Tutti i corpi sono una trappola
di Gabriele Balbi
Mark O’Connell
ESSERE UNA MACCHINA
ed. orig. 2017, trad dall’inglese di Gianni Pannofino,
pp. 260, € 19,
Adelphi, Milano 2018
Il transumanesimo è un movimento tecno-politico-religioso che rivendica la progressiva liberazione del genere umano dalle costrizioni imposte dalla corporeità. Grazie a nuove tecnologie, naturalmente digitali, si potrà infatti uploadare il cervello su potenti hard disk e poi reinstallarlo in corpi di carne più giovani o corpi meccanici indistruttibili o ancora assumere una qualsiasi forma desiderata (secondo la dottrina della cosiddetta “libertà morfologica”). In alternativa, con 200.000 dollari per l’intero corpo o soli 80.000 per la testa, aziende specializzate possono crio-sospenderci (una sorta di ibernazione) e poi, una volta guarite le malattie che ci attanagliavano o trovato l’ultimo elisir di lunga vita, scongelarci e farci ritornare a nuova e potenzialmente infinita vita. Il libro del giornalista e scrittore irlandese Mark O’Connell Essere una macchina (2018 La Terza edizioni per Adelphi) è un’inchiesta disincantata e critica, tra il saggio giornalistico e il romanzo, proprio sul transumanesimo e sul suo obiettivo di debellare la morte e sostituirla con forme tecnologiche digitali. O’Connell ha infatti seguito per anni i personaggi più noti, le conferenze più significative, gli investimenti più cospicui del movimento transumanista giungendo ad alcune conclusioni, a dire il vero non del tutto esplicitate nel testo (ed è questa una debolezza del volume su cui tornerò in conclusione).
In primis, gli eroi del transumanesimo fanno tutti parte dell’universo multiforme della rivoluzione digitale. Tra i guru del transumanesimo troviamo infatti amministratori delegati di alcune delle aziende digitali più simboliche (come David Wood, creatore del primo sistema operativo per smartphone Symbian, o Elon Musk di Tesla), professori universitari che lavorano al rapporto tra mente e robotica (come Hans Moravec dalle Carnegie Mellon University o Stuart Russell che insegna informatica a Berkeley), consulenti cinematografici come I.J. Good, che Stanley Kubrik volle a fianco a sé quale consulente di intelligenza artificiale in 2001: Odissea nello spazio, o ancora artisti come il performer Stelarc, che si fece impiantare un orecchio sull’avambraccio sinistro per potenziare le capacità d’ascolto del proprio corpo. Un pantheon variegato, quindi, con un denominatore in comune: la fede cieca e assoluta, in altri termini determinista, nel potere salvifico (questa volta nel senso letterale del termine) della tecnologia e della digitalizzazione. Non è un caso che, in almeno due capitoli del libro, O’Connell ricordi un cartello esposto durante una manifestazione transumanista di fronte alla sede di Google: “Google, per favore, risolvi il problema della morte”. Un’invocazione che ricorda molto da vicino lo slogan pubblicitario della stessa azienda: “Make Google do it – Fallo fare a Google”.
Oltre alla fede cieca nelle tecnologie digitali, il concetto di transumanesimo risulta così potente perché fa convergere vari concetti chiave della nostra contemporaneità: per citarne solo tre, il libro dedica ampio spazio a singolarità tecnologica, intelligenza artificiale e robotica. La singolarità tecnologica è un concetto vago e multiforme, quasi profetico, che circola ormai dagli anni cinquanta del Novecento e che si riferisce a “un tempo venturo in cui l’intelligenza delle macchine sopravanzerà di molto quella degli artefici umani, e la vita biologica verrà assorbita dalla tecnologia” . A questa idea sono evidentemente legati sia l’intelligenza artificiale sia la robotica, di cui vengono ricostruite le storie di lungo periodo: lo sapevate a proposito che, così come cyberspazio, anche robot è una parola che nasce prima in un romanzo e poi viene adattata alla realtà? Il romanzo è di Karel Čapek, R.U.R. Robot Universali di Rossum del 1921. Il transumanesimo contesta l’esistenza di una netta differenza tra intelligenza umana e artificiale, così come quella tra uomo e robot e sostiene, anzi, come queste siano destinate a sfumarsi e integrarsi fino a essere indistinguibili in un futuro prossimo. In altre parole, il transumanesimo è una risposta tutta positiva ed entusiasta all’evoluzione tecnologica digitale.
Restano però varie questioni di natura etico-morale relative al transumanesimo e al futuro “obbligato” digitale, questioni che O’Connell affronta senza dare risposte definitive al lettore, ma suscitando parecchie domande. Facciamo due esempi attraverso la prosa ironica e vivace dell’autore. “Se anche si riuscisse in qualche modo a mappare ed emulare l’incalcolabile complessità dei miei percorsi e processi neurali, e a caricare poi il tutto su una piattaforma diversa dal chilo e mezzo di tessuto gelatinoso racchiuso nella mia scatola cranica, in che senso quella riproduzione o simulazione coinciderebbe con ‘me’”?. Oppure, con le parole di Tim Cannon, leader della comunità biohacker Grindhouse: “Chiedi ai transgender, ti diranno tutti che sono intrappolati nel corpo sbagliato. Io, invece, sono intrappolato in un corpo sbagliato perché sono intrappolato in un corpo. Tutti i corpi sono sbagliati”. Qui O’Connell individua il nocciolo e il paradosso centrale del transumanesimo: l’idiosincrasia per la corporeità e la fisicità umane, viste come diminutio e costrizione biologica delle possibilità infinite del pensiero. Ma possiamo spingerci anche oltre e chiederci: se un essere umano non è il proprio corpo, è ancora un essere umano? Dove sta, in altri termini, l’essenza dell’umanità? Per i transumanisti non sta nel corpo, ma nella capacità di produrre, trasferire ed elaborare informazioni; e, del resto, cos’altro in un’era in cui la comunicazione è la metafora centrale dell’esistenza umana? Per i figli dei transumanisti, invece, c’è un limite a tutto come la stessa figlia di Tim Cannon sostiene: “Pà, non mi importa se diventi un robot, però devi tenere la tua faccia. Non voglio che ti cambi la faccia”. Il singolo essere umano è il suo stesso volto, del resto unico e irripetibile come sanno bene governi e aziende che si occupano di riconoscimento facciale.
Essere una macchina è un libro importante e giustamente discusso perché rappresenta una delle prime indagini su un fenomeno articolato e perché è scritto con un linguaggio accessibile e divertente. Ma, a mio parere, ha un difetto che ho già ricordato rapidamente: non fornisce al lettore una versione coerente del pensiero e delle conclusioni cui l’autore giunge al termine della sua indagine. O’Connell si dimostra scettico verso il movimento transumanista, e in alcuni passaggi sembra quasi deriderlo, salvo dichiararsi affascinato e influenzato dalla sua filosofia. Nel capitolo conclusivo poi, dedicato a una colonscopia cui lo stesso O’Connell si sottopone, la conclusione è quantomeno spiazzante: gli esseri umani sono già delle macchine e la promessa trasformazione transumanista si è di fatto già realizzata. Quello che il transumanesimo propone per il futuro si è insomma già realizzato e non potrà fare altro che accelerare. Ma viene da chiedersi: il transumanesimo è una bufala per tecnofili, un hype destinato a sgonfiarsi, o una filosofia che fotografa lo status quo? A questa domanda Essere una macchina fornisce fin troppe risposte, alcune in contrasto tra di loro.
gabriele.balbi@usi.ch
G. Balbi insegna media studies all’Università della Svizzera italiana