Nonostante l’abisso di ignominia
di Andrea Casalegno
Miguel Gotor
Generazione Settanta
Storia del decennio più lungo del secolo breve 1966-1982
pp. 450, € 34,
Einaudi, Torino 2022
Dalla repressione controriformista al contesto politico-criminale degli anni settanta: allievo di Massimo Firpo, principe dei nostri storici del Cinquecento, Miguel Gotor parte vent’anni fa dall’Inquisizione e approda oggi al lato più oscuro della storia contemporanea. Applicando undici anni fa il metodo storico ai testi di Aldo Moro e alle torbide vicende del ritrovamento, della loro diffusione censurata e pilotata e della sorda lotta di potere sottostante, Gotor aveva in parte svelato trame a tutt’oggi inconfessabili. Questa trame sono ora il tessuto del “decennio più lungo”. Per chi visse quegli anni molto è già noto; ma in modo inevitabilmente confuso. La verità storica si ricostruisce solo attraverso la precisione e la completezza dei fatti. Il lettore giovane resterà senza parole: a tal punto protagonisti e comprimari (chiunque abbia ricoperto una posizione di potere, politico, istituzionale, economico, criminale, o anche soltanto l’infimo potere di uccidere uno o più esseri umani) calpestarono in quegli anni ogni norma giuridica e morale, ogni vincolo di umanità, onore, fedeltà. Su tutto aleggia un velo di omertà che tutti accomuna: potenti e servi, politici e funzionari, la manovalanza stragista e i reduci delle utopie sedicenti rivoluzionarie.Il quadro generale è noto. Quando, a prezzo del duro lavoro dei ceti popolari, le condizioni economiche sembrarono aprire la strada alle rivendicazioni degli sfruttati e all’avanzata del loro referente politico, il partito comunista, una reazione violenta, interna ma sostenuta e orientata da potenti interessi esteri, riuscì a bloccare questo processo, a prezzo di una lunga scia di sangue. In questo senso la “strategia della tensione” ha vinto.
Ancora più sconvolgente, ma pur sempre noto, è che le stragi, a partire dal 1969, furono favorite e in parte attivamente promosse dai nostri servizi segreti civili e militari, che garantirono l’impunità agli esecutori materiali dei gruppi neonazisti, spesso infiltrati da agenti regolarmente retribuiti, sia facendoli espatriare, sia costruendo a freddo false piste per addossare la responsabilità a gruppi anarchici o di sinistra.Giustamente Gotor critica l’espressione “servizi deviati”, poiché a mettere in atto le trame non furono singoli funzionari, ma i vertici stessi dei servizi, che rispondevano ai politici che li avevano nominati. Le destre interne ed estere legate all’oltranzismo atlantico perseguirono una svolta autoritaria che non ci fu. Ma fu raggiunto l’obiettivo essenziale: il ridimensionamento del potere dei partiti di sinistra e dei sindacati. Al disegno eversivo collaborarono attivamente le frange più ottuse e sanguinarie dei movimenti extraparlamentari. Dopo la loro dissoluzione nacque una pletora di sigle, spesso effimere. Alcune però colpirono a lungo. Il servizio d’ordine di Potere operaio confluì in parte nelle Brigate rosse, quello di Lotta continua (la cui struttura militare segreta aveva ucciso, nel maggio 1972, il commissario Luigi Calabresi) creò Prima linea. I militanti clandestini, insignificanti nel periodo ascendente delle lotte operaie, calarono come avvoltoi sulla loro fase finale, specializzandosi in un’attività facile e crudele: nell’assassinio e nella tortura (poiché tale è ciò che essi denominavano “gambizzazione”) di singoli individui, inermi o colpiti a tradimento. La strategia della tensione ne approfittò. Protesse in vario modo i gruppi armati (il vero contrasto inizia dopo l’assassinio di Aldo Moro) e riuscì spesso a infiltrarli, se non a pilotarli. Anche i loro legami con i servizi segreti esteri (americani, francesi, israeliani e dei paesi dell’Europa orientale) sono provati al di là di ogni dubbio. La convergenza fra estremismo rosso e nero, del resto, era esplicita: entrambi dichiaravano apertamente di combattere le istituzioni democratiche e il progresso graduale attraverso le riforme. L’utilità della ricostruzione di Gotor non sta però in questa interpretazione generale, ormai acquisita, bensì nella ricchezza dei dettagli, che si basa su una conoscenza capillare delle fonti, comprese le inchieste giudiziarie e parlamentari, e sulla capacità di inserirle nel contesto internazionale: il solo che consenta di coglierne pienamente il significato.
