Andrea Martini – Dopo Mussolini | Storia

Una stagione molto breve

di Guido Neppi Modona

Andrea Martini
DOPO MUSSOLINI
I processi ai fascisti e collaborazionisti (1944-1953)
pp. 368, € 29,
Viella, Roma 2019

Il primo dato che emerge da questo volume è la grande ricchezza, direi l’esaustività delle fonti utilizzate per documentare le varie “procedure di giustizia” – da quelle sommarie a quelle legal-processuali – che intervengono nelle tormentate vicende della resa dei conti con fascisti e collaborazionisti dopo il 25 luglio 1943.

Oltre alle tradizionali fonti dei ministeri dell’interno e della giustizia, sono stati ampiamente utilizzati: i fascicoli processuali dei procedimenti penali contro i collaborazionisti avanti a numerose corti di assise straordinarie (e poi speciali, per la precisione ventidue, a cui va aggiunta la corte di assise ordinaria di Roma); i fascicoli personali dei protagonisti giudiziari – presidenti delle Cas, le corti d’assise straordinarie, e pubblici ministeri – al fine di ricostruire i percorsi della transizione dal regime fascista al ruolo di giudici e accusatori dei collaborazionisti. Tra i protagonisti dei processi figurano gli avvocati, difensori dei collaborazionisti e delle vittime costituite parte civile, chiamati anche a svolgere funzioni di pubblico ministero davanti alle Cas. Anche per gli avvocati particolare attenzione viene dedicata ai livelli di compromissione con il passato regime e con la repubblica sociale italiana.  Filo conduttore dei primi processi davanti alle Cas, a partire da maggio-giugno 1945, è la fortissima pressione popolare all’interno delle stesse aule di udienza, ricostruita attraverso le stesse carte processuali e le cronache dei quotidiani. L’autore documenta appunto, in occasione dei processi contro i collaborazionisti imputati dei più gravi episodi delle stragi di civili e di efferate torture contro i partigiani, la grande sete di giustizia di una popolazione che aveva vissuto e subito i venti mesi di feroce guerra civile.

La folla vede ora nella sede giudiziaria l’occasione per la resa dei conti, invocando ed esigendo con la tumultuosa presenza la condanna degli imputati alla pena di morte. Per cui può ben dirsi che, quantomeno nei primi mesi dopo la liberazione, protagonista a pieno titolo della risposta giudiziaria è anche la folla in tumulto che accompagna (e controlla) lo svolgimento dei processi. A fianco della ricchezza delle fonti il secondo dato che caratterizza la ricerca di Andrea Martini è lo sviluppo cronologico di lungo periodo, costellato a tutti i livelli da infinite svolte e contraddizioni. In effetti nei vari capitoli del volume si passa: dai numerosi episodi di giustizia o vendetta sommaria nelle regioni del Sud progressivamente liberate dagli alleati alle prime risposte legislative dei governi Badoglio e Bonomi in tema di defascistizzazione ed epurazione; dalle aspirazioni e dai tentativi delle stesse formazioni partigiane durante la guerra di liberazione di rendere giustizia nel rispetto dei principi di legalità al decreto legislativo luogotenenziale (un atto avente forza di legge adottato dal consiglio dei ministri e promulgato dal Luogotenente del Regno) del 22 aprile 1945, n. 142, istitutivo delle Cas, che segnano una sorta di mediazione tra i tribunali del popolo vagheggiati dalla Resistenza e la continuità delle tradizionali corti di assise; dai giorni del furore e della giustizia sommaria nelle settimane immediatamente successive alla liberazione alla progressiva entrata in funzione delle Cas, cui viene appunto delegata la risposta giudiziaria contro fascisti e collaborazionisti; dai primi mesi (maggio-luglio 1945), in cui le Cas lavorarono a pieno ritmo cercando di rispondere alle pressanti richieste di giustizia della popolazione a vari segnali, soprattutto a partire dall’ottobre 1945, in cui si infittiscono le preoccupazioni di una eccessiva criminalizzazione di fascisti e collaborazionisti e gli interventi, soprattutto degli alleati e a livello giudiziario della cassazione, volti a vanificare l’efficacia delle sentenze di condanna delle Cas.

Il mutamento di clima è fedelmente registrato attraverso i dati percentuali delle condanne pronunciate dalle ventidue Cas monitorate nella ricerca: tra maggio e ottobre 1945 la percentuale dei condannati è pari al 71 per cento degli imputati (con 195 condanne alla pena capitale), per scendere al 54 per cento nel periodo ottobre 1945-giugno 1946 e a 84 condanne alla pena capitale, dati che ulteriormente diminuiscono al 37,2 per cento e a 55 condanne a morte dopo l’amnistia Togliatti. Le premesse dell’esaurimento della stagione della defascistizzazione si manifestano dunque prima dell’amnistia Togliatti. L’amnistia del 22 giugno 1946, ben al di là di quanto prefigurato dallo stesso Togliatti nella relazione che accompagna il provvedimento di clemenza, segna la fine di un processo generalizzato di defascistizzazione, che rimane riservato a pochi e circoscritti casi di compromissione particolarmente grave con il regime di Salò. L’estensione della sfera di applicazione dell’amnistia fu propiziata anche dagli interventi della seconda sezione penale della cassazione, che elaborò un’interpretazione larghissima dell’amnistia, annullando la maggior parte della sentenze di condanna pronunciate in primo grado o rinviando i processi a sedi delle Cas più accomodanti.  Non è facile tirare le fila dell’enorme mole di documentazione utilizzata, anche perché nel lungo periodo il processo di defascistizzazione ha subito incessanti e contraddittori mutamenti di clima e di indirizzi. Le difficoltà sono acuite dalla molteplicità dei settori affrontati, alcuni dei quali avrebbero potuto essere oggetto di autonoma specifica ricerca. Si ha talvolta l’impressione di essere travolti sia da un eccesso di documentazione, sia dal sovrapporsi dei vari settori della ricerca, con il rischio di perdere il filo della narrazione. Si può comunque convenire con l’opinione dell’autore che è “eccessivo” parlare di totale fallimento dell’epurazione, posto che, solo in base ai dati relativi alle ventidue Cas e alla corte di assise ordinaria di Roma (a fronte di una cinquantina di organi giudiziari a vario titolo impegnati nel giudicare fascisti e collaborazionisti), risulta che gli imputati sottoposti a procedimento penale furono 9188, ai quali va aggiunto un numero indeterminato ma certo consistente di soggetti comunque raggiunti da inchieste epurative in quanto dipendenti della pubblica amministrazione e di enti pubblici locali o per iniziativa degli ordini professionali. E quindi può effettivamente parlarsi di un fenomeno “imponente”, che ha coinvolto – tenendo anche conto dei famigliari, amici e conoscenti dei soggetti direttamente interessati – una percentuale non indifferente della popolazione.

Ma fu un coinvolgimento – se così si può dire – temporaneo e di breve durata. Sul terreno penale intervennero in rapida successione a vanificare le condanne pronunciate dalle Cas le sentenze della seconda sezione penale della cassazione presieduta da Vincenzo De Ficchy e l’amnistia del 22 giugno 1946, e poi ancora i numerosi successivi provvedimenti di amnistia e di indulto; sul terreno amministrativo quasi tutte le poche dispense dal servizio vennero revocate negli anni successivi. Grazie al tacito accordo tra tutte le forse politiche, a partire dall’amnistia Togliatti prevalse l’unanime volontà di voltare pagina e di demandare semmai agli storici di un indeterminato lontano futuro il compito di fare i conti con lo scomodo passato del ventennale regime fascista e dei venti mesi della feroce repubblica di Salò.

guido.neppi@unito.it

G. Neppi è professore e giudice emerito della Corte costituzionale