Naufragio dietro l’angolo
recensione di Elisabetta d’Erme
dal numero di luglio-agosto 2016
Edna O’Brien
OGGETTO D’AMORE
ed. orig. 2013, trad. dall’inglese di Giovanna Granato
pp. 365, € 18.50
Einaudi, Torino 2016
In Country Girl. A Memoir (2012), tra le centinaia d’incontri con uomini famosi dei quali è stata (o meno) occasionale amante, Edna O’Brien nomina anche quello con l’attore Richard Burton. La scrittrice, già famosissima, era una protagonista della swinging London dei roventi anni sessanta. «Certe notti bussavano alla mia porta ospiti inattesi» ricorda, e una volta fu il turno di Burton. L’attore amava la letteratura inglese e tra gli scritti della O’Brien, il suo racconto preferito era proprio The Love Object, quello che dà il titolo a questa raccolta. «Una storia nella quale venivano messe a nudo le ramificazioni spirituali e carnali di una relazione amorosa» e forse fu per quel motivo che quella sera Richard Burton s’aspettava qualcosa che Edna non era disposta a concedergli. L’autobiografia di questa scrittrice irlandese, nata a Tuamgraney (County Clare) nel 1930, rivela il ritratto di una donna snob, insoddisfatta, supponente, arrivista, arrogante ed egoista. Una persona con la vocazione a ricoprire il ruolo dell’amante di uomini sposati, sempre alla ricerca di un «oggetto d’amore», ma lacerata dalla sua incapacità di trovare felicità. «In quel momento capii chiaramente che la mia versione del piacere era inestricabile dal dolore e che le due cose esistevano fianco a fianco in un rapporto di interdipendenza simile a quello delle due forze della corrente elettrica», annota Edna O’Brien in Suor Imelda, racconto di un suo amore adolescenziale per una suora.
Frammenti autobiografici sull’amore
Country Girl. A Memoir rivela inoltre il carattere essenzialmente autobiografico di tutta la sua opera narrativa. Dato che risulta palese alla lettura di The Love Object. Selected Stories, che raccoglie una selezione di diciassette racconti brevi, pubblicati tra il 1968 e il 2011, per la quasi totalità già noti al pubblico italiano, ma che vengono ora riproposti in una nuova traduzione di Giovanna Granato, che appare molto corretta, ma priva del wit che connota l’originale. In realtà, gran parte dei testi presenti in questa raccolta hanno più un carattere di «frammento autobiografico» che non di lavori di finzione narrativa. Questa dimensione confessionale può rappresentare un handicap, come pure la ripetitività delle tematiche, della voce narrante, delle situazioni descritte.
Difficile quindi collocare l’opera di Edna O’Brien nel vasto «territorio della voce» che le scrittrici irlandesi hanno pervicacemente strappato a un predominio maschile che ha prodotto giganti della letteratura come Swift, Sterne, Goldsmith, Stoker, Le Fanu, Wilde, Yeats, Joyce, Shaw e Beckett.
In un paese nato da una sanguinosa guerra civile e «governato» per decenni dalla chiesa cattolica, che esercitava una pervasiva ingerenza su tutta la società, Edna O’Brien – di fatto – fu tra le casualties del Censorship of Publications Act, legge promulgata dall’Irish Free State nel 1929, che sottoponeva tutta la produzione letteraria a una rigida censura. Nel 1960 venne censurato il suo The Country Girls e successivamente gli altri due romanzi della trilogia, Girl with Green Eyes e Girls in Their Married Bliss, che descrivevano un’alternativa al bigottismo imperante in Irlanda e dove si parlava apertamente di sesso, aborto e unioni extraconiugali, contribuendo così a decretarne un succès de scandale.
Un matrimonio fallito e il volontario esilio in Inghilterra contribuirono a cementare il mito della bellissima, ribelle, affascinante ed esoterica Edna O’Brien, che non cessò di scrivere nemmeno durante quei difficili anni di generale stagnazione culturale e che, come i connazionali Mary Lavin, Maeve Brennan, Julia O’Faolain, Ita Daly, William Trevor o Frank O’Connor, trovò infine particolarmente congeniale il genere della short story.
Racconti brevi che descrivono in poche pagine l’Irlanda pre-boom economico, il provincialismo di Dublino, lo squallore della vita rurale, piccoli cottage davanti all’oceano con le immagini del Sacro Cuore. Ossessive analisi degli irredimibili conflitti tra i due sessi e soprattutto dei complessi rapporti tra madri e figlie, in uno spaventoso gioco di specchi che sembra non lasciare scampo a nessuna delle protagoniste. Una visione profondamente influenzata dai dettami della religione cattolica, che in certi momenti prevarica l’anticonformismo della scrittrice. In questo panorama, tutti sono destinati a essere infelici, dalle giovani donne trasgressive, assetate di vita e di sesso, alle loro madri, asservite al ruolo di mogli e di vittime. «Forse pensava che il matrimonio della figlia dovesse rimediare al suo» pensa una madre in Una rosa nel cuore di New York (1978), ma nel mondo precario di Edna O’Brien il naufragio è sempre dietro l’angolo e basta un niente per frantumare anche il più desiderabile degli «oggetti d’amore», che nel peggiore dei casi si trasforma in una bestia, violenta e pericolosa. Così ieri come oggi.
dermowitz@libero.it
E d’Erme è studiosa di letteratura irlandese e tedesca