La rassegna Sfide sconfinate a cura del Polo del ‘900 si è avvalsa della collaborazione di numerosi partner. Tra questi Balon Mundial con il laboratorio “The future is equal. Lo sport che abbatte le barriere di genere”, due pomeriggi trascorsi tra esercizi motori, circuiti, competizioni a squadre con abbinati momenti formativi, di discussione e confronto legati al tema dell’equità di genere.
Altri sono stati gli appuntamenti in questa stessa ottica:
3 giugno: Sport, violenze e impunità. Incontro con Daniela Simonetti, autrice di Impunità di gregge (Chiarelettere, 2021) e con Ilaria Leccardi, giornalista e direttrice della casa editrice Capovolte che dedica una collana intera allo sport al femminile.
30 giugno: Donne, bicicletta e ciclismo. Alla vigilia della partenza del Giro d’Italia Donne dal Piemonte, incontro con Antonella Stelitano, autrice di Donne in bicicletta. Una finestra sulla storia del ciclismo femminile in Italia (Ediciclo, 2020) e Manuela Mellini, autrice di La strada si conquista. Donne, biciclette e rivoluzioni (Capovolte, 2021). [ai due libri Silvia Nugara ha dedicato una recensione su L’Indice di luglio-agosto]
Giovedì 1 luglio: proiezione del documentario Lift like a girl della giovane regista egiziana Mayye Zayed che segue l’adolescenza di un’aspirante sollevatrice di pesi in una palestra popolare di Alessandria d’Egitto tra trionfi e sconfitte.
Intervista a cura della redazione dell’Indice a Ilaria Leccardi, editrice di Capovolte
Intanto, una domanda introduttiva. Da dove nasce la vostra casa editrice? Quali sono le premesse, e quali gli intenti?
Capovolte nasce all’inizio del 2019, da una mia iniziativa. Io sono una giornalista, mi sono sempre occupata di ambiente, esteri, lavoro, sport. Poi, dalla redazione degli esteri di un’agenzia stampa, ho deciso di cambiare vita e di partire con questo progetto. Mi portavo dietro un po’ di esperienza da autrice di libri sportivi, il mio attivismo politico, la mia competenza giornalistica. Volevo aprire nuovi sguardi sul panorama editoriale restando all’interno della saggistica, con una linea socio-politica e una legata allo sport femminile.
Capovolte si definisce una casa editrice «ribelle, dinamica e femminista». A partire da questo trio di aggettivi, mi racconta la prospettiva della sua casa editrice? Che libri pubblicate, con quale sguardo cercate il titolo giusto per voi?
La collana Ribelle raccoglie biografie, storie, reportage e saggi su donne o realtà femministe che contribuiscono e hanno contribuito a cambiare il nostro presente; quella Dinamica, invece, propone storie di sport e donne, partendo dal presupposto che in Italia lo sguardo sullo sport e sulle donne è ancora molto maschile, una narrazione che utilizza termini sbagliati e stereotipi. L’idea è quella di raccontare le donne a tutto tondo, ma con un taglio politico, femminista, di genere: Intersezioni è la collana dedicata ai nomi del femminismo decoloniale e nero, ancora poco conosciuto in Italia.
Negli ultimi anni nel campo largo della scrittura si sta attestando una nuova centralità delle narrazioni sportive a vario titolo, forse per la capacità impareggiabile dello sport di veicolare le storie, forse per la sua cifra di esemplarità. Cosa cercate, voi, dalle storie di sport?
È vero, di sport si parla sempre di più, e con uno sguardo culturale sempre più alto e consapevole, ma gli uomini hanno ancora dei grandi spazi di privilegio nella narrazione collettiva: noi vorremmo abbatterli. Se guardiamo allo sport praticato, le donne sono numericamente superiori rispetto agli uomini. Certo, sullo sport femminile ci sono dei picchi di attenzione: i Mondiali di calcio di Francia 2019, le Olimpiadi, altre storie internazionali particolarmente interessanti. Lo sport è un grande veicolo per raccontare, e non si ferma solo alla performance agonistica. Questo è abbastanza evidente nel nostro libro La strada si conquista di Manuela Mellini, un’autrice che a partire dalla propria esperienza di appassionata e ciclista urbana ha raccontato cos’ha rappresentato l’azione del pedalare per le donne. L’idea di Capovolte è di provare a contaminare, sempre: lo sport è un veicolo sociale molto forte, ma in ambito femminista non è ancora troppo percepito. Noi proviamo a portare questa contaminazione, lo sport nel femminismo e il femminismo nello sport. Il prossimo libro che uscirà nella collana Dinamica sarà di Giorgia Bernardini, l’autrice della newsletter Zarina, sull’incrocio tra Islam e sport: il velo come forma di autodeterminazione delle sportive, il rapporto delle osservanti con il corpo…
La lotta femminista negli ultimi anni ha trovato una forza, e anche una mediaticità, che poco tempo fa sembrava irraggiungibile. Questa nuova ondata sembra particolarmente fervida sotto l’aspetto della produzione di contenuti, e in più ha avuto il merito di aprirsi a una fetta enorme della cittadinanza – e quindi, nel vostro caso, anche del pubblico. Quali sono le valutazioni di un’editrice militante a qualche anno dall’inizio delle rinnovate battaglie?
