Conservatorismo post-traumatico tra frigo, modem e tv
di Niccolò Pianciola
Anna Zafesova
Navalny contro Putin
Veleni, intrighi e corruzione
La sfida per il futuro della Russia
pp. 160, € 18,
Paesi Edizioni, Roma 2021
Anna Zafesova ha scritto con la sua abituale efficacia un veloce libro che fotografa la trasformazione del putinismo negli ultimi anni, mettendo al tempo stesso a fuoco il fenomeno politico Aleksej Naval’nyj. Le due storie sono interconnesse: gli straordinari eventi accaduti tra agosto e dicembre 2020, dal fallito assassinio dell’oppositore allo smascheramento degli avvelenatori grazie alle investigazioni di Bellingcat e di Naval’nyj stesso, sono stati il catalizzatore dell’involuzione del sistema di potere putiniano verso un autoritarismo più repressivo e sempre meno fiducioso di potersi basare su un consenso popolare maggioritario. Il sistema putiniano descritto da Zafesova ruota intorno all’autorità personale dell’autocrate e ai nuovi oligarchi emersi sotto la sua presidenza, perlopiù amici e colleghi di giovinezza di Putin, mentre altri sono imprenditori dell’era di El’cin assoggettati al nuovo padrone. In un’intervista all’autrice, il longevo magnate del nickel Vladimir Potanin ha chiosato: “Io non posso distruggere il potere statale, mentre lo stato mi può schiacciare quando vuole”. Un sistema autoritario e personalistico che alimenta la corruzione, rallenta la crescita, seleziona la classe dirigente in base alla fedeltà e non alla competenza all’interno di un gruppo ormai riprodottosi nella seconda generazione di clientes. Fin dalla metà dello scorso decennio – segnato dallo scontro con l’Occidente per l’aggressione all’Ucraina con conseguenti sanzioni e controsanzioni, e dal crollo del prezzo del greggio – il ridimensionamento della “torta” dei profitti ha portato a un aumento della conflittualità all’interno del sistema. È in questo contesto, spiega Zafesova, che il 14 giugno 2018, approfittando della “nebbia mediatica” dell’inaugurazione dei mondiali di calcio, il governo ha alzato sia l’Iva sia l’età della pensione, rompendo così l’implicito patto sociale che aveva retto per i precedenti lustri: costante incremento del tenore di vita e bassa tassazione, in cambio dell’acquiescenza politica con limitate libertà di espressione. Queste misure, non accompagnate da un “taglio alle sempre più cospicue spese per la burocrazia, la polizia e l’esercito; (da) una lotta non di facciata contro la corruzione; o (dal)la revisione al rialzo della flat tax al 13%, almeno per le fasce più ricche dei contribuenti”, sono state, secondo Zafesova, uno spartiacque nella “battaglia del frigo contro il televisore”, ovvero tra la perdita di consenso del regime per l’impoverimento delle famiglie e la propaganda resa efficace dal monopolio sull’informazione televisiva.
