Avere fortuna
recensione di Maria Rizzarelli
dal numero di dicembre 2016
Teresa Cremisi
LA TRIOMPHANTE
ed. orig. 2015, trad. dal francese di Lorenza Di Lella e Francesca Scala
pp. 185, € 16
Adelphi, Milano 2016
Il romanzo autobiografico di Teresa Cremisi (pubblicato in Francia nel 2015 da Éditions des Équateurs e adesso tradotto per Adelphi da Lorenza Di Lella e Francesca Scala) si presenta prima di tutto come la storia dello sguardo della protagonista. I tanti indizi visuali che puntellano i ricordi dell’infanzia nella prima parte del racconto, ambientata in un’Alessandria d’Egitto che è «punto cardine, alla confluenza di tutte le strade», si rivelano subito come l’indicazione di metodo di una scrittura che si fa ricerca, che interpreta le tracce recuperate dall’io narrante nei magazzini della memoria e anche dagli antiquari frequentati nel corso dei suoi viaggi. La collezione di vecchie stampe del Canale di Suez, oppure le poche fotografie familiari strappate alla volontà di oblio della madre (che durante «l’esilio» milanese decide di recidere ogni legame materiale con la città in cui ha trascorso la giovinezza), costituiscono soltanto due degli atlanti sui quali si esercita la sua vocazione di «traduttrice di immagini a cui sono stati forniti pochissimi indizi». La penna di Cremisi si posa più volte oltre i margini delle figure che osserva, indaga gli interstizi temporali che precedono e seguono il fermo-immagine che ha sotto gli occhi, nell’intento dichiarato di amplificare l’osservazione attraverso l’immaginazione. A proposito delle battaglie navali, verso le quali matura sin dall’infanzia un’appassionata competenza e di cui raccoglie stampe e riproduzioni, lei stessa dichiara che «se si vuole capire davvero, non basta osservare» perché occorre rivedere con la mente. Il più delle volte, però, si ha la sensazione che tale immaginazione sia destinata allo scacco e sia condannata a misurare la miopia di uno sguardo incapace di recuperare le radici della propria storia familiare.
Raccontare attraverso i libri
La vita di una delle donne più rappresentative del mondo editoriale italiano e francese del resto, al di là del sottile velo finzionale che avvolge la scrittura autobiografica, non può non essere raccontata se non attraverso la rete protettiva e proiettiva dei libri più importanti per la protagonista: una rete che a volte si coglie in filigrana e che appare via via più evidente, a scandire le tappe dell’affascinante avventura raccontata in La Triomphante. Omero, Lawrence, Stendhal, Kavafis, Conrad e Proust soccorrono «colei che dice io» nei momenti cruciali, le forniscono l’attrezzatura da viaggio con la quale affrontare le «traversate» nei mari più o meno agitati della sua esistenza.
La metafora marittima, che alimenta «l’immaginazione portuale» dichiarata dalla voce narrante sin dall’inizio, lega come un fil rouge i momenti della giornata di una vita (Mattina presto, Tarda mattinata, Pomeriggio, Nove di sera, Mezzanotte e mezza) in cui si articola il romanzo e mostra in conclusione le sue fonti nella duplice struttura intertestuale, visuale e letteraria al tempo stesso, che sorregge l’architettura narrativa. Dall’Odissea alla serie di disegni di Édouard Jouneau, i richiami alle immagini «scritte» da altri e lette in momenti diversi aiutano la protagonista a riplasmare la propria figura in funzione dell’ambiente in cui la conduce il suo destino nei diversi spostamenti nello spazio: da Alessandria a Milano, da Milano a Parigi, fino allo scoglio di Atrani, dove si conclude il racconto.
La darwiniana concezione di un’esistenza intesa come lotta per la sopravvivenza non è in contrasto con una visione della vita come ricerca della felicità («Ho vissuto come meglio ho potuto; non mi sono limitata a sopravvivere: ho avuto fortuna»). Il verbo «adattarsi» ricompare a ogni tappa di questa lunga traversata dell’oceano del vivere, e sempre in relazione alla ricerca del posto giusto, della patria ideale. In Francia, terra d’elezione scelta prima durante l’infanzia attraverso la lingua e poi nella maturità come luogo di residenza, la protagonista scopre la propria origine. Come «una macchia umana» a lungo ignorata, quasi casualmente nei primi tempi del trasferimento a Parigi riaffiora l’ascendenza ebraica, mentre il rifiuto della richiesta di cittadinanza con cui si conclude il capitolo francese sancisce la condanna all’erranza, iscritta nel dna del complicato albero genealogico della sua progenie.
La scrittura memoriale conduce dunque all’accettazione di una condizione di radicamento precario, come un riccio di mare su uno scoglio. E per una volta la fonte di tale vocazione letteraria non coincide con la figura materna. La morte della madre (dedicataria insieme al padre di questi ricordi) con la sua «incinerazione generale, di corpo e beni», è – come spesso capita nella scrittura delle donne – il punto da cui prende avvio la narrazione, anche se da una presa di posizione opposta. Cremisi scrive salvando dall’oblio i pochi indizi sopravvissuti alla furia distruttrice di Gaby, rema contro la sua opera di cancellazione. Nonostante la consapevolezza che «tutto sarà presto dimenticato», prevale la speranza che «un giorno forse qualcuno ricomincerà a sognare trovando per caso le sue cartoline del Canale o di Aden, i disegni dei viaggiatori, le foto antiche che ha posseduto o quelle che ha scattato».
m.rizzarelli@unict.it
M Rizzarelli insegna letteratura italiana contemporanea all’Università di Catania