Crisi di inabissamento
recensione di Matteo Moca
dal numero di ottobre 2018
Michele Vaccari
UN MARITO
pp. 230, € 20
Rizzoli, Milano 2018
Nel suo libro Frammenti di un discorso amoroso, Roland Barthes dedica qualche pagina anche a una declinazione tragica dell’amore che definisce “Sprofondare”, ovvero una “crisi di avvilimento che coglie il soggetto amoroso per disperazione o per appagamento”. Un marito, nuovo romanzo di Michele Vaccari, consulente editoriale e direttore della collana di narrativa “Altrove” per Chiarelettere, sembra dare alla definizione di Barthes un suo concreto svolgimento romanzesco, soprattutto per quanto riguarda la “disperazione” che segue la perdita di un oggetto d’amore. Si tratta di un tentativo difficile, che per sua natura rischia spesso di cadere nella banalità, pericolo che, è bene sottolineare subito, il romanzo di Vaccari riesce sapientemente ad evitare.
I protagonisti di Un marito, edito da Rizzoli, sono una coppia sposata, Patrizia e Ferdinando, che gestisce una rosticceria in un quartiere periferico di Genova. Proprio la città ligure è al centro della prima parte del romanzo, descritta con grande precisione evocativa da Vaccari, funzionale anche per tratteggiare la natura della rosticceria di Patrizia e Ferdinando, e quindi pure la loro, con il suo scrigno di tradizioni che resistono ancora ai tentativi che la contemporaneità opera per scalfirne l’essenza. Dopo anni di duro lavoro e nessuna vacanza, sotto le insistenze di Ferdinando, i due decidono di fare il loro primo viaggio dopo moltissimi anni, passare ventiquattrore a Milano.
“I have a friend who says that’s why people take vacations. Not to relax or find excitement or to see new places. To escape the death exists in routine things”, recita la citazione tratta da Rumore bianco di De Lillo che apre la parte del libro che segue le poche pagine dedicate al viaggio, dove la storia precipita e si tinge di morte. Il momento doloroso della vicenda è preparato con perizia da Vaccari nella prima parte del libro, che racconta la vita in simbiosi di Patrizia e Ferdinando, lei quasi una sacerdotessa della cucina antica genovese che tratta con religioso rispetto ognuno dei suoi ingredienti (“Nessuna tragedia ha mai fermato la prescinseua, noi dobbiamo proteggerla, noi dobbiamo venerarla, a costo di rimetterci del denaro e trovarci a doverne pagare un po’ di tasca nostra”), lui gestore dei conti e responsabile della vendita degli alimenti, teatrale nel rapporto con i suoi abituali clienti.
La scelta della vacanza a Milano, minuziosamente e quasi maniacalmente organizzata dal marito, sembra poter portare un vento di novità alla relazione della coppia che, in realtà, sembra non averne del tutto bisogno, affezionata alla faticosa routine giornaliera. Appena arrivati a Milano però, già impacciati per una lontananza innaturale rispetto ai loro luoghi, una bomba esplode sotto la cattedrale (“Prima, è il boato. La Piazza. L’aria è polvere, il marmo è carbone, la terra è magma, sono tutti sordi”) e uccide migliaia di persone, compresa Patrizia. “La crisi di inabissamento – ha scritto ancora Roland Barthes nei suoi Frammenti – può scaturire da un dolore, ma anche da una fusione: moriamo insieme per il fatto di amarci: morte aperta, per diluizione nell’etere, morte chiusa nella tomba comune”: l’inabissamento del protagonista nasce contemporaneamente dal dolore e dalla fusione oramai perduta e segna la consapevolezza di una incapacità di sopravvivere senza la fedele compagna di una vita. Tutti i gesti e le azioni che prima dell’incidente erano prassi consolidata iniziano ovviamente a perdere il loro senso e con essi fa lo stesso la vita di Ferdinando, che scivola in un buio anfratto della realtà, reticente a credere alla morte della moglie.
Ci vorranno le conversazioni con una psicoterapeuta per permettere al riluttante marito di far morire la sua Patrizia e lasciarla andare portandola comunque sempre con sé (“è necessario che ciascuno scenda una volta nel suo inferno”, scrive Vaccari citando Pavese). Tra i momenti più alti del libro stanno senza dubbio le pagine dedicate alle sedute, in particolare quelle in cui Vaccari riporta direttamente i pensieri di Ferdinando che ripercorrono gli attimi dell’attentato: “Si gira verso il bar. Potrebbe morire adesso, perché qualcuno gli ha concesso la possibilità di tornarla a sentire. Nel presente sta piangendo e qui, invece, lei è viva, è ancora sua, e deve solo essere felice, lei è lì, gentile come nessuna (…). Impossibilitato a muoversi, in preda a una furia improvvisa, si gira verso il Duomo. Vorrebbe spaccare tutto, vorrebbe prendersi Patrizia, portarsela a casa, mettere fine all’incubo, svegliarsi con lei che lo sgrida perché sta ancora dormendo, avere la cucina invasa dall’odore di bietole”.
Un libro felice questo di Vaccari che, seppur sembri perdere un po’ di mordente nelle pagine finali a causa di una fisiologica curva discendente che segue il climax, riesce a raccontare la resistenza dell’amore ai momenti di paura e di dolore attraverso la storia di Ferdinando, per il quale appaiono calzanti alcuni versi dei Colloqui di Gozzano: “Morte l’illuse fino alle sue porte, / ma ne respinse l’anima ribelle”.
matteo.moca@gmail.com
M Moca è dottorando in letteratura italiana all’Université Paris Nanterre e all’Università di Bologna