Vivere o morire fa lo stesso
recensione di Gala Maria Follaco
dal numero di febbraio 2018
Miyamoto Teru
BAGLIORI FATUI
trad. dal giapponese di Paolo Villani
pp. 160, € 15,50
Carbonio, Milano 2017
Gli otto racconti del volume Bagliori fatui oscillano costantemente tra realismo e uno slancio che oserei definire “impressionista”. Impietosa, la scrittura di Miyamoto Teru riduce il mondo alla sua forma essenziale, si concentra sui dettagli, sugli aspetti più crudi e sordidi delle storie degli ultimi. Che sono ultimi perché emarginati, indigenti, diseredati, soli, stanchi: così stanchi da arrivare a dire che “vivere, morire, fa lo stesso, va bene comunque”. Il realismo va però stemperandosi in sequenze vibranti, che dilatano lo spazio angusto di un povero villaggio di pescatori, di una casa popolare o di una baracca e ne sfumano i contorni, conferendovi una vita oltre le parole e, al contempo, giustificandone l’esistenza. Nato a Kōbe nel 1947, Miyamoto è approdato alla scrittura trent’anni dopo, con il racconto Doro no kawa (Il fiume di fango), mentre la consacrazione vera e propria è arrivata l’anno successivo, il 1978, con l’assegnazione del prestigioso Premio Akutagawa per Hotarugawa (Il fiume delle lucciole). Entrato egli stesso a far parte della giuria dell’Akutagawa nel 1995, Miyamoto è oggi una delle figure più interessanti e prolifiche del panorama letterario giapponese. Ha cominciato a scrivere dopo una faticosa esperienza di impiegato presso un’agenzia pubblicitaria durante la quale soffriva di frequenti attacchi di panico e già da bambino aveva affrontato difficoltà economiche per il fallimento dell’impresa di famiglia.
La raccolta riflette queste vicissitudini nella desolazione dei paesaggi urbani tra Ōsaka e Kōbe, nelle sfortunate vicende familiari e nella rassegnazione dei personaggi. Miyamoto si affida quasi sempre a un io narrante per raccontare: scelta cui si deve la profondità di introspezione e la dovizia di particolari con cui è descritta ogni scena. Il narratore segue il filo dei pensieri e dei ricordi, cerca di interpretare i propri sentimenti e allo stesso tempo osserva la realtà intorno a sé: legge i volti degli altri, registra odori, voci, effetti di luce e di vento, studia le increspature dell’acqua nel punto in cui mare e sole si incontrano, e per poco non soccombe alla seduzione di quei bagliori. Se nella sua componente realistica la scrittura di Miyamoto non è mai rassicurante, la parte “impressionistica” sembra suggerire una parvenza di speranza. Nei ballatoi di condomini umidi e fetidi, così come nella parlata rozza dei personaggi, si consumano storie di violenza domestica, alcolismo, depressione e povertà estrema. Ma questi racconti rimettono in discussione i valori e le certezze su cui si fondano gli equilibri delle comunità in cui viviamo, mostrandoci figli che picchiano le madri per amore, criminali che complottano per vendicare le angherie d’infanzia, padri che si ubriacano per fugare sensi di colpa e paure. Miyamoto mette a nudo le debolezze di esseri umani che si confrontano con i loro sogni infranti, con il tempo passato e ciò a cui non si potrà mai porre rimedio. Lievi speranze, però, filtrano come il calore del petto del giovane in bicicletta nella notte gelida della periferia di Ōsaka, in Morire e rinascere migliaia di volte al giorno. Questo racconto, tra i più belli della raccolta, iscrive in uno squallido paesaggio suburbano la parabola di un ragazzo che si misura con le emozioni diverse e contrastanti seguite alla scomparsa del padre. Il bizzarro sconosciuto che lo carica sul portapacchi della propria bicicletta e si lancia a folle velocità verso casa dichiara di aver voglia di morire, e poi di vivere, migliaia di volte al giorno, e nei bruschi passaggi tra il divertimento e la paura l’io narrante compie il percorso di elaborazione del lutto e ritorna a vivere.
gfollaco@unior.it
GM Follaco insegna lingua e letteratura giapponese all’Università L’Orientale di Napoli