recensione di Cristina Bracchi
Luisa Ricaldone, Daniela Finocchi, a cura di
Generi alimentari. Cibo, donne e nuovi immaginari
pp. 140, € 13
iacobellieditore, Roma 2021
Il gruppo di studio afferente al Premio Letterario Lingua Madre ha individuato nella rappresentazione del cibo, nella letteratura, nell’arte, nelle serie televisive, un aspetto delle relazioni di potere tra uomini e donne dalle molteplici declinazioni. Nell’ampio scenario dell’ecofemminismo, fra nutrimento e fame, il perimetro teorico si articola attorno alla teologa Ina Praetorius, che vede superato il classico conflitto femminile tra le attività fuori casa “interessanti” e le “noiosissime” faccende domestiche nel mondo postpatriarcale, e all’intellettuale Virginia Woolf che rifletteva su come si possa padroneggiare il cibo, con le parole con cui viene detto. Il ruolo centrale del cibo nelle narrazioni esprime conoscenza, tradizione, ricordi, contenuti affettivi, relazionali, spirituali e simbolici, in una “nuova alleanza fra cibo e natura”, nell’interconnessione fra la natura e i vissuti rappresentati, spiegano Finocchi e Marchi, che si trova nei racconti delle quattro scrittrici del Premio, presenti nel volume, mentre i saggi avvertono che nell’Antropocene la posta in gioco è il cibo.
Il neoliberismo patriarcale gestisce la produzione e la distribuzione del cibo ed è nella preparazione e assunzione del cibo che la differenza femminile può praticare dissenso e sottrarsi a schiavitù e subordinazione, negoziando l’esistenza, nei termini di denuncia e di creatività, di emancipazione e di alterità, nelle relazioni di potere con gli uomini. Il “processo metamorfico che trasforma il cibo in energia vitale non solo per il corpo ma anche per l’anima” è totalmente distorto nel romanzo Le assaggiatrici di Rosella Postorino in cui il corpo è ridimensionato a tubo digerente, scrive Chemello. La trasformazione di qualcuno in qualcosa, necessaria per giustificare la violenza e per sdoganare stili di vita violenti, è al centro della lettura di opere e di performans di artiste occidentali dissenzienti, presentata da Giudice che introduce il concetto di “referente assente” espresso da Carol Adams, modalità con cui l’animale non umano nelle culture carnivore è suddiviso in parti con un nome e una destinazione e quindi in cibo, in cui la carne che si consuma “è del tutto staccata dal corpo vivente da cui proviene”. Nell’immaginario delle autrici studiate è presente il binomio differenza e intersezionalità in cui l’analisi di Concilio del romanzo La vegetariana di Han Kang è centrale a proposito del frigorifero “letterario”, simbolo di opulenza e consumismo borghese, di conservazione di cibo animale, il cui rifiuto da parte della protagonista e il suo divenire pianta, nell’ambizione di sostituire alla digestione di proteine animali la fotosintesi clorofilliana, è il rifiuto del patriarcato e la “chiave di volta di un mondo in cui le donne non siano subordinate agli uomini”.
La differenza è intesa da Ricaldone anche quale dissenso possibile nelle costruzioni genealogiche che esaltano l’aspetto relazionale, nella cucina e nella politica praticate dalle donne, da Cosima di Deledda alle femministe della Libreria delle donne di Milano. Gennero invece mette in evidenza l’aspetto identitario che il cibo rappresenta, nel discorso sulla rappresentazione dei conflitti etnici e razziali negli USA contemporanei e la compresente resistenza al patriarcato prevaricatore, che usa il cibo quale strumento di controllo sociale, nella nota serie Orange is the new Black. La società mediatica si è appropriata del discorso sul cibo e ne ha fatto un business, che collega i format televisivi su chef e scuole di cucina a ristoranti e supermercati d’eccellenza, in cui gesti e idealità non hanno più nulla in comune con l’ars combinatoria della creatività e della contaminazione, che era conoscenza e rispetto delle diversità, ma sono afferenti all’idea prestazionale dell’uso e del consumo cibo che trasfigura in modo irresponsabile e privo di etica il nutrimento, di cui milioni di umani mancano, nell’effimero e che è ampiamente responsabile dei disturbi alimentari, su cui il volume si sottrae, che affliggono le giovani donne delle società del benessere.