I vincitori non sanno quello che perdono
recensione di Francesco Fava
dal numero di luglio-agosto 2018
Patricio Pron
NON SPARGERE LACRIME PER CHIUNQUE VIVA IN QUESTE STRADE
ed. orig. 2017, trad. dallo spagnolo di Francesca Lazzarato
pp. 348, € 17
gran vía, Narni (Tr) 2018
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Patricio Pron, autore argentino tra i più rilevanti della sua generazione (nato a Rosario nel 1975, da anni risiede a Madrid), approda per la seconda volta in Italia grazie alle edizioni gran vía, che lo propongono in una bella e scrupolosa traduzione. La produzione di Pron comprende un’opera narrativa costituita da romanzi pluripremiati (El comienzo de la primavera, inedito in italiano, insignito nel 2008 del Premio Jaén de Novela; Lo spirito dei miei padri si innalza nella pioggia, apparso per Guanda nel 2013) e raccolte di racconti dai titoli brillanti (La vita interiore delle piante da interno, 2013; Quel che c’è e non si usa ci fulminerà, 2018), oltre all’originale saggio-pastiche El libro tachado (Il libro cancellato, 2014), ma è di certo Non spargere lacrime il testo che più si presta a incuriosire il lettore italiano, innanzitutto in virtù della sua ambientazione. Il romanzo si snoda, infatti, tra il Piemonte (Torino, Pinerolo, la Valsesia), Perugia, Roma e Milano, in una cornice temporale che spazia dal 1945 all’attualità. La trama si articola in cinque blocchi in parte autonomi, ma saldamente organizzati intorno a due filoni narrativi. Il primo nasce dall’invenzione, da parte dell’autore, di un gruppo di scrittori futuristi perugini e di un fantomatico – fallimentare, e a tratti esilarante – “Congresso degli scrittori fascisti” che si tiene a Pinerolo nell’aprile del 1945. Il secondo filone ripercorre invece tre generazioni di una famiglia italiana, i Linden: il capostipite prende parte alla Resistenza, il figlio milita ambiguamente nelle Brigate rosse, il nipote frequenta case occupate e movimenti antagonisti del nuovo millennio. Per ciascuno dei tre, la figura assente è quella del padre e il nodo cruciale sarà la problematica relazione tra attivismo e violenza politica, su cui ognuno si interrogherà in un implicito, irrisolto, dialogo mancato con la generazione precedente. I punti di intersezione tra le due linee narrative sono costituiti da altrettanti incontri tra i personaggi dei fronti opposti, incontri che sveleranno i due misteri (l’uno di carattere poliziesco e politico, l’altro letterario ma anche familiare) intorno ai quali si disegna l’arco di tensione del racconto.
I personaggi del romanzo, separati dalla militanza politica, sono accomunati dal loro carattere di perdenti. Sconfitti, a seconda dei casi, dalla storia o dalla biografia. In una delle presentazioni italiane del libro l’autore ha citato al riguardo un fulmineo aforisma di Gesualdo Bufalino (“I vincitori non sanno quello che perdono”), mentre nelle pagine del volume propone un’acuta postilla sul rapporto tra destino personale e verità storica, parlando di un gruppo di partigiani “partiti da Milano e Torino per confluire sulle montagne più o meno nello stesso periodo, tutti per ragioni molto diverse che entro qualche anno la storia renderà simili”. Ad animare il romanzo di Pron non è un intento storiografico (né tantomeno revisionista) o uno scivoloso anelito di memoria condivisa, bensì la convinzione che sia letterariamente più proficuo esplorare le contraddizioni di storie individuali irregolari o marginali rispetto alle rassicuranti versioni ufficiali.
Cospiratori letterari
Non spargere lacrime, d’altro canto, è anche un gioco – e una ponderata provocazione – sul vero e sul falso, sull’originale e sul plagio, la cui fitta trama metaletteraria rimescola con divertita malizia scrittori fittizi e scrittori reali, testi apocrifi, citazioni plausibili ma false, o inverosimili ma storicamente attestate. Testi e personaggi che ruotano attorno, tutti, alla medesima perdita dell’innocenza, la scoperta amara di avere trasformato “la letteratura in politica, e poi la politica in delitto”: una frase in cui si condensa il cuore del romanzo, e un’idea nata all’ombra dell’intuizione di Ricardo Piglia, che nel suo noto saggio su Romanzo e complotto (2006) ebbe a osservare che “l’avanguardia artistica si delinea chiaramente come una versione cospirativa della politica e dell’arte”. Inventando biografie di avanguardisti perugini sul crepuscolo del regime fascista, Pron si colloca in una genealogia di cospiratori letterari tra i quali certo si dovrà annoverare anche Roberto Bolaño. Il romanzo richiama infatti inevitabilmente, su un piano immediato e più superficiale La letteratura nazista in America, ma ancor più, per la sua struttura composita, l’architettura di I detective selvaggi. Un limite del libro si ravvisa forse proprio in una discendenza così riconoscibile e in un vago sentore di “costruzione a tavolino” che, in altre voci dell’attuale panorama ispanoamericano, sfocia talvolta nel cliché, nel manierismo. Non spargere lacrime si salva però da questo rischio grazie a due qualità che Patricio Pron possiede in dosi tutt’altro che omeopatiche e dispensa a piene mani nel testo: il coraggio e la fantasia, tratti distintivi di uno scrittore di sicuro talento che converrà continuare a tenere d’occhio.
francesco.fava@gmail.com
F Fava insegna letteratura spagnola all’Università IULM di Milano