In questi anni il frigo ha trovato nel modem un alleato. La generazione più giovane si informa su internet, e Naval’nyj ha saputo usare il nuovo mezzo con efficacia straordinaria. Zafesova lo descrive come “il primo vero politico 2.0, probabilmente su scala globale”, e mette in chiaro i punti salienti della sua storia. Innanzitutto Naval’nyj è un politico, non un blogger, nonostante la pigrizia giornalistica spesso continui a definirlo tale. Aveva un suo partito (la Fondazione per la lotta alla corruzione, sciolta d’ufficio nel giugno 2021) e i suoi canali di comunicazione di massa che raggiungevano decine di milioni di cittadini russi. La Fondazione aveva sedi in gran parte delle province russe, con attivisti che intraprendevano inchieste su questioni di interesse locale e organizzavano le campagne elettorali. Nessun altro partito in Russia, con la sola eccezione del Partito comunista, ha sedi territoriali che non siano solo comitati pre-elettorali. L’uso che Naval’nyj ha fatto di YouTube, con video estremamente professionali ed efficaci, gli ha permesso di aggirare sia il monopolio informativo televisivo del regime, sia le difficoltà della carta stampata a raggiungere gli elettori sparsi sull’enorme territorio russo. Inoltre, sebbene a Naval’nyj fosse impedito di prendere parte alle elezioni, la sua tattica elettorale dava parecchio fastidio al regime. Il suo invito al “voto intelligente”, ovvero a far convergere in ogni collegio tutta l’opposizione su un solo candidato (non necessariamente vicino a Naval’nyj), stava creando problemi al Cremlino in vista delle elezioni legislative del settembre 2021. L’accusa nei suoi confronti di qualunquismo, per aver posto la denuncia della corruzione al centro dell’attività investigativa e politica della Fondazione, non tiene conto del fatto che, in un sistema politico-economico che si regge sulla corruzione sistemica, documentarla e denunciarla equivale ad attaccare il centro del sistema di potere, delegittimandolo e rendendolo trasparente per la cittadinanza. Infine, l’accusa di nazionalismo frequentemente ripetuta contro Naval’nyj è basata su prese di posizione che risalgono ormai a più di dieci anni fa: un tentativo (sbagliato, come ammesso da Naval’nyj stesso), di intercettare le correnti di opinione nazionaliste ma avverse al regime. Poi corretta, la sua strategia di fondo è sempre stata il consolidamento di un fronte di opposizione il più ampio possibile, come del resto era costretto a fare qualunque oppositore (Zafesova ricorda come il liberale Garry Kasparov, ad esempio, si fosse alleato con l’ineffabile nazional-bolscevico éduard Limonov), accanto ad attività sociali come la consulenza legale gratuita per lavoratori licenziati.
In definitiva, Zafesova mette al centro del consenso crescente per Naval’nyj la transizione generazionale. Il consenso a Putin, nella sua interpretazione, poggia innanzitutto sul mancato superamento del trauma di buona parte delle vecchie generazioni per il rovesciamento di un sistema di valori e per il crollo della sicurezza lavorativa e personale dopo il 1991. Putin sarebbe dunque un “conservatore post-traumatico” che ha acquisito consenso, oltre che per le iniziali avvedute politiche economiche e per l’impennata in quegli anni dei prezzi di petrolio e gas, anche per aver saputo intercettare il bisogno di protezione di parte delle vecchie generazioni. Persone cresciute sotto Brežnev, per le quali la Crimea, dove passavano le vacanze, era “loro”; l’omosessualità era una perversione e un reato; la potenza imperiale russa e sovietica era una fonte di orgoglio e identificazione. La politica della memoria sotto Putin, cui Zafesova dedica un capitolo, con la seconda guerra mondiale assurta a evento assiale dell’identità nazionale (tanto da dover essere protetta dalla libera ricerca storica con una legge apposita) è anch’essa da mettere in continuità con il discorso pubblico brežneviano. I giovani russi sono però immuni oggi dalla sindrome post-traumatica, e molti di loro si sono socializzati con modelli di comportamento e culture transnazionali molto diversi da quelli delle generazioni tardosovietiche. È qui, secondo Zafesova, che Putin sta lentamente perdendo la partita del consenso, anche se quella personale con Naval’nyj sembra per ora averla vinta, con il leader dell’opposizione chiuso in carcere chissà per quanto. Nel concludere che “la nuova Russia è ancora tutta da inventare”, Zafesova esamina i possibili scenari in cui il regime putiniano potrebbe lasciare spazio a un diverso sistema politico, nessuno dei quali sembra per ora particolarmente prossimo a realizzarsi. Ma la storia, e quella russa in particolare, ci ha abituato a inattese discontinuità.
niccolo.pianciola@nu.edu.kz
N. Pianciola insegna storia contemporanea alla Nazarbayev University in Kazakistan