L’orrore sottile delle vite ordinarie
recensione di Paolo Armelli
dal numero di novembre 2018
Joyce Carol Oates
IL COLLEZIONISTA DI BAMBOLE
ed. orig. 2016, trad. dall’inglese di Stefania Perosin
pp. 272, € 22
il Saggiatore, Milano 2018
Nell’introduzione all’antologia da lei curata nel 1996, American Gothic, Joyce Carol Oates rintraccia le radici della letteratura gotica statunitense nella crisi dell’intransigenza puritana, quando cioè “il soprannaturale e l’inconscio malevolo si sono fusi”: uno degli effetti narrativi principali di ciò è che “la bontà è inestricabilmente legata alla capacità di punire”. L’eco di queste affermazioni sono chiari quando si legge la sua nuova raccolta di racconti neri, Il collezionista di bambole, pubblicato da il Saggiatore nella traduzione di Stefania Perosin, un volume che è inquietante fin dalla copertina che riproduce la scultura Hopper di Freya Jobbins: pezzi di bambole di plastica assemblati a formare un volto grottesco.
La bontà, appunto, si fonde a violente vendette, comportamenti scellerati, impulsi irresistibili. La maestria dell’autrice ci fa provare empatia per personaggi che sono spesso ai margini, fragili e franti, vittime di un milieu sociale iniquo o di una coscienza che afferra in modo coerente il mondo. Eppure alcuni di essi rivelano pian piano un lato diverso, oscuro: da vittime diventano subdoli carnefici. Il dubbio sull’affidabilità dei punti di vista, in effetti, è forse l’elemento più straniante di questi racconti, che non sono però narrazioni dell’orrore in senso classico. Oates non ha bisogno di mostri o fantasmi, assistiamo piuttosto a una trasmutazione psicologica e sociologica del genere. Il racconto conclusivo, Mystery Inc., pare effettivamente un tributo ai maestri della letteratura dark, quando il protagonista entra in una libreria specializzata in prime edizioni di scrittori gialli (Wilkie Collins, Conan Doyle, Chandler, James M. Cain, Patricia Highsmith), intenzionato a far fuori il proprietario legittimo per poi accaparrarsela. Sarà lui stesso alla fine, però, a sentirsi in trappola. Niente di soprannaturale, bensì l’orrore sottile delle vite ordinarie, di quell’America fatta spesso di fratture e contraddizioni. In Grande Madre, una ragazzina sovrappeso ed emarginata, con un pessimo rapporto con la madre single, trova rifugio nella famiglia di una compagna di scuola, salvo poi finire nelle spire del viscido segreto che questa nasconde. In Incidente con arma da fuoco il contesto di partenza è quasi sentimentale: un’insegnante chiede all’alunna prediletta di badare alla sua casa mentre è via, ma ciò che succederà poi le lascerà sconvolte e impotenti.
Però Oates raggiunge il massimo della sua perizia nei racconti iniziali, quando il brivido è ancora più raggelante perché racconta non solo di storie personalissime ma di un clima generale che riassume gli Stati Uniti di oggi. Il racconto che dà il titolo alla raccolta è l’abisso paranoico di un giovane uomo che non può fare a meno di collezionare bambole, nascondendole poi nel capanno del garage: il lettore affonda nella sua ossessione capendo pian piano che stiamo parlando di donne vere, che il tema reale è l’abuso del corpo femminile divenuto oggetto. In Soldato, invece, il narratore, un uomo bianco di origini disagiate, cerca disperatamente di convincere (il lettore?) della sua innocenza dopo essere stato accusato di aver sparato a un giovane di colore; anche qui la sua attendibilità è appesa a un filo e tutt’attorno si intrecciano le tensioni razziali e la pandemia delle armi così d’attualità in questi anni di recrudescenza conservatrice.
Questi racconti di Oates sono tanto più disturbanti perché non raggiungono mai una conclusione precisa. Ci sono quasi sempre dei finali aperti, o quantomeno sospesi. La scrittrice suggerisce precisamente la strada ma è il lettore a dover trattenere il fiato e compiere l’ultimo, estremo passo. Un passo che va in una direzione univoca: non c’è nulla di più terrificante e parziale del mondo d’oggi.
p.armelli@yahoo.it
P Armelli è giornalista culturale