La verità è sempre eretica e potenzialmente rivoluzionaria
recensione di Loretta Junck
Gesuino Némus
LA TEOLOGIA DEL CINGHIALE
pp. 240, € 17,50
Elliot, Roma 2015
La teologia del cinghiale, uscito nell’autunno del 2015 come romanzo d’esordio del cinquantottenne Gesuino Némus, nel corso del 2016 è stato riconosciuto con ben cinque premi: Premio Campiello Opera Prima, Premio John Fante, Premio Selezione Bancarella, Premio Opera Prima Master in Editoria, Premio Osilo Salvatore Satta. Ci sembra il caso di parlarne, anche se con un po’ di ritardo.
I primi due capitoli non entusiasmano. Un piemontese poi è disturbato non solo dalla polemica antinordista di rito, ma anche, di striscio, dai ripetuti boia faust pronunciati dal maresciallo dei carabinieri De Stefani, e si chiede come mai, nel lavoro di revisione, l’editor non abbia approfondito quel tanto da scoprire che non era faust, ma fauss (falso) l’epiteto attribuito al boia. Ma nel terzo capitolo, quando si incontrano le prime impennate di prosa sperimentale, l’interesse si risveglia e al quarto ci si trova catturati senza possibilità di ritorno dalla forza della narrazione che si rivela in pieno, tanto che le cadute di tono gliele si perdona tutte, e volentieri.
Siamo alla fine degli anni ’60, i primi astronauti sbarcano sulla luna, ma la Sardegna continua a essere un mondo arcaico regolato da leggi ancestrali. In un piccolo paese dell’Ogliastra, Telévras, una singolare figura di prete gesuita protegge il piccolo Matteo, vero genio dai molti talenti anche se figlio di un sequestratore latitante, e insieme a lui uno strano ragazzino sempre silenzioso, Gesuino, da tutti ritenuto un minus habens, che è il migliore anzi l’unico amico dell’altro ragazzo, suo coetaneo. È sua la voce narrante, suo l’invito, a chi legge, di mettersi ad un certo punto nei panni di un altro personaggio, o addirittura in quelli di un grande uccello – e la trovata è geniale per l’effetto che sprigiona – e di osservare da questo punto di vista la scena dove avvengono i fatti. Il latitante padre di Matteo poi viene trovato morto e in paese iniziano le indagini. La vicenda si complica, altre morti si aggiungono alla prima, Matteo a sua volta scompare misteriosamente e la verità verrà a galla molti anni dopo, quando Gesuino, che ha sempre saputo, dopo una vita trascorsa nelle cliniche psichiatriche del “continente” tornerà in Sardegna e infrangerà il giuramento fatto all’amico rivelando dove questo si era nascosto, perché “la verità è più forte dell’amicizia”. E lo farà a modo suo, affiggendo sulla porta della chiesa quattro cartoncini con 95 “tesi”, 95 affermazioni lapidarie. A significare che la verità è sempre eretica e potenzialmente rivoluzionaria.
Tema centrale nel romanzo, questo della verità che solo i pazzi hanno il coraggio di dichiarare, ma non l’unico, in un romanzo tanto ricco di pensiero quanto originale nel tono fortemente venato di grottesco. L’altro tema forte, nella scia della tradizione letteraria dell’Isola, è quello della singolarità dell’anima sarda, consistente in una sorta di antica selvatica nobiltà che si rivela anche nel rapporto non comune con la morte, verso la quale c’è un’accettazione profonda.
Insomma ci sembra proprio un narratore di talento questo Gesuino Nemus, che scrive da una vita anche se solo da poco abbiamo avuto la fortuna di poterlo conoscere, e intanto il suo secondo libro, I bambini sardi non piangono mai, è uscito nel 2016 sempre per Elliot. Lo leggeremo con interesse.