Da una parte io ho uno sguardo da attivista, dall’altra da professionista del mio ambito culturale. Io mi rivolgo ai movimenti femministi come pubblico, ma ne sono partecipante. La risposta del pubblico è ottima, chi ci legge è consapevole. Dobbiamo però rimanere comprensibili, non chiuderci nell’accademia o pensare di rivolgerci esclusivamente a lettrici e lettori già preparati. La nostra è una prospettiva intersezionale: non si può parlare di femminismo e di battaglie contro il patriarcato se non ci si muove anche verso le altre battaglie contro tutte le oppressioni: quelle economiche, quelle razziali… Intersezionalità per noi non significa una semplice somma di battaglie, ma il formarsi di nuove combinazioni. Questo emerge in uno degli ultimi libri che abbiamo pubblicato, Memorie della piantagione di Grada Kilomba. Racconta il ruolo sociale dell’oppressione, il posizionamento da cui le persone si muovono a livello di nascita, come percepiscono la realtà e l’accesso a determinate opportunità.
A livello di impianto teorico femminista e modalità di ricerca dei libri che pubblicate, dove guardate nello specifico?
La nostra è sempre di cercare delle voci nuove. Il tema decoloniale mi interessa moltissimo, perciò ci riferiamo spesso al cosiddetto sud del mondo: America Latina, Centroamerica, femminismo nero. I nomi che stiamo cercando di portare in Italia vorremmo che avessero un certo risalto internazionale, come Djamila Ribeiro, filosofa femminista brasiliana non ancora tradotta in Italia ma conosciutissima nel mondo, inserita dalla BBC nella lista delle cento donne più influenti. A partire da lei abbiamo allargato lo sguardo: il libro di Grada Kilomba è su razzismo e decolonialità. L’idea è quella di alternare la prospettiva dell’accademia a una certa dimensione pop, dove la conoscenza viene democratizzata. I prossimi libri invece avranno una prospettiva storica, guarderanno ai temi di movimento e di piazza: a gennaio pubblicheremo Veronica Gago, tra le fondatrici di Ni Una Menos Argentina.
Solitamente a chi si imbarca in un’avventura editoriale si fanno i complimenti, e poi si aggiunge qualche considerazione a piacere sui rischi, sui tempi che corrono, sulla scelta coraggiosa… La vostra è una realtà nata da poco, all’interno di un panorama editoriale che forse sta meno peggio di quanto si pensi ma in cui gli spazi sono stretti e l’offerta sempre più ampia.
Capovolte è partita da me, che sono sola, sono madre di due bambini e ho un altro lavoro. Ho uno sguardo che parte dal basso, sono molto consapevole della situazione. L’investimento iniziale non era esagerato, ho iniziato a ragionare sui singoli libri dalla loro ideazione fino alla produzione e alla distribuzione. Abbiamo scelto di limitarci a un numero abbastanza limitato di libri all’anno, ma di pensare per ognuno un percorso molto definito. La nostra difficoltà nel lockdown, ad esempio, è stata la mancanza di presentazioni: ci sono i social, ci sono le presentazioni, ma per noi è fondamentale la possibilità di muoversi, di far girare i libri, di incontrare i lettori.
Quale potrebbe essere il libro giusto per avvicinarsi alle vostre pubblicazioni?
Ne direi due! Il primo è il libro con cui siamo partiti Marielle, presente! di Agnese Gazzera. È la storia di Marielle Franco, politica e attivista brasiliana, prima donna nera eletta al consiglio comunale di Rio, uccisa nel 2018. La nostra idea nasce proprio dalla sua esperienza. Il suo era un corpo politico, per le istanze che portava avanti e per le battaglie che ha fatto. Il libro è stato scritto da una giornalista italiana che è andata in Brasile, ha conosciuto il suo staff e la sua famiglia, e poi rientrata in Italia ha portato in giro la sua storia . È stata una prima pubblicazione molto importante, ci ha permesso di posizionarci.
E poi aggiungo Io sono mia, il libro di Luca Martini sui centri antiviolenza. È un’uscita fondamentale per il nostro percorso, in cui si racconta il tessuto italiano di donne che si battono ogni giorno per contrastare la violenza di genere in ogni sua forma.