Dal 17 al 22 settembre avrà luogo la diciottesima edizione dei Dialoghi di Trani, durante la quale verrà premiato il vincitore del Premio Megamark. Per avvicinarci alla finale, la redazione del Premio ha preparato una domanda ai cinque autori coinvolti. La recensione in calce è a cura dell’Indice dei Libri del Mese.
Quando si scrive un romanzo, si ha già tutta la storia in mente o la si elabora strada facendo?
Nel caso della Lettrice di Čechov, la storia è nata da una notizia che, ormai diversi anni fa, mi aveva attratta: una signora ucraina, venuta in Italia per fare il mestiere di badante, frequentando nelle ore libere la biblioteca di Slavistica dell’università di Macerata, si era fatta apprezzare come studiosa e le era stato offerto un contratto di docenza. A quella donna, di cui non sapevo altro, ho cercato di dare una voce, che corrispondeva ad una sensibilità e ad un senso della narrazione letteraria. Così è nato e si è formato il romanzo, seguendo delle ipotesi, delle prefigurazioni, come succede nella vita, ma senza un impianto prestabilito. Ho cercato di restare fedele fino in fondo a quel personaggio e a quella voce, evitando di sovrapporre ad essi una trama o un’idea estranee a quella esperienza originaria.
Giulia Corsalini – La lettrice di Čechov
recensione di Chiara Bongiovanni
Dovendo scegliere un punto di partenza per parlare di questo luminoso e pacato romanzo sulla perdita e il rimpianto sono andata a cercare dove e come l’autrice parlasse direttamente di Čechov. Non è stato facile: Čechov è ovunque e in ogni luogo, ma sono pochi i punti in cui la sua presenza da immateriale pulviscolo si fa esplicita materia del narrare. Quando accade i riferimenti diventano anche una sorta di timida e orgogliosa dichiarazione d’intenti dell’autrice, insegnante e critica letteraria prima ancora che romanziera: “Il narratore che aspira a una prosa čechoviana cerca di trovare il ritmo e la modulazione di una scrittura malinconica e interiore”. La prosa čechoviana e, dietro di lei, l’ombra dell’insuperato maestro della disillusione, è dunque coprotagonista di questo romanzo e insieme a Nina, la protagonista ufficiale, viaggia da Kiev a Macerata.
Nina ha dovuto abbandonare il marito malato da tempo e ormai quasi morente e la figlia ancora studentessa. È venuta in Italia a fare la badante. Per sopravvivere al distacco e alla nostalgia ha solo qualche libro. In tutti i momenti liberi che le lascia la cura della vecchia Mariangela, Nina corre in biblioteca. Vuole usare questo straziante anno sabbatico per riavvicinarsi allo studio e scrivere un saggio, per l’appunto su Čechov. La lieve presenza di Nina si impone lentamente nel piccolo mondo della slavistica maceratese. La donna ottiene l’incarico per un corso di letteratura e lo svolge con passione, intrecciando al contempo un flebilissimo legame men che amoroso con Giulio De Felice, cattedratico di russo. La morte del marito, assistito solo dalla figlia, piomba Nina nel senso di colpa e la riporta a Kiev, appena finito il corso. La nostalgia è, però, un’arma a doppio taglio e quando, dopo otto anni, il professor De Felice invita Nina a un convegno – naturalmente su Čechov – lei si accorge di rimpiangere con struggimento quella breve parentesi, quella “felicità crepuscolare in ogni istante consapevole della sua fine”. E ancora una volta torna, sempre con Čechov in valigia, per sciogliere o forse ingarbugliare ancor di più i fili che la tengono legata all’Italia, al professore, alla letteratura.