Ralf Rothmann – Morire in primavera

De-scrivere il passato

recensione di Hannes Krauss

dal numero di dicembre 2016

Ralf Rothmann
MORIRE IN PRIMAVERA
ed orig. 2015, trad. dal tedesco di Riccardo Cravero
pp. 205, € 16
Neri Pozza, Milano 2016

Ralf RothmannRicorrente nella letteratura tedesca contemporanea è il tema del nazismo e della guerra. Non lo trattano solo autori che quel tempo hanno vissuto, come Heinrich Böll o Christa Wolf, anche la generazione successiva vi si dedica, tanto più a fronte del silenzio dei padri. Sono nati così i Väterbücher, un genere che è parte consistente del canone letterario. Si tratta di una narrativa centrata sul passato dei padri, rappresentata da autori quali Peter Härtling, Christoph Meckel, Brigitte Schwaiger e Bernward Vesper. Il tema sembrava alla fine degli anni ottanta quasi esaurito ma è riemerso con forza con la riunificazione della Germania. Friedrich Christian Delius e Uwe Timm, per esempio, hanno lavorato sul passato nazista utilizzando la struttura del romanzo familiare.

A questi si aggiunge ora Ralf Rothmann, classe 1953. Nei romanzi precedenti l’autore aveva descritto il suo tempo senza echi strettamente autobiografici, concentrandosi piuttosto sulla vita nelle regioni industriali, o sul conflitto tra l’origine proletaria e la professione dell’artista, o ancora sulla vecchiaia (del maschio). In Morire in primavera Rothmann rievoca il padre, morto precocemente. Un anonimo narratore, scrittore di professione, si propone d’indagare sul perché suo padre sempre ammutolisse quando in famiglia si parlava della guerra. L’intervento della voce narrante è limitato al prologo e all’epilogo: una voce in prima persona che resta tuttavia priva di lineamenti definiti. Centrali nel racconto sono invece due diciassettenni: Walter Urban (il padre dell’io narrante) e il suo amico Friedrich (detto Fiete). I ragazzi lavorano come mungitori in una tenuta del Meclemburgo, conducendo una normale esistenza giovanile – il ballo al sabato sera, i primi amori – fino a che nel febbraio del 1945 vengono improvvisamente reclutati nelle SS. Dopo una breve formazione militare sperimentano sulla pelle, al seguito di un’unità di assistenza e rifornimento, gli ultimi mesi di guerra sul fronte tedesco sudorientale, in Austria e in Ungheria. Il lettore assiste al vano combattimento dei soldati tedeschi in ritirata che vendicano l’ormai inevitabile sconfitta facendo scempio della popolazione civile. Fiete, il più mansueto dei due, non regge a quella violenza e decide di disertare ma il suo tentativo naufraga: viene condannato dal tribunale militare e Walter, agli ordini di un cinico superiore, sarà obbligato a partecipare all’esecuzione. Questo conflitto – degno di un’antica tragedia – è al centro di un romanzo celebrato con enfasi dalla critica tedesca, addirittura accostato ai grandi classici della letteratura di guerra, quali Il sergente Grischa di Arnold Zweig o All’ovest niente di nuovo di Remarque.

In effetti Rothmann possiede una notevole capacità linguistica e immaginifica. Grandiose descrizioni della natura si contrappongono a tremende scene di ferocia e, incastrati in mezzo, vediamo quei due adolescenti innocenti, finiti nella macina apocalittica della seconda guerra mondiale. Stilisticamente il quadro è perfetto, sembra quasi la resa in parola di un dipinto di quadro di Otto Dix. E tuttavia qualcosa non funziona. Scene come quella dell’orgia dei soldati tedeschi con le ausiliarie della Wehrmacht in un albergo ungherese, figure del tipo ufficiale delle SS – forse ex-insegnante di tedesco – che corregge la grammatica di Walter e cita versi espressionisti sfogliando la riproduzione di antichi manoscritti medievali, tutto questo mi suona come una sovraccarica messinscena che punta a un troppo facile effetto. Certo, oggi è quanto mai importante la rielaborazione del passato da parte di una generazione che ha conosciuto la guerra solo attraverso il cinema e la letteratura. Ma quanto più autentico ci appare su questo argomento Come mio fratello di Uwe Timm (Mondadori, 2007), un romanzo che, senza esibire troppi stilemi, ha descritto in modo magistrale il tragico peso e i moti dell’animo di tanti giovani soldati tedeschi.

hannes.krauss@uni-due.de

H Krauss è germanista presso l’Università di Essen

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