Al centro si colloca il sequestro di Aldo Moro, con la sua gestione da parte sia delle Br, sia dell’apparato statale infiltrato dalla loggia segreta di Licio Gelli. Ma poiché ad esso Gotor ha già dedicato un libro intero, darò spazio ad altri aspetti. Una precisazione: le date del sottotitolo sono imprecise per difetto. Il racconto si apre con il Piano Solo: il progettato colpo di stato del generale dei Carabinieri Giovanni De Lorenzo (estate 1964). Continua, un anno dopo, con il convegno all’Hotel Parco dei principi di Roma: durante i lavori i vertici delle nostre forze armate, accompagnati da vari studiosi di estrema destra e da una serie di individui che diventeranno ideatori ed esecutori delle future stragi, esposero pubblicamente una strategia di contenimento del presunto pericolo comunista basata su attività segrete di infiltrazione e provocazione; quel programma sarà puntualmente attuato a partire dal 1969. E la storia prosegue fino agli eccidi di mafia e alla strage all’aeroporto di Fiumicino del 27 dicembre 1985. Non un decennio dunque, sia pure “lungo”, ma vent’anni di politica criminale, durante i quali il nostro paese appare schiacciato da una doppia morsa: Est-Ovest e Nord-Sud. Se gli anni della distensione sembrarono falsamente autorizzare una crescente apertura verso i comunisti italiani (che nel frattempo varavano l’“eurocomunismo”, staccandosi da Mosca: è dell’estate 1973 il tentativo dei servizi bulgari, fallito per un soffio, di assassinare Berlinguer con un incidente d’auto), il quadro si capovolge con la rivoluzione khomeinista in Iran del febbraio 1979, l’invasione sovietica dell’Afghanistan, nel successivo dicembre, e la presidenza Reagan.Anche il Mediterraneo è una polveriera. L’Italia si destreggia fra le simpatie filoarabe di Aldo Moro (con il patto, da lui promosso, che garantisce l’impunità ai militanti palestinesi sul nostro territorio, purché rinuncino a colpire obiettivi italiani) e l’ortodossia americana di Andreotti, che alimenta la corrente filoisraeliana nei nostri servizi.
Gotor dedica ampio spazio a due stragi consecutive (27 giugno e 2 agosto 1980): l’aereo abbattuto sopra Ustica e la stazione di Bologna. Per entrambe i vertici dei nostri servizi segreti sono stati condannati in via definitiva per depistaggio (per la seconda strage insieme a Licio Gelli). Il volo civile Bologna-Palermo cade durante un combattimento aereo. Quasi certamente si voleva abbattere un Mig libico a bordo del quale si riteneva ci fosse Gheddafi. Il depistaggio è immediato e concorde da parte dei vertici militari interni e internazionali. La definitiva verità giudiziaria ha accertato, a dispetto di tutti i tentativi di intorbidare le acque, che furono i Nar, il gruppo più sanguinario della galassia nera, a collocare la bomba di Bologna. Vi furono, però, anche accertati contatti internazionali. Gotor accredita la pista libica. Gheddafi ambiva al possesso di Malta, ma l’isola, appena divenuta indipendente, chiese la protezione italiana. I nostri servizi consigliarono di non contrastare il rais, ma il nostro governo, presieduto da Cossiga, tirò diritto. I servizi italiani imbastirono una falsa pista internazionale che scagionava il mandante libico; ma furono poi condannati per depistaggio.
Ma la parte più sconvolgente del racconto, poiché è la più pervasiva, dilaga dappertutto, è l’intreccio capillare tra il potere politico, in particolare di Andreotti, la presenza degli iscritti alla loggia P2 in tutti i gangli vitali della società e dello stato, le attività illegali dei servizi, l’eversione nera con i suoi protettori e la stessa criminalità organizzata: non solo mafia e camorra, ma anche bande come quella della Magliana, che collabora in vario modo con gli organi dello stato, durante e dopo il sequestro Moro.
Andreotti fa caso a sé. Definisce il suo finanziatore Michele Sindona “il salvatore della lira”. Fa incriminare per reati inesistenti Baffi e Sarcinelli della Banca d’Italia, per bloccare i controlli sulle banche di Sindona. Dice dell’avvocato Ambrosoli assassinato (Sindona viene condannato all’ergastolo come mandante) che “se l’è cercata”. Secondo il pentito Tommaso Buscetta il giornalista Mino Pecorelli viene assassinato dalla mafia “per fare un piacere ad Andreotti”. La prova non c’è. Ma lo stesso Andreotti, incontrando un parlamentare a Montecitorio, subito dopo l’omicidio, gli dice (parole riferite da quel parlamentare a Gotor): “Era un uomo cattivo. Ben gli sta”. Giuridicamente accertato è il doppio incontro di Andreotti con i mafiosi palermitani prima e dopo l’omicidio del presidente della Regione Sicilia Piersanti Mattarella: Stefano Bontate minaccia Mattarella, ma Andreotti si guarda bene dall’avvertirlo.
Questa è l’Italia. C’è da perdere la testa, perché altro è intuire, altro misurare a fondo un simile abisso d’ignominia. Eppure… Eppure i fatti sono noti, non sono riusciti a nasconderli. Nella verità c’è speranza. La nostra democrazia non sarà perfetta, ma c’è. Non hanno prevalso, dopo tutto. Chi verrà dopo di noi, forse, farà meglio.
casalegno.salvatorelli@gmail.com
A. Casalegno è giornalista