Mortali ironie della storia
recensione di Enrico Capodaglio
dal numero di gennaio 2018
Roberto Calasso
L’INNOMINABILE ATTUALE
pp. 189, € 20
Adelphi, Milano 2017
La severità di Roberto Calasso verso l’attuale è pari alla sua attenzione: “la preghiera naturale dell’anima”, secondo Malebranche. In questo libro infatti, L’innominabile attuale, “il nono di un’opera in corso”, egli ha lasciato la scelta di campo all’avversario, a condizione di decidere lui le armi: la critica antropologica, la scepsi da moralista, la nobiltà di chi dice il vero a tutti i costi, anche se fa male. Il suo stile è elegante e secco, al punto che non siamo mai sicuri che l’affondo non colpisca anche il lettore, che è giustamente chiamato a schierarsi: non siamo quasi tutti attuali e innominabili, sfuggenti a ogni definizione?
La differenza, rispetto ai più, è che l’autore continua a soffrire della potenza dell’attuale, e ne fa soffrire, in modo stimolante e salutare, in virtù dell’esercizio di un’intelligenza critica selettiva, ora smagliante ora cupa, ma sempre robusta, grazie anche ai tanti e scelti autori che convoca nell’areopago critico. Il primo dei due capitoli (essendo il terzo un epilogo di due pagine) si intitola Turisti e terroristi: i primi sono i visitatori, geografici e virtuali, di un mondo che “non ha un suo stile e li usa tutti”, osservatori irresponsabili e vogliosi di non pensare a nulla, meno che mai a se stessi; i secondi sono gli assassini, convinti che uccidere sia l’unico modo per incidere la superficie liscia e tonda di questa società assoluta. Tutta visibile e sciolta dal divino e dal sacro, dimentica del sacrificio: “È vano pensare, se non si tenta di pensare che cosa sia il sacrificio”.
“Il terrorismo islamico è sacrificale: nella sua forma perfetta, la vittima è l’attentatore. Coloro che vengono uccisi nell’attentato sono il frutto benefico del sacrificio dell’attentatore”, il quale uccide, dando per scontato che si farà uccidere. Il che non vuol dire affatto che sia ispirato lui sacralmente. A differenza del terrorismo nichilistico, che colpiva obiettivi simbolici precisi, quello di oggi infatti, il secolare, visto che non è religiosa la sua vera molla, né politica né economica, colpisce persone a caso, e in luoghi anonimi, spazi di svago e di consumo, perché il caso fa più paura: in ciò le due figure, turisti della vita e turisti della morte, sinistramente si corrispondono.
L’autore osserva che la pornografia in internet ha contribuito a scatenare la violenza nel mondo islamico: “Fu un oltraggio estremo e una attrazione indominabile, più che in altri Paesi. E fu anche un potente suggerimento per ogni passaggio all’atto”. Atto aggressivo, non erotico, in quanto al sesso, negato, si risponde con la morte. Intanto i secolari, ignorando il sacro e il divino, coltivano un’unica religione: la società. Essa deve sussistere e prosperare, reprimendo gli spiriti liberi e diventando un valore assoluto. Mi torna in mente la breve storia dell’umanità che Nietzsche ha tracciato nel primo libro di Aurora, legando il valore della società a quello della vita, a prezzo della menzogna collettiva. Questo discorso l’autore non lo fa, ma lo trovo pertinente: egli scrive infatti non solo che la società attuale è sperimentale, in un incessante bricolage della prassi e della conoscenza, precorso da Bouvard e Pécuchet, ma che soprattutto è funzionalista, nel senso che “usa chiunque come materiale da costruzione. Di che cosa? Di se stessa”; essa è diventata un organismo, un “grande animale”, come la polis nella Politeia di Platone, dotato di una coscienza collettiva.
Calasso identifica in modo originale i tipi ricorrenti tra gli abitanti e i sostenitori dell’attuale: gli umanisti, gli analogisti, gli spirituali ma non religiosi, i refrattari insofferenti, i transumanisti, in una rassegna nella quale si deplorano le vie errate piuttosto che gli erranti, nominati soltanto in quanto esemplari. Chi sono invece coloro che a tali secolari fanno da antidoto? L’autore li fa parlare a uno a uno, i liberatori della coscienza: da Adorno a Roberto Bazlen, da Benjamin a Céline, da Robert Frost a Simone Weil. E noi ne siamo spinti di nuovo a studiarli, proprio per capire la realtà in atto, se studio è “l’applicazione de l’animo innamorato de la cosa a quella cosa”, secondo la definizione veridica che Dante ne dà nel Convivio (II, XV, 10).
Il secondo capitolo, La Società Viennese del Gas, è ambientato invece nell’Europa dal 1933 al 1945. In questa sequenza polifonica Calasso dispone, in un montaggio efficace, anche dal punto di vista narrativo, le “parole scritte, pubblicate, dette, riferite, registrate nei giorni fra l’inizio di gennaio del 1933 e il maggio del 1945”, che ci fa cogliere, spesso con un senso di cordoglio, le mortali ironie della storia, anch’esse allora innominabili e attuali, quando “il mondo ha compiuto un tentativo di autoannientamento, parzialmente riuscito”. Si tratta di una prosopopea, che trasforma il mondo in una persona, lungo un confronto illuminante tra le due epoche, per via di contrasto, oppure egli scruta un’affinità segreta, che fa tremare i polsi, con la condizione attuale, come a dirci: “Stiamo attenti a non ricaderci: prima si uccidono le anime e dopo si passa ai corpi”.
encapod@tin.it
E Capodaglio è critico letterario