza con gli sviluppi della coscienza collettiva e giuridica, le rende sempre suscettibili di essere ridiscusse, in vista di possibili allargamenti e modifiche.
Posto al centro del libro, il capitolo sul confronto irriducibile tra il paradigma indisponibilista e quello disponibilista è quindi il punto di partenza di una approfondita analisi storica, filosofica e giuridica che mette capo a una precisa proposta dottrinale e normativa. Proposta che, logicamente e coerentemente articolata, non comprende solo il suicidio assistito, ma anche l’eutanasia volontaria, giusfilosoficamente prospettata non come un “omicidio”, bensì come un “suicidio per mano altrui” che esige una forma di legittimazione non solo etica, ma anche giuridica. Infatti, a differenza di altri filosofi, esclusivamente concentrati sulle questione morali, Fornero – in ciò risiede uno dei principali aspetti di novità del volume – affronta di petto anche le problematiche giuridiche, lungo un percorso che può essere sintetizzato con il titolo di uno dei primi capitoli del libro: Dal diritto etico al diritto giuridico di morire. Considerato alla luce di questo percorso, l’annoso tentativo di eludere i nodi di una normativa integrale sul fine vita – di cui il legislatore italiano, nonostante i richiami della Corte costituzionale, continua a fornire un deplorevole esempio – potrà forse rispondere a scelte di convenienza e opportunismo politico, ma è un comportamento che, alla lunga, è destinato a entrare in collisione con la struttura pluralistica della società odierna, nella quale, al di là di ogni imposizione di parte, dovrebbero essere rispettate le idee che ciascuno ha della vita e della libertà, ossia le varie filosofie di vita. La filosofia, dunque. Giovanni Fornero – allievo di Nicola Abbagnano – prospetta la filosofia come un’area teorica che discutendo “problemi di fondo” aiuta a operare con consapevolezza “scelte basilari per la propria esistenza”. Da ciò la tesi della “inaggirabilità” della filosofia anche in ambito giuridico e l’idea che l’inevitabile nesso tra filosofia e diritto (orgogliosamente rivendicato nell’appendice al volume) costituisca un documentabile dato storico e teorico. Questo significativo modo di accostarsi alla disciplina di Socrate non vale solo in rapporto al diritto, ma si può estendere sia alla sfera politica sia alle conversazioni private di quando ci troviamo di fronte a scelte esistenzialmente drammatiche come quelle del fine vita. Il volume di Fornero – grazie a una ricerca interdisciplinare senza precedenti per completezza e chiarezza – intende porsi al servizio di tali scelte, qualsiasi esse siano per ciascuno di noi.
marco.cappato@associazionelucacoscioni.it
M. Cappato è giornalista e tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni