Ivano Porpora – Nudi come siamo stati

Soffrire i peccati degli altri

recensione di Simona Baldelli

Ivano Porpora
NUDI COME SIAMO STATI
pp. 335, € 18
Marsilio, Venezia 2017

Ivano Porpora - Nudi come siamo statiLeggendo Nudi come siamo stati di Ivano Porpora, ho pensato spesso a Gli spettri di Ibsen. Non solo perché uno dei personaggi centrali del dramma, Osvald, è un pittore (anche i protagonisti del romanzo lo sono), ma per il tema centrale affrontato dal grande drammaturgo norvegese e che Osvald riassume perfettamente in un dialogo con la madre, da tempo vedova. Mentre le racconta delle difficoltà a lavorare a un quadro di grandi dimensioni (i pittori di Nudi come siamo stati dipingono tele molto grandi) a causa di una grande spossatezza e del mal di testa che lo perseguita fin dall’adolescenza, le confida di essersi rivolto, a Parigi, a un medico. La diagnosi è presto detta: Osvald si porta dietro qualcosa di tarato, fin dalla nascita, “le colpe dei padri vengono punite nei figli”. Nel romanzo di Porpora, il suo secondo dopo La conservazione metodica del dolore (Einaudi, 2012) leggo: “Quando dopo il parto la febbre le si era alzata violenta e vedeva le persone come cucite a terra, e un catetere portava le sue urine a una sacca appesa accanto alla barella, ‘Arsène’ aveva detto al marito, ‘mi spaventa perché soffrirà i peccati degli altri'”. Arsène è uno dei protagonisti del romanzo, (una storia vera, tiene a precisare l’autore fin dalle prime righe), che riassumo rapidamente. Un pittore, Severo, vive con Anita. Il padre di lui abita nello stesso palazzo. I due hanno un rapporto complesso e aspro, esplicitato solo tramite lettere dove, a parte scarne righe per ragguagliarsi sul proprio stato di salute, si comunicano le mosse di una partita a scacchi che ciascuno gioca a casa propria. Altro argomento delle missive sono i piatti che Anita cucina per il suocero e che l’uomo mangia con dedizione e metodo, pur non apprezzandoli sempre.

Porpora e Ibsen

Severo è malato, scontento, contratto nella vita e nell’arte, fino al giorno in cui, sulla scena, irrompe Arsène. Anche lui è un pittore, ma famoso e quotato sul mercato e vuole Severo come discepolo. Il romanzo, in gran parte, è la narrazione del rapporto tra i due. Una relazione che non è solo allievo e maestro ma s’impasta di infinite sfaccettature, fra le quali affiora la seduzione che, in alcuni momenti, più che di omosessualità conserva un’eco di incesto, poiché i due sono talmente compenetrati ed interscambiabili, a volte, nei ruoli, da essere uno lo specchio dell’altro, o forse la proiezione di un fratello, o addirittura di un padre. E, continuando il parallelo con Gli spettri, là Osvald si innamora di Regine, la sorellastra, l’unica che, a suo dire, potrebbe salvarlo dalla disperazione e dall’orrore, qui Severo intuisce che in Arsène sta la sua possibilità di salvezza. Quel che è certo, nel romanzo di Porpora, è che Arsène entra nelle vite di Severo e Anita, le travolge e sparisce. Ma Arsène “è nato per soffrire i peccati degli altri”, siano quelli del nonno collaborazionista ai tempi della Repubblica di Vichy, o del padre manesco, oppure i propri, compiuti, o forse no, verso il fratello, o quelli del gigantesco pittore Severo. Scompiglia e scompare, Arsène, per tornare nella terza parte del romanzo, quasi un Cristo laico, un agnello di Dio venuto a togliere i peccati del mondo. Fra le molteplici chiavi di lettura che il romanzo offre, scelgo quella dell’elaborazione del senso di colpa e l’assunzione di responsabilità del peccato commesso. Proprio o altrui poco importa, perché un delitto impunito grava sull’animo di un’intera collettività.

Il linguaggio è ricco, denso, ricercato, manierato quasi. E questo è un piccolo limite fra i molti pregi. Mentre i personaggi disvelano le proprie vicende, la lingua e i continui rimandi culturali distraggono dal cuore delle cose, quasi Porpora avesse timore di consegnarsi, nudo, ai suoi lettori, o avesse pudicamente voluto proteggere i protagonisti, a scapito della maglietta su cui splende la scritta Naked as we came. Ma il libro conferma una voce che sperimenta, cerca linguaggi nuovi e rifugge la serialità.  E chi già da tempo piangeva la dipartita del romanzo italiano, dovrà questa volta, per fortuna dei lettori, ricredersi ampiamente.

S Baldelli è scrittrice e drammaturga

evelinaelefate@gmail.com