Premio Megamark | Una domanda a Eleonora Marangoni

Dal 17 al 22 settembre avrà luogo la diciottesima edizione dei Dialoghi di Trani, durante la quale verrà premiato il vincitore del Premio Megamark. Per avvicinarci alla finale, la redazione del Premio ha preparato una domanda ai cinque autori coinvolti. La recensione in calce è a cura dell’Indice dei Libri del Mese.

C’è sempre un po’ dell’autore in quello che si scrive. È così anche per te? In quale personaggio del tuo libro ti riconosci?

È difficile rispondere: tutti i personaggi sono molto diversi da me, ma in molti di loro ritrovo qualcosa di mio. Sono nata nostalgica come Thomas, a volte sono travolta dal senso di inadeguatezza di Ottie, ho l’ironia burbera di Gandini e, nei giorni buoni, l’energia mediterranea di Agave. Posso essere pigra come Rutirò, corro dietro alle lucertole in giardino come Martin e passo dalle porte scorrevoli degli aeroporti con gli stessi pensieri di Sophie. Forse apparentemente il personaggio più lontano da me è Olivia, almeno caratterialmente, ma a ben vedere il modo in cui vive alcune cose in passato è stato anche il mio, quindi anche con lei in fin dei conti sento, se non un’affinità, quantomeno una prossimità. E poi c’è lo zio Valentino: sono molto diversa da lui, per età, provenienza e destino, ma è stato un po’ il mio mentore, mentre scrivevo questa storia e poi mentre la portavo in giro. Con lui sento un legame indissolubile, anche se per certi versi misterioso: proprio come accade a Thomas del resto.


Eleonora Marangoni – Lux

recensione di Mariolina Bertini

Un giovane architetto di padre inglese e di madre italiana, Thomas G. Edwards, che vive a Londra e non progetta spazi, ma “li arreda con le luci”, si ritrova, da un giorno all’altro, beneficiario di un’eredità delle più singolari: un eccentrico zio gli ha lasciato una minuscola isoletta nel Sud Italia. La proprietà dell’isola include una sorgente d’acqua minerale, l’Hotel Zelda, scalcinato ma non privo di eleganza, un vulcano da tempo inattivo e diciotto baobab nani. Con la compagna del momento, la chef Ottie, e il suo bimbo, Thomas parte alla volta dell’isola, deciso a venderla al più presto. Nulla però si svolgerà secondo le sue previsioni. Affollato di oggetti eterocliti, “anni e anni di nostalgie accumulate negli angoli”, l’Hotel Zelda non è un luogo facile da abbandonare; ne avvertono il fascino tanto gli habitués, come il vanitoso scrittore Gandini, quanto i frequentatori un po’ casuali, come la severa biologa Olivia o la matura prostituta Agave, con il suo fisico da grande madre mediterranea. Mentre il potenziale compratore si dilegua, anche la natura sembra condannare lo Zelda e il parco, rigoglioso e inselvatichito, che lo circonda: un’inondazione riduce l’albergo in pessime condizioni e, all’improvviso, la fonte d’acqua minerale si esaurisce. Il segreto di un’imprevedibile rinascita si annida però proprio nello sterminato magazzino di oggetti desueti che lo Zelda custodisce, e nel rapporto tra questi oggetti – solo apparentemente inutili e morti – e i destini, a loro volta apparentemente fallimentari, di quanti approdano, per un tempo breve o lungo, sull’isoletta dove il sole non illumina le cose ma sembra “abitarle dall’interno”.

Studiosa di Proust (in particolare, dei colori nella Recherche, e del rapporto del romanziere con Venezia) e lettrice sensibilissima di Perec, Eleonora Marangoni rende omaggio in Lux a questi modelli prestigiosi con eleganza elusiva, senza mai cedere alla tentazione del pastiche. Da Proust prende il tema dell’impossibilità dell’amore: sotto la superficie della vita di Thomas scorre, come un fiume sotterraneo, l’amore per Sophie. Non la vede da sette anni, probabilmente non la incontrerà mai più, ma la cerca senza mai scoraggiarsi nelle cose che in qualche modo le somigliano. All’altro capo del mondo, Sophie scrive romanzi e ad ogni frase si chiede se un giorno Thomas la leggerà. Da Perec viene invece l’universo degli oggetti, il vero cuore del libro. Oggetti non decifrati per il loro significato sociologico o storico, per il loro valore indiziario, ma evocati per la loro capacità di mettere in salvo tutto il nostro fragile passato.

Come l’etichetta dell’acqua minerale Zelda, che non riproduce le fattezze dello zio di Thomas, eppure ne racchiude l’immagine: “Foglie frutti corde si attorcigliavano gli uni sugli altri, formando un’onda dai contorni frastagliati, al centro della quale campeggiava una zeta in stampatello minuscolo riempita d’oro. Due piccole stelle marine sembravano respirare attraverso la filigrana della carta, e fu tra quelle forme e colori che, più che in ogni altro posto, a Thomas sembrò di ritrovare l’uomo dallo sguardo appannato che aveva incrociato tanti anni prima. Gli parve di riconoscere i suoi modi d’altri tempi nelle minuziose venature delle foglie, e la sua indole selvatica nel ruvido intreccio dei nodi marinari che sparivano uno dentro l’altro”.