L’etica della natura
di Franca Cavagnoli
Riccardo Capoferro
Oceanides
pp. 491, € 19,
il Saggiatore, Milano 2021
Sono tante le sorprese che riserva la lettura di Oceanides, nessuna prevedibile. Comincia come un romanzo storico d’avventura, prosegue venato di fantastico e nell’ultima parte vira verso la fantascienza. Ma quando si chiude il libro, prende forma a poco a poco la sorpresa più convincente: quello che si ha davanti è un prezioso romanzo ecologico che, con l’aiuto del genere, indaga il nostro presente e offre non poche suggestioni sul nostro futuro – nostro nel suo senso più ampio: umani, non umani e il pianeta intero. Ambientato nella seconda metà del Seicento fra Inghilterra e il resto del nascente Impero Britannico, Oceanides racconta la storia di Richard Kenton – ispirata alla vita di un esploratore e naturalista britannico realmente esistito, William Dampier –, che a Liverpool s’imbarca per la Giamaica spinto dal desiderio di lavorare in una piantagione di zucchero. Ben presto, però, si unisce a una ciurma di bucanieri dedita a scorribande nel mar dei Caraibi e nelle acque del Pacifico, e quando il caso lo porta a esplorare un’isola dalla vegetazione lussureggiante poco lontana da Panama, Kenton scopre una colonia di uccelli dalle ali color cobalto, gli oceanides. I singolari volatili hanno piume che trascolorano rivelando macchie dai disegni mutevoli, nidificano nel lago sull’isola e paiono in grado di guarire chi, vittima di ferite mortali, è ormai in punto di morte. Grazie a questa scoperta, la radicata inquietudine di Kenton – nato nel 1660 come Daniel Defoe – lo porta a intraprendere l’avventura della sua vita: studiare il mondo naturale e scrivere un libro che gli frutterà il rispetto dei circoli scientifici londinesi. Ma qui finisce grosso modo la storia vera di Dampier mentre la storia di Kenton prosegue con la parte più interessante delle sorprese che riserva Oceanides, finalista alla XXXIII edizione del Premio Calvino e menzione speciale della giuria.
Riccardo Capoferro, l’autore, è un anglista della Sapienza di Roma che ha scritto una pregevole monografia su Swift e ha studiato la nascita del romanzo moderno nell’Inghilterra del Settecento. Nel suo romanzo d’esordio sono evidenti echi di Swift, Defoe e Stevenson – gli ultimi due non solo perché un’isola è per buona parte al centro della narrazione, ma anche perché uno dei personaggi meglio riusciti di Oceanides è il bucaniere Leach, con la sua perniciosa intelligenza e amoralità, in cui si può rinvenire più di un filo che lo riconduce a Stevenson e al suo Long John Silver. Si avvertono pure echi di Conrad, non tanto come scrittore di mare bensì come autore modernista, nella consapevolezza che l’inquietudine di Kenton e la sua ricerca lo accostano di più a Ulisse che non a un bucaniere del Somerset. D’altronde gli autori di riferimento di Capoferro, a eccezione di Defoe, non sono inglesi quanto piuttosto anglofoni e questo respiro più ampio lo si avverte in tutto l’arco della narrazione. Stanislaw Lem, poi, lo scrittore di fantascienza cui Capoferro si sente più vicino, è polacco e come Conrad – vale la pena ricordarlo – era nato in Ucraina. A Stevenson e Conrad fa pensare anche il linguaggio evocativo ed elegante di Oceanides, la sua esuberanza e nel contempo estrema precisione, e così pure la sensuosa abilità di Capoferro – come Kenton “affamato di odori e colori” – nello scegliere sfumature e parole saporose.
Ma cosa spinge davvero Kenton a intraprendere il suo periplo del mondo, oltre all’urgenza di “dare un nome alle cose”? Indubbiamente la ricerca dell’alterità, e lo fa indagando l’essenza delle creature fantastiche avvistate nel cielo sopra l’isola e poi seguite tra la rigogliosa vegetazione, gli uccelli azzurri che abitano una natura sempre più visionaria, man mano che Kenton vi si addentra. A differenza di Ray, il naturalista della Royal Society che più crede nel lavoro di Kenton, quest’ultimo non ha una visione provvidenzialistica della natura; nelle sue conoscenze non procede per accumulo, ma descrive e disegna le nuove specie che via via incontra, procede empiricamente ed è attratto soprattutto dalla mutevolezza delle cose. La scoperta del nuovo e del diverso che anima Kenton trova nell’energia vitale dell’isola una corrispondenza unica ed è qui che Kenton scopre cosa può fare l’alleanza fra uomo e natura. Sull’isola, in riva al suo lago dalle acque lattescenti, si rende conto che quella specie di volatili è “tesa all’equilibrio; a preservare, insieme a se stessa, il microcosmo che la teneva in vita”. Ma apprende pure un severo monito per l’avvenire: la natura può guarire le ferite, ma non la si può dominare del tutto. Se l’uomo ha il sopravvento, la natura può portare non più la rigenerazione ma la morte. La cura, quindi, può esserci solo alle condizioni dell’ecosistema, e sono gli umani a poter creare con senso di responsabilità e saggezza un equilibrio con il mondo naturale. Il che fa di Oceanides soprattutto un romanzo ecologico profondamente etico, in cui scorgiamo l’impalpabile ragnatela che unisce ogni cosa – umani e non umani, ma anche la forza vitale presente in ogni forma assunta dalla materia.