Proponiamo una nuova riflessione intorno al libro di Sandro Campani a un anno di distanza dalla recensione di Luca Fiorentini sull’«Indice», per misurare misurando le risonanze suscitate dal romanzo dopo la pandemia.
recensione di Franca Cavagnoli
Sandro Campani
I passi nel bosco
pp. 239, € 19,50
Einaudi, Torino, 2020
Uscito durante il lockdown della primavera scorsa, e per questo passato purtroppo sotto traccia, I passi nel bosco di Sandro Campani è un romanzo corale costruito attorno a un’assenza, un personaggio ancor più seducente poiché mai davvero visibile e di cui alla fine sappiamo poco perché è sempre fuori scena. Senza dubbio reale e al tempo stesso decisamente immateriale e imprendibile, Luchino accoglie in sé tutte le proiezioni dei suoi compaesani – ladro, falsario, spacciatore, inveterato dongiovanni, poligamo, gigolò –, i loro sogni, desideri e aspirazioni più intime. Forse soltanto un amico per alcuni, grande amore per altri, bersaglio di rancori profondi, zio – o padre vicario – responsabile, Luchino è sempre e solo raccontato dagli altri personaggi, tutti in misura diversa sconfitti e rimasti ai margini della vita, e ciascuno di loro ce ne mostra una sfaccettatura. Come fosse già morto, Luchino vive nel ricordo degli altri – l’unico, secondo loro, che ce l’ha fatta a sottrarsi all’asfissia della provincia. I passi nel bosco è un romanzo corale in cui le molte figure che lo popolano, parlando di chi non c’è in realtà parlano molto di sé, in un alternarsi di ben cinque voci narranti e con un incisivo avvicendarsi di punti di vista che moltiplicano le vaste risonanze del luogo in cui il libro è ambientato, un bosco, di fatto il vero protagonista del romanzo. Il bosco, con i suoi silenzi, le sue fragranze e una luce mutevole, è importante quanto i personaggi se non di più, perché è qualcosa che ne determina umori e carattere e che li influenza, sicché ciascuno vede il bosco a modo suo e ogni voce narrante lo racconta in modo diverso. Il bosco si trova in una valle dell’Appennino tosco-emiliano sulla quale incombe un senso di tragedia che non si risolve mai e rimane lì ad aleggiare anche dopo l’ultima pagina, una valle che sempre più si fa mappa di una terra che ci appare vasta e in continua espansione. E più Campani, libro dopo libro, ce ne descrive pochi chilometri quadrati con la precisione di un topografo, o per certi aspetti di un agrimensore, più si ha l’impressione che sia non solo inesplorata, ma anche destinata a restarlo: inesplorata, misteriosa, come la vita di chi non conosciamo e che dunque possiamo soltanto immaginare. D’altronde scrivere, ci ricorda l’autore, è lavorare attorno a un mistero – il mistero di tutte le vite che non siamo noi. E la valle di cui torna a narrare in ogni nuovo romanzo si configura sempre più come la contea di Yoknapatawpha di quello che possiamo considerare il più faulkneriano dei nostri scrittori.
E Campani racconta in una lingua stupefacente, in cui impasta dialetto e italiano – stupefacente per il numero di parole nuove, mai sentite prima, che punteggiano le pagine del romanzo e che hanno la fragranza del pane appena sfornato alle prime luci dell’alba. Ma che in quel loro mescolare domesticità ed estraneità imprimono un ritmo singolare alla frase, come di “sabbia che fa scivolare la vita”. È un verso, questo, del Sandro Campani cantautore, il verso di una canzone degli Ismael, la band di cui Campani è cantante, chitarrista e compositore. “E dove andrai Luchino, / con la moto di tuo padre dove andrai? / Andrai dove noi non abbiamo il coraggio – / e valicherai l’Appennino /sopra gli svincoli che danno vertigine”: così i primi versi di Ismael IV, l’ultimo disco della band, che riflette le storie dei Passi nel bosco. Nel leggere questo suo quinto romanzo, in cui Campani continua la sua tenace esplorazione del sentimento dell’amicizia, delle infinite sfaccettature che essa prende nella vita delle persone e di quanto cangiante possa essere, viene da pensare che Luchino, il quale appare nei boschi in sella alla sua moto, fauno o fuoco fatuo, non è poi tanto dissimile dalla lince che appare per subito scomparire nel bellissimo Il giro del miele. A Sandro Campani, scrittore, musicista e cantautore, serve davvero poco per concentrare in certe immagini l’idea stessa di letteratura.