In bilico tra vivere e scrivere
recensione di Francesca Del Vecchio
Can Dündar
ARRESTATI
trad. di Giulia Ansaldo
pp. 264, € 17
Nutrimenti, Roma 2017
“Eravamo in attesa da undici ore. Ciò che stavamo aspettando era una decisione giudiziaria già presa. […] Sul mio account Twitter avevo scritto ‘Arrestati!’ e mi ero messo in attesa. Appena avrebbero annunciato il verdetto avrei premuto su ‘Invia’”.
Arrestati non è solo il contenuto di un tweet, ma anche il titolo di un libro: quello di Can Dündar, giornalista turco, ex direttore del quotidiano di opposizione “Cumhuriyet“, arrestato nel 2015 insieme al collega Erdem Gül con l’accusa di spionaggio e divulgazione di segreti di Stato. Il suo memoriale dal carcere – il racconto dei tre mesi di prigione a Silivri, cittadella detentiva per oppositori politici voluta da Erdogan- è contenuto in questo volume, edito da Nutrimenti e tradotto da Giulia Ansaldo.
Più che di segreti di stato potremmo parlare di vero e proprio reato: il 19 gennaio 2014 un tir del Mit (servizi segreti turchi) trasporta in Siria un carico di armi pesanti – verosimilmente destinati alle forze del terrorismo islamico – nascosto sotto casse di medicinali. Un anno dopo, nel maggio 2015, al quotidiano diretto da Dündar arriva un video che mostra le immagini della perquisizione al camion. Il 28 di quello stesso mese, nella redazione del “Cumhuriyet”, il direttore raccoglie perplessità e adesioni sull’opportunità di pubblicare quella scottante notizia di cui, per primi, sono venuti a conoscenza. Un dilemma professionale ed etico insieme: diffondere i frame di quel video anche a rischio della prigione? Il giornale si prepara a lanciare lo scoop esclusivo che svela il coinvolgimento diretto della Turchia nella questione siriana. Così, mentre una moderna rotativa manda in stampa il quotidiano, Dündar prepara un bagaglio leggero e sale su un aereo. Destinazione: Londra.
Un inno alla libertà delle idee
Arrestati è un resoconto dettagliato – a tratti ironico – degli avvenimenti; dall’ultima riunione di redazione fino al carcere, passando per le udienze in tribunale e i numerosi colloqui con gli avvocati, circa un centinaio. Ma è sorprendentemente anche un manuale denso di espedienti: quelli per sopravvivere all’isolamento della prigione, per riscaldarsi in mancanza di coperte. Perfino quelli per trasformare comuni sacchetti di plastica in lavatrici per il bucato. Ma Dündar si concentra anche su un altro aspetto: qual è il significato intrinseco alla condizione di isolamento: la separazione dal mondo, la limitazione della vita quotidiana e l’imposizione del tempo e dei tempi, la costrizione in spazi limitati e l’omologazione che distrugge la singolarità del soggetto. Il prigioniero è solo un’entità numerica priva di umanità. A salvarlo c’è l’attesa del mondo fuori e – per Dündar – le visite dall’odontoiatra, che lo conducono settimanalmente fuori dal carcere.
Arrestati è anche la storia della Turchia: un diario storico fatto di nomi, date, cifre, avvenimenti. Tutto il libro è frutto di una visione lucida e ponderata della pseudo dittatura voluta da Erdogan, analizzata con gli occhi di un giornalista profondamente legato al proprio paese. Per questo non si può definire Arrestati solo come un romanzo di denuncia: è molto più. È un atto di accusa, un manifesto contro la censura e un inno d’amore per la libertà delle idee.
La scrittura, il primo amore
“Cara amica, finalmente di nuovo insieme. Sin dal giorno in cui ho posato la mia prima penna sul foglio, sei stata la mia compagna di viaggio, la mia confidente, la mia intima amica. Tu che hai conquistato il mio primo amore, così come l’ultimo. […] Sei stata tu a pagare la prima rata della mia biblioteca, come il mutuo della mia ultima casa. […] Nella scelta tra scrivere e vivere, ho scelto sempre te”.
Dündar non lascia la sua penna nemmeno per un attimo; durante la prigionia scrive articoli sul retro dei moduli per i pasti, si abbandona a un flusso di coscienza introspettivo che analizza, nelle sue pieghe, il lavoro del giornalista indipendente: cosa vuol dire farlo e quali sono i rischi. Dündar scrive e riceve lettere da sostenitori, colleghi, intellettuali, si sente tornato indietro di secoli; condivide questa gioia con il suo “controllore”, un uomo preposto a leggere e vidimare la sua corrispondenza. Foglio per foglio, riga per riga. Ma non è questo un freno per lui, né per i mittenti delle lettere.
Più di tutto, e lo esprime magistralmente nel capitolo ad essa dedicato, Dündar recita il suo personale elogio alla scrittura, strumento di espressione ma soprattutto arma di difesa.
francescadelvecchio1@gmail.com
F Del Vecchio è giornalista. Scrive prevalentemente di Esteri e cultura arabo-islamica
Non è un paese per intellettuali: l’intervista a Francesca Del Vecchio a Elif Shafak sul potenziale della Turchia.