Onde concentriche
recensione di Mario Fassio
dal numero di dicembre 2017
Gianluca Giraudo
QUELLO CHE NON SONO MI ASSOMIGLIA
pp. 103, € 13
Autori Riuniti, Torino 2017
Fughe premeditate, amori impossibili, piccole manie, flirt maldestri, malinconie repentine, stasi esistenziali, desideri inespressi, solitudini subìte e cercate, famiglie scomposte e ricomposte, ricerca di nuovi equilibri e nuove identità: il primo romanzo del giovane Gianluca Giraudo (classe 1990) contiene un campionario di sentimenti e situazioni molto contemporanei. Qualcuno potrebbe liquidare il tutto come First World Problems, angosce di chi vive al riparo dei drammi e delle urgenze autentiche. In realtà, basta scavare un poco sotto la vernice del racconto e di uno stile forse fin troppo sorvegliato affinché emerga la vita. Quella vera, con tutto il suo carico di dolore e assurdità. Spesso in Italia le opere prime sono racconti autobiografici, oppure si affidano ai codici della narrativa di genere, come il fantasy o il poliziesco. Giraudo, cuneese di nascita e romano d’adozione, fa una scelta contemporaneamente più ambiziosa (l’affresco polifonico) e più astratta e pudica: il suo è un breve thriller dell’anima (poco più di 100 pagine, numerate dall’ultima alla prima, marchio di fabbrica della casa editrice, la torinese Autori Riuniti) in dieci capitoli, dieci nomi propri e dieci personaggi. Sono legati tra loro da rapporti familiari e affettivi, oppure da fili più sottili, quasi invisibili. Il contesto è volutamente vago ma riconoscibile (Roma, oggi), la struttura è frammentata e circolare, e non manca il colpo di scena finale.
Nel primo capitolo facciamo la conoscenza di Ignacio, un professore universitario in crisi e in fuga dalla propria vita. La sua scomparsa, misteriosa benché annunciata, fa da detonatore alla vicenda. Come un sasso nello stagno provoca onde concentriche, influenzando la vita degli altri personaggi. Poco per volta, davanti al lettore si svela una commedia umana bizzarra e interconnessa, di cui intercettiamo soprattutto le incertezze, i segreti e i turbamenti. La famiglia di Ignacio ha un ruolo decisivo: venticinque anni fa erano felici e uniti. Oggi la moglie Maria è sola, la primogenita Emma è una professionista affermata ma emotivamente bloccata ed Edo, il figlio minore, appare confuso e pieno di rancore. Tutto però può cambiare, e tutto cambierà, inaspettatamente. Quello che non sono mi assomiglia ha un’evidente matrice europea e rivela assonanze con scrittori (ma direi soprattutto scrittrici) che indagano la provvisorietà dell’Occidente contemporaneo con un’acutezza apparentemente svagata e piccole folgorazioni. Penso ad Annie Ernaux, a Yasmina Reza (citata in epigrafe), ma anche al corpus letterario di Elena Ferrante. Il puzzle emotivo al centro del romanzo tradisce anche uno spiccato gusto cinematografico. Ciò che leggiamo a volte sembra “messo in scena”, inquadrato da una prospettiva precisa, illuminato da un direttore della fotografia che predilige filtri soffusi e morbidi chiaroscuri. Le evocazioni sono tante, dai melodrammi accesi di Pedro Almodóvar agli affreschi corali di Robert Altman, dalle tranche de vie sentimentali di Éric Rohmer fino a I Tenenbaum di Wes Anderson, con la sua famiglia brillantemente disfunzionale.
Nonostante qualche piccola ingenuità e alcuni preziosismi intellettuali che a volte raffreddano la materia, il romanzo scorre veloce. In più, cosa rara, riesce a intrappolare il lettore in una rete a prima vista un po’ evanescente, ma originale e sempre intonata.
mario@semplicecomunicazione.it
M Fassio è fondatore del network di comunicazione Semplice!