Raccontare vite per salvare la letteratura?
di Federica Gianni
Walter Siti
La natura è innocente
Due vite quasi vere
pp. 352, € 20,
Rizzoli, Milano 2020
“A Filippo e Ruggero miei amici e miei stuntmen”. Questa è la dedica che apre l’ultimo libro di Walter Siti, La Natura è innocente, e Filippo e Ruggero sono i protagonisti di questo romanzo. Siti li definisce “i mei stuntmen”, il che ci fa pensare che ci troviamo di fronte a una storia dove i personaggi sono delle copie del loro autore (non a caso Siti parlerà di “autobiografia bifida e appaltata”). Copie sì, ma più coraggiose e più abili dell’originale perché si destreggiano in situazioni rischiose. Già dalle soglie del testo, dunque, il lettore capisce che si sta per addentrare in territori dove ci si può far del male. E qui si intravede una concezione tutta sitiana della letteratura come universo del male e del pericolo. Ma cosa raccontano le vite di questa storia “bifida” e quasi vera? (“due vite quasi vere” così recita il sottotitolo del romanzo) Filippo Addamo e Ruggero Freddi sono due persone viventi, entrambi finiti sotto i riflettori della cronaca nel primo decennio degli anni zero. Filippo ha 19 anni quando uccide con un colpo alla testa la madre, Rosa Montalto, perché la donna ha osato lasciare marito e figli per andare a vivere con un uomo più giovane di lei, compagno di scuola di Filippo. Ruggero Freddi, invece, è un ragazzo di periferia che ha una voglia spasmodica di successo e di soldi e che vive una vita picaresca e difficile: è un pornoattore omosessuale, escort, poi professore di matematica all’Università di Roma, sposo del principe Giovanni Del Drago eccetera..
Nel libro queste biografie procedono a capitoli alternati e le vicende dei due personaggi scorrono completamente indipendenti l’una dall’altra. Due vissuti molto diversi tra loro, con tinte opposte: la storia di Filippo è tragica e dolorosissima; mentre quella di Ruggero, più “fiabesca” e meno dannata nonostante il tormento che caratterizza il personaggio. A ben vedere, però, ci rendiamo conto che ci sono dei punti di contatto fra Ruggero e Filippo. Di estrazione sociale umile (Filippo trascorre gran parte della sua adolescenza a Librino, quartiere periferico di Catania, mentre Ruggero cresce nella borgata romana), entrambi sono vittime di un sistema valoriale ed emotivo alterato, dove la famiglia è un ambiente tossico che produce squilibri affettivi. Filippo è immerso in una cultura patriarcale e machista dove sono le donne a pagare sempre il prezzo più alto; mentre Ruggero vive in un contesto familiare dove l’affetto è cosa rara perché gli adulti sono troppo distratti o troppi tristi.
Entrambi i protagonisti si vogliono riscattare dalla sofferenza della povertà ma non fanno che ripetere gesti che li trascinano in una vertigine di dolore dove la miseria –umana più che materiale – continua a incombere sulle loro vite. La disperazione di un matricida non ha bisogno di spiegazioni, ma anche Ruggero che viene tratteggiato da Siti come un arrampicatore sociale apparentemente senza scrupoli, nasconde, in realtà, un io masochista che nell’intimo fa di tutto per negarsi. Filippo e Ruggero sono i soggetti immorali per eccellenza ma nonostante ciò, la voce del narratore nel raccontare le loro vite è estremamente empatica. Lo scrittore, li definisce “amici” e li trova “simpatici”, laddove per simpatia s’intende quell’inclinazione di sincera curiosità verso l’altro. Siti si trova di fronte a due esseri umani che hanno il disperato bisogno di qualcuno che racconti la loro storia per trovarne un senso e sanare ferite. E così lo scrittore ricostruisce queste identità alla ricerca di un destino.
Ma il collante fra i due personaggi ce lo svela il narratore stesso in un capitolo centrale – L’intermezzo vulcanico – in cui si prende una pausa narrativa per interrogarsi su che cosa sia la natura e, di riflesso, la cultura. Qui Siti si cimenta in osservazioni dal chiaro sapore leopardiano, a tratti un po’ troppo didascaliche, in cui denuncia la sostanziale indifferenza della natura di fronte al genere umano. Eppure, secondo lo scrittore, gli esseri umani hanno sempre cercato di imitare la natura attraverso un “astuto compromesso” che è il vitalismo.
Il vitalismo, bulimia di vita, è il vero trait d’union tra i due protagonisti di questo romanzo. Entrambi, infatti, scelgono di vivere al massimo, per poi essere divorati da quella stessa fame di esistenza che finisce per lasciare loro in mano “soltanto un’ossessione”. L’indagine sulla natura sfocia in una riflessione su uno dei simboli per antonomasia dell’universo naturale: la madre. Siti scardina il concetto del materno, riflette sulla maternità come prodotto culturale e ne coglie le molteplici connotazioni simboliche. Lo scrittore tocca vette di tenerezza commovente quando parla di sua madre (“Amata come pochi castorini hanno amato mamma castoro”) ma anche di crudeltà spietata verso questa figura che vampirescamente si appropria della libertà e della vita delle proprie creature (“come vi permettete di amare un figlio senza limiti e senza condizioni, chi ve ne dà il diritto?”).
La Natura è innocente è un libro che mette insieme molti ingredienti, a tratti forse troppi: la storia di Filippo, di Ruggero e infine l’io di Siti non si amalgamano sempre in maniera armonica. Ma lo stile è intenso e potente e l’autore introduce un elemento di novità, rispetto alla precedente produzione letteraria, che conferisce al romanzo un notevole spessore narrativo. Siti qui, infatti, abbandona l’impianto autofinzionale per approdare invece nei territori della biofiction. Certo, la presenza di Walter Siti è ovunque nel libro e le esistenze di Ruggero e Filippo servono all’autore anche per indagare se stesso; eppure sembra che questa volta lo scrittore abbia scelto la narrazione biografica per tornare a una struttura più classica, più vicina al romanzo tradizionale. È lui stesso a dircelo quando nelle Note e ringraziamenti sostiene che bisognerebbe valorizzare la biografia romanzata, “sottogenere di quei ‘componimenti misti di prosa e d’invenzione’ (…) del mio amato Manzoni”.
Alla fine del libro Siti si congeda con una dichiarazione di poetica: “Se un tempo scrivevo per salvarmi la vita (…) ora scrivo per scrivere, per difendere la letteratura da chi la vorrebbe morta”. Verrebbe da chiedersi se lo scrittore abbia scelto di affidare la salvezza della letteratura al racconto del mistero delle vite altrui. Per ora non possiamo saperlo ma di sicuro La Natura è innocente è un romanzo che maneggia con cura, raccontando senza mai giudicare, quella fragile architettura che è l’esistenza.
federica.gianni@hotmail.it
F. Gianni è dottoranda in scienze documentarie, linguistiche e letterarie all’Università La Sapienza di